Dal Global Times del 30 marzo.
Dal Global Times del 30 marzo.
di Andrea Brodi
La vicenda del POS superficialmente è servita ad innescare la solita gazzarra reazionaria del nemico interno. È di nuovo il turno degli artigiani, imprese familiari, generazionali di chi si indebita per l’acquisto dei mezzi di produzione e altre attività con un flusso di cassa in entrata nella media dei 60€. Caccia all’evasore. Nonostante gli evasori totali ammontino a 19 milioni di italiani, si è scelto di far ricadere tutte le colpe su un milione e mezzo di lavoratori artigiani autonomi, già colpiti da quasi 3 anni di politiche restrittive che ne hanno liquidato la classe. Colpevoli dei 99 miliardi di evasione fiscale (tendenzialmente in diminuzione dal 2017) a fronte di una pressione fiscale mai così alta nel nostro paese che si attesta al 42%, nel mentre la demolizione progressiva del salario sociale, nonostante l’Italia sia stata in avanzo primario positivo (entrate pubbliche maggiori delle uscite) per 10 anni, grazie a manovre lacrime e sangue, fino al 2020.
Oggi le contraddizioni del pensiero dominante coesistono nell’orgia della dissonanza cognitiva, così dopo la caccia all’evasore, scrollando le news, vedremo incensare la ragazza basso salariata e priva di prospettiva futura, che grazie alle presunte libertà concesse in campo consumistico (le uniche concesse) rinunciando ai diritti sociali, se ne ha le capacità, integra la sua paga da fame vendendosi su Onlyfans, che fattura 4 miliardi di dollari (versati al fisco inglese dove ha la sede) estraendo valore dalla messa in vendita di feticci digitali, ottenuti dai corpi delle classi popolari. Un lavoro che chiunque può iniziare a fare aprendo una partita IVA con imposta fissa al 15% sotto i 65000€, proprio quella flat-tax che secondo il MEF è responsabile del coefficiente di propensione all’evasione, ovvero la tendenza a dichiarare meno per rientrare nei minimi; un dato che aumenterebbe la stima dell’evasione fiscale di circa 23 miliardi. Ma non v’è logica, la contraddizione è contingenza. È è il solito gioco utile a dividere le masse e a distogliere l’attenzione da chi, a prescindere dall’ipocrisia delle mazzette europee, è il primo responsabile del saccheggio del futuro. Le multinazionali o le grandi oligarchie: fanno bei affari in Italia grazie a precedenti attività di lobbing che hanno spianato la strada politicamente influenzando gli apparati di governo nazionali ed europei, favorendo l’estrazione di pluvalore assoluto dal lavoro grazie alla deflazione salariale ottenuta grazie alla legittimazione del precariato (che non ha portato quella maggiore flessibilità nell’offerta di lavoro che avrebbe aumentato l’occupazione in Italia, la tesi è stata smentita sin dal 2004 dai rapporti Ocse sull’occupazione e ha trovato una serie di conferme nell’elaborazione dei dati forniti dall’Isfol). Non paghi, multinazionali e i grandi gruppi, spostano la sede legale all’estero per pagare le tasse sui dividendi e altri profitti nei paradisi fiscali. È proprio l’elusione fiscale che negli ultimi 3 anni potrebbe aver determinato un saccheggio molto più oneroso. Non lo sappiamo. Gli ultimi dati si riferiscono al 2018, da quell’anno i profitti per le grandi aziende hi-tech, digitali ecc sono letteralmente esplosi dopo la pandemia. L’elusione fiscale è una pratica possibile solo per chi detiene abbastanza capitale per poterne finanziare la fattibilità; né un operaio, né un artigiano hanno alcuna possibilità di decidere di eludere il fisco spostando le proprie ricchezze in un paradiso fiscale. L’elusione è una pratica di classe che consiste nella sottrazione assoluta di danaro a scopo di accumulazione; non solo direttamente dalle casse dello stato per mezzo delle imposte, ma anche dalla economia reale sommersa. Questo saccheggio e le politiche ultraliberiste, annientano il salario sociale di classe, l’insieme di servizi pubblici (sanità, trasporti, cultura, scuola) alla persona e alla collettività che, a carico dello stato, integrano il salario aumentandone il potere di acquisto.
Ma allora perché tanta bagarre sul POS? È politica. Il governo Meloni, cosciente del fatto che una larga fetta di classe media in fase di proletarizzazione si sta radicalizzando in posizioni sempre più a sinistra, decide bene di dare in pasto una carota elettorale dopo anni di bastonate, ma sono briciole e propaganda, per altro non riuscita. Ed è pericoloso. Dall’altra parte c’è l’UE dei lobbisti, ossessionata dalla lotta al contante come unica causa dell’evasione fiscale; ma che medico è quello che per guarire una infezione a un dito decide di tagliare tutto il braccio? Con l’attuale governo neoliberista totalitario, privare i cittadini del danaro contate significa vincolare ad un istituto bancario privato la capacità materiale di fare acquisti. Per 5 milioni di poveri assoluti che vivono di lavori saltuari e in nero, significa arretramento verso gli inferi della dignità già calpestata e di fatto l’inaugurazione di un feudalesimo digitale. Non solo questo. In UE, a differenza della nostra classe dirigente, hanno ben chiaro a quale mulino tirare l’acqua e l’idea di società di classe che stanno andando a modellare.
Prendo spunto dalle parole di Guido Salerno Aletta in uno dei suoi ultimi interventi. Le banche basano sempre meno la propria attività redditizia sul credito; dunque, la principale attività che svolgono è la gestione della liquidità. Per la banca la gestione del contante (lo spostamento di danaro fisico da una filiale all’altra) è un costo dato dalla presenza di un cassiere che mette la sua responsabilità nei movimenti di cassa, un lavoro che le banche non vogliono più fare perché poco redditizio. Al contrario, su ogni transazione digitale, ma soprattutto le piccole transazioni che sono ovviamente sono tantissime, c’è una vera e propria estrazione di valore da parte di chi gestisce le carte di credito e tutta la movimentazione di danaro. In assenza di una attività creditizia, il danaro dunque non frutta più alle banche perché viene prestato, ma per la transazione digitale che opera su una struttura che ha dei costi di gestione centralizzati rispetto ad un cassiere fisico che opera in una filiale fisica. Quando inviamo un pagamento digitale, anche per esempio quando versiamo i tributi allo stato alla pubblica amministrazione, la transazione ha un costo che è a carico del cittadino; prima dell’avvento dei pagamenti digitalizzati i versamenti fatti allo stato non erano soggetti al pagamento di una fee, ovvero una quota che il fornitore di un servizio richiede al cliente per il suo utilizzo. Già da anni abbiamo assimilato l’idea che il ritiro del proprio danaro da uno sportello ATM deve sottostare al pagamento di una quota se lo sportello è in un circuito estraneo da quello dove il nostro conto risiede, 1€ per le spese di transazione se si ritira 100€, equivale all’1% sul danaro nostro che abbiamo ritirato. Questo è il modo attraverso cui le banche fanno profitto e ciò vale anche per l’industria digitale. Vale per i social, che da oasi libera e gratuita si stanno trasformando in fornitori di servizi che generano giganteschi profitti sulle transazioni. Pensiamo per esempio a PayPal, che basa sulla transazione il principale cuore dei suoi profitti. Tutto il sistema socioeconomico dell’industria digitale ha come principale intento quello di massimizzare i profitti rispetto il vecchio paradigma, si capisce bene che i profitti sono mostruosi considerando gli investimenti messi a confronto con una economia basata su investimenti squisitamente reali. La circolazione del danaro prelevando una tassa sulla transazione è il principale metodo attraverso cui si fanno i soldi ed è proprio questo il motivo per il quale la commissione europea sta spingendo sulla digitalizzazione assoluta del danaro, perché offre uno sbocco a tutte le multinazionali dell’industria digitale per poter generare profitti.
Da qui cosa che consegue? Dal punto di vista politico è naturale che questo sistema può creare le basi per un nuovo feudalesimo e un corporativismo in chiave digitale che si desta nei periodi di crisi sistemica per fini non più di conservazione nazionale ma del modello di sistema di sfruttamento (nel corporativismo fascista, l’individuo esprimeva e realizza tutto sé stesso nella comunità statale; l’unità indivisibile della personalità umana conduceva necessariamente a dare una qualifica morale e politica a ogni determinazione economica). Infarcendo la polpetta avvelenata con ideologie da quattro soldi, chiunque non seguirà i precetti consumistici per il bene del sistema, verrà ricattato con lo spegnimento della sua identità economica digitale. Questa tendenza invero è stata già intravista in periodi più recenti durante la pandemia e in chiave scientista.
A stretto giro di posta, con lo sbocco aperto sulle transazioni, il capitale avrà uno strumento con il quale potrà massimizzare ancora di più i profitti, diminuendo le perdite. Di conseguenza, sarà naturale che la digitalizzazione porterà al controllo di chi la subisce. Un rapporto economico, soldi in cambio di merce, crea un rapporto sociale tra i soggetti che effettuano la transazione, digitalizzare questo aspetto significa quantizzare il rapporto sociale che se ne determina di conseguenza, nell’aspetto pratico significa associare un valore discreto ad ogni caratteristica sviscerabile dalla merce che viene acquistata. Dal punto di vista economico ciò produce una ulteriore merce che l’utente di fatto regala, ovvero le decine di caratteristiche intrinseche alla merce in oggetto, dati che, se iscritte in un database popolato nel tempo, riescono a tracciare un profilo che descrive gli usi e le consuetudini di ogni aspetto della vita dell’utente. Questa, che in gergo viene chiamata profilazione, è la principale fonte di profitto delle cosiddette società che si occupano della raccolta dati e permetterà a chi ne entra in possesso di pianificare in anticipo i bisogni di ogni utente. Si potrebbe pensare che la profilazione dell’utente possa dare vita ad un database che se pilotato dal giusto algoritmo possa addirittura dare vita ad una intelligenza artificiale senziente utile per chi lo usa. Purtroppo, parafrasando Marx, tutto questo non farà altro che generare ulteriore alienazione, che è quel processo che estranea un essere umano da ciò che fa fino al punto di non riconoscersi in sé stesso, in questo caso riconoscersi nella sua natura umana, perché non sarà l’algoritmo a diventare umano, ma saremo noi che inizieremo a ragionare come un algoritmo. Anche perché l’attuale sviluppo digitale è basato su un calcolo binario, se pur eseguito a velocità superiori a quelle umane, l’unico modo per far diventare gli algoritmi di intelligenza artificiale più intelligenti degli esseri umani è rendendo più stupidi questi ultimi, favorendo in loro una coscienza binaria, come in effetti sta già accadendo da un po’.
DI SALVATORE FAZIO
La guerra in Ucraina è solo un espediente messo in atto dall’America per eliminare il vero problema: l’Europa e l’Euro.
Entrambi costituiscono per l’America un problema seppur di diversa natura: l’Euro ha tolto centralità al Dollaro diventando la seconda valuta più importante a livello internazionale in termini di pagamenti globali. Nel novembre 2020, la quota dell’euro nei pagamenti globali era del 38%, allo stesso livello del dollaro. La quota dell’euro nelle riserve in valuta estera ammontava a circa il 20% nel giugno 2020, a fronte del 60% circa del dollaro USA. Accrescere il peso dell’euro come valuta internazionale di riferimento ha avvantaggiato sia le imprese che i cittadini dell’UE contribuendo ad aumentare l’autonomia strategica e l’influenza dell’UE nel mondo.
Il tutto a discapito dell’Economia Americana che oggi oltre all’Euro rischia di doversi difendere da attacchi più insidiosi come la nuova moneta che adotteranno i BRICS.
Quindi l’aspetto monetario assume primaria importanza per ridare centralità e slancio ad un America in forte sofferenza, la quale vede messa in discussione la centralità del Dollaro (Dedollarizzazione).
Relativamente all’Europa, in quanto Unione di Stati, non è più di interesse Americano; sono cambiati troppi equilibri rispetto al periodo di concepimento originario, sono cambiati i confini strategici storicamente rappresentati dalle due Germanie e oggi slittati di centinaia di chilometri.
L’importante impegno finanziario che gli Americani stanno sostenendo per foraggiare l’Ucraina aveva ed ha importanti obbiettivi, alcuni già raggiunti e altri ancora da raggiungere.
Il primo obbiettivo raggiunto è stata la distruzione delle linee di approvvigionamento di gas dalla Russia in favore della Germania, obbiettivo primario del conflitto.
Già Trump lamentava: “Per il terzo anno consecutivo, il surplus commerciale della Germania è risultato il più ampio al mondo”. Le cifre pubblicate, relative all’anno 2018, non fecero che dare ragione a Donald Trump, quando accusò le autorità tedesche di pratiche commerciali ai limiti della legalità.
Il Dipartimento statunitense del commercio concluse l’inchiesta sulle importazioni di auto europee negli Stati Uniti, consegnando il dossier alla Casa Bianca. Il Dipartimento stabilì che l’import di auto europee negli USA rappresentava una minaccia alla sicurezza nazionale e indicò tre possibili contromisure: dazi del 20-25% (la misura più dura), dazi mirati (per esempio solo sulle auto elettriche), dazi inferiori al 20%, accompagnati da sostegni all’industria automobilistica nazionale.
Il secondo obbiettivo è rappresentato da Olanda e Lussemburgo i quali hanno interpretato nello scenario globale degli ultimi decenni il ruolo di giurisdizioni privilegiate di ‘transito’ (‘conduit’) e ‘d’approdo’ per multinazionali e grandi investitori esteri desiderosi di ridurre il proprio carico fiscale nei diversi Paesi del mondo in cui generano i profitti o in cui risiedono, il tutto a discapito del Delaware e degli USA stessi, i quali già contribuirono fortemente a far saltare il sistema Panama sempre in favore del Delaware.
Gli Americani manterranno, come loro costole subalterne, solo i paesi che hanno una reale utilità al sistema USA, di tanti altri potranno farne a meno.
*Dīvĭdĕ et ĭmpĕrā ,dividi e comanda, è una locuzione latina utilizzata per indicare il migliore espediente di una tirannide o di qualsiasi altra autorità per controllare e governare un popolo, ovvero dividerlo in più parti in modo tale da provocare rivalità e fomentare discordie tra esse.
Telefono lunedì scorso ad un caro amico. Non ci sentiamo da un pò, lui problemi familiari e stress da lavoro, io preso dalle mie cose. Ci conosciamo dai tempi dell’Università, lui frequentava Economia e Commercio. Abbiamo condiviso nell”ultimo anno che sono stato a Bologna la stanza assieme, assieme abbiamo fatto lavori saltuari. Io poi andai via. Ci sentimmo dopo decenni, come se non fossero mai passati. Lui dopo la laurea andò a Milano, lavori in una società di consulenza primaria poi presso una struttura finanziaria di gestione patrimoniale. Per questo stette a lungo a Lussemburgo, girando l’Europa e incontrando moltissimi industriali. Lui mi ha sempre detto che gli industriali italiani hanno patrimoni personali, spesso all’estero, tra i più cospicui del mondo. Non li stima molto, sostiene che paghino bassi salari e hanno una mentalità medioevale: Cucinelli è un’eccezione, ma all’estero Cucinelli è la norma. Gli chiedo il profilo del risparmiatore italiano. Sostiene che è molto conservativo, fa bassa leva, prende pochi rischi, a differenza degli anglosassoni. Dice che c’è tanto risparmio, ma per lo più concentrato, anche se ci sono risparmi ereditati da decenni e una percentuale di rendita molto elevata in rapporto al Pil. Gli domando del settore manifatturiero. Lui risponde che c’è poco da fare, con questi prezzi energetici è difficile avere margini. Poi mi parla di Milano. Lui vede un processo di concentrazione, sia dal lato industriale, sia dal lato del capitale commerciale. Su quest’ultimo nota che a Milano chiudono bar, ristoranti, alberghi gestiti da piccoli imprenditori e aprono catene: magari il vecchio gestore, che prima aveva un guadagno netto di 4 mila euro, ora fa il dipendente a 1500, la differenza di margine se la prende la grande impresa che fa pure economia di scala. Stessa cosa nel settore manifatturiero. Nota che i piccoli, a seguito della pandemia, siano tartassati di gabelle, avvisi, pagamenti che li stanno stroncando. Sostiene che li vogliono eliminare, toglierli dalla piazza. Finisce qui la conversazione. Oggi leggo che si sta cercando di bloccare gli avvisi di pagamento, forse sta diventando una seria questione sociale e qualcuno a Roma cerca di porre rimedio. Parliamo di noi, della fu sinistra, di come siano ancorati ad un mondo che non c’è più. Lui, gestore patrimoniale, mi dice: chiamami domani, ti racconto altre cose. A presto.
Da Global Times del 18 novembre 2022.
“Xi annuncia il terzo forum Belt & Road che si terrà nel 2023, invita l’Asia-Pacifico a portare la cooperazione a nuovi livelli Di Wang Cong, Bai Yunyi e Yang Ruoyu a Bangkok Pubblicato: 18 novembre 2022 23:45
Rivolgendosi venerdì all’incontro dei leader economici dell’APEC a Bangkok, in Tailandia, il presidente cinese Xi Jinping ha elogiato la cooperazione economica nell’Asia-Pacifico negli ultimi decenni che ha portato a un “miracolo Asia-Pacifico” e ha chiesto la costruzione congiunta di una comunità Asia-Pacifico con un futuro condiviso e portando la cooperazione Asia-Pacifico a un nuovo livello. Ha anche annunciato che Pechino prenderà in considerazione l’idea di tenere il terzo Belt and Road Forum per la cooperazione internazionale il prossimo anno per dare un nuovo impulso allo sviluppo e alla prosperità nell’Asia-Pacifico e nel resto del mondo. Le osservazioni del presidente cinese alla prima riunione di persona dei leader economici dell’APEC in quattro anni hanno offerto una vigorosa confutazione ai crescenti tentativi di alcune economie e altre forze di istigare attivamente la tensione all’interno della regione e minare seriamente la cooperazione regionale. Hanno anche fornito il tanto necessario sollievo alle economie regionali che stanno diventando sempre più a disagio per le crescenti tensioni, hanno osservato i rappresentanti delle imprese e gli analisti dell’Asia-Pacifico. All’APEC Economic Leaders’ Meeting e ad altri eventi correlati a Bangkok, molti partecipanti hanno anche evidenziato un netto contrasto tra il crescente ruolo di leadership della Cina e la diminuzione della presenza degli Stati Uniti. Alcuni osservatori hanno notato la posizione chiara della Cina sulla cooperazione Asia-Pacifico e azioni concrete per promuovere la pace e lo sviluppo regionali, suggerendo che l’impegno ripetutamente riaffermato degli Stati Uniti assomigli più a “chiacchiere vuote” durante i periodi di difficoltà. Il presidente cinese Xi Jinping tiene un discorso intitolato Assumersi la responsabilità e lavorare insieme nella solidarietà per costruire una comunità dell’Asia-Pacifico con un futuro condiviso al 29° incontro dei leader economici della cooperazione economica Asia-Pacifico (APEC) a Bangkok. La visione della Cina. Dopo essere arrivato al grande e moderno Queen Sirikit National Convention Center nel centro di Bangkok, dove il tema della cooperazione Asia-Pacifico è onnipresente, venerdì mattina Xi ha detto ai leader dell’APEC che “l’Asia-Pacifico è la nostra casa e la centrale elettrica di crescita economica globale. Negli ultimi decenni, una solida cooperazione economica nella regione ha creato il “miracolo Asia-Pacifico” ammirato in tutto il mondo. La cooperazione Asia-Pacifico ha messo radici profonde nel cuore della gente”. Notando che il mondo è giunto a un altro bivio storico, Xi ha chiesto di unire le mani per costruire una comunità Asia-Pacifico con un futuro condiviso e portare la cooperazione Asia-Pacifico a un nuovo livello. Il presidente cinese ha presentato quattro proposte specifiche: sostenere l’equità e la giustizia internazionali e costruire un’Asia-Pacifico di pace e stabilità, impegnarsi per l’apertura e l’inclusività e portare prosperità per tutti nell’Asia-Pacifico, lottare per uno sviluppo verde e a basse emissioni di carbonio e garantire un’Asia-Pacifico pulita e bella, tenendo presente il futuro condiviso e rendere l’Asia-Pacifico una regione in cui tutti sono pronti ad aiutarsi a vicenda. Xi ha anche sottolineato la necessità di assicurarsi che lo sviluppo sia per la gente e dalla gente, e che i suoi frutti siano condivisi tra la gente, chiedendo sforzi per promuovere la prosperità per tutti nell’Asia-Pacifico. La Cina lavorerà con altre parti per l’attuazione completa e di alta qualità del partenariato economico globale regionale (RCEP) e continuerà a lavorare per aderire all’accordo globale e progressivo per il partenariato transpacifico (CPTPP) e all’accordo di partenariato per l’economia digitale (DEPA ), al fine di promuovere lo sviluppo integrato della regione. La Cina prenderà in considerazione la possibilità di tenere il terzo Belt and Road Forum per la cooperazione internazionale il prossimo anno per dare nuovo slancio allo sviluppo e alla prosperità dell’Asia-Pacifico e del mondo, ha affermato Xi. Li Haidong, professore dell’Institute of International Relations presso la China Foreign Affairs University, ha dichiarato al Global Times che il forum del prossimo anno porterà a un mondo economicamente più interconnesso e che la BRI proposta dalla Cina aiuterà a “seppellire le divisioni e gli scontri regionali”. e portare pace e prosperità durature nel mondo. La cosa più importante per l’attuale economia globale è mantenere il processo di integrazione economica e impedire un’inversione della globalizzazione attraverso la formazione di piccole cricche economiche da parte di alcuni paesi occidentali. Ha detto che il prossimo anno segnerà il decimo anniversario della BRI, il forum dovrebbe fare nuovi piani per il mondo per utilizzare meglio la BRI per promuovere la costruzione di una comunità con un futuro condiviso per l’umanità e contribuire al cambiamento internazionale paesaggio che si trova in un periodo critico di transizione. “L’economia dell’Asia-Pacifico si trova in un periodo cruciale di ripresa post-COVID e le turbolenze e i cambiamenti nella politica e nelle economie internazionali rappresentano una seria sfida per lo sviluppo dell’Asia-Pacifico. Il presidente Xi ci ha mostrato che lo sviluppo pacifico e la cooperazione vantaggiosa per tutti sono la chiave mainstream per lo sviluppo futuro dell’Asia-Pacifico”, ha dichiarato venerdì al Global Times Wirun Phichaiwongphakdee, direttore del Centro di ricerca Thailandia-Cina della Belt and Road Initiative. Phichaiwongphakdee ha affermato che l’appello del presidente cinese a costruire catene industriali e di approvvigionamento regionali più strette è un aspetto molto importante della cooperazione Asia-Pacifico, che aiuterà la regione a far fronte ai rischi e ad assicurare stabilità e prosperità. Questa foto scattata il 14 novembre 2022 mostra un logo dell’APEC 2022 a Bangkok, in Thailandia. Il 18 e 19 novembre si terrà a Bangkok, in Tailandia, il 29° incontro dei leader economici della cooperazione economica Asia-Pacifico (APEC). Stati Uniti “chiacchiere vuote” Come è avvenuto in molti eventi multilaterali, anche la presenza di Cina e Stati Uniti ha suscitato molta attenzione e confronto all’APEC Economic Leaders’ Meeting di Bangkok. Anche prima dell’inizio dell’incontro, molti hanno sollevato domande sull’impegno degli Stati Uniti nella cooperazione Asia-Pacifico, poiché il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha saltato l’incontro e ha invece inviato a Bangkok il vicepresidente Kamala Harris. Durante un discorso alla riunione dell’APEC di venerdì, Harris ha promesso un ulteriore impegno economico per la regione Asia-Pacifico. “Gli Stati Uniti sono qui per restare. Rafforzare le nostre relazioni economiche nella regione e collaborare con il settore privato è una priorità assoluta per gli Stati Uniti”, ha affermato Harris. Tuttavia, per molti nella regione che hanno seguito da vicino le parole e le azioni degli Stati Uniti dalla pandemia di COVID-19, nonché le mosse geopolitiche degli Stati Uniti per istigare la tensione nella regione, tali impegni sembrano sempre più “chiacchiere vuote”. “Le parole dell’Occidente sulla cosiddetta uguaglianza tra i paesi e l’impegno per il sud-est asiatico sono, nella mia visione personale di cittadino tailandese, solo chiacchiere. Quando affronti davvero momenti difficili, non ti raggiungeranno affatto per aiutarti, quindi noi I thailandesi ora hanno una profonda comprensione di questo. E il nostro vero amico è la Cina”, ha detto Phichaiwongphakdee. Le interruzioni della cooperazione regionale degli Stati Uniti sono particolarmente sentite da molte imprese della regione, anche se la comunità imprenditoriale si sforza di tenersi alla larga dalla politica. Nella sede dell’incontro dei leader dell’APEC, dove molte aziende regionali hanno allestito stand per promuovere i propri prodotti e servizi, i rappresentanti delle imprese hanno subito sottolineato il vasto potenziale della cooperazione regionale. Tuttavia, quando vengono interrogati su rischi e sfide, si affrettano anche a sottolineare le tensioni geopolitiche, in particolare quelle nello Stretto di Taiwan. “Se le tensioni si trasformano in conflitto, l’economia regionale cadrà e così anche l’economia globale”, ha detto al Global Times un rappresentante di un’importante azienda industriale che opera in molti paesi del sud-est asiatico e collabora con aziende cinesi, a margine del Riunione dei leader dell’APEC. Il rappresentante delle imprese, che ha chiesto l’anonimato, ha affermato che “l’economia della cooperazione industriale nella regione esiste già” e ciò che è necessario per rafforzare tale cooperazione è un “trigger” politico da occasioni come l’APEC. Tali preoccupazioni non si limitano alle imprese, ma sono state sottolineate anche dai leader regionali e mondiali alla riunione dei leader dell’APEC di venerdì, dove molti si sono fermati prima di denunciare direttamente l’agenda geopolitica di alcuni paesi che prevedeva l’inserimento dei paesi regionali nella sua strategia di contenimento della Cina, ma ha ripetutamente messo in guardia contro le tensioni e ha chiesto cooperazione. Concentrati sulla cooperazione Nel discorso di venerdì, Xi ha sottolineato che la Cina avanzerà un’agenda più ampia di apertura in più aree e in modo più approfondito, seguirà il percorso cinese verso la modernizzazione e metterà in atto nuovi sistemi per un’economia aperta di standard più elevati. La Cina continuerà a condividere le sue opportunità di sviluppo con il mondo, in particolare con la regione Asia-Pacifico, ha affermato il presidente cinese. Il primo ministro Prayut Chan-o-cha della Thailandia, l’ospite della riunione dei leader dell’APEC, ha detto venerdì che i paesi devono cambiare le loro pratiche per superare le sfide poste dalla pandemia, dai cambiamenti climatici e dalle divisioni geopolitiche. “Non possiamo più vivere come facevamo. Dobbiamo adattare la nostra prospettiva, il modo di vivere e il modo di fare affari”, ha detto Prayut. In qualità di ospite della riunione dei leader dell’APEC, la Thailandia ha fissato il tema “Aperto, connesso ed equilibrato”, con l’obiettivo di dare forma alle discussioni sul commercio aperto e sugli investimenti regionali, ripristinando la connettività e uno sviluppo equilibrato e sostenibile. Questo tema è stato ripreso da molti leader regionali e mondiali, poiché l’economia dell’Asia-Pacifico, nonostante sia la più vivace del mondo, deve affrontare anche una serie di sfide, tra cui l’inflazione globale, le crisi alimentari, energetiche e del debito, l’interruzione dell’industria e dell’approvvigionamento catene e tensioni geopolitiche. Nonostante i crescenti avvertimenti contro le crescenti tensioni geopolitiche nella regione, i funzionari statunitensi sono apparsi impegnati non nella cooperazione regionale ma nella divisione regionale alla riunione dei leader dell’APEC, portando lì varie questioni geopolitiche. Il segretario di Stato americano Antony Blinken ha dichiarato giovedì che affrontare il conflitto Russia-Ucraina è un obiettivo chiave dell’APEC. Ma tali tentativi di dirottare l’incontro per concentrarsi sulla propria agenda geopolitica non hanno avuto molto successo, poiché molti leader regionali e mondiali erano concentrati sulla cooperazione. Presente alla riunione come ospite, il presidente francese Emmanuel Macron ha anche affermato al CEO Summit dell’APEC che è necessario un nuovo equilibrio e stabilità a livello regionale per evitare nuovi conflitti, osservando che la guerra commerciale degli Stati Uniti contro la Cina “ha messo a dura prova paesi in una situazione da scegliere. Siete dalla parte degli Stati Uniti o della Cina?… Ma abbiamo bisogno di un unico ordine globale”. Gli osservatori regionali hanno affermato che, come molti paesi, sempre più preoccupati per le crisi economiche e concentrati sulla cooperazione, la visione della Cina per una comunità di futuro condiviso attecchirà più profondamente nell’Asia-Pacifico rispetto alla visione degli Stati Uniti per la divisione tra diversi blocchi. “Il pensiero incentrato sulle persone [della Cina] è stato percepito non solo dai thailandesi in termini di forniture di vaccini, ma anche da persone in tutto il mondo. E questo è qualcosa di reale che le persone del mondo possono vedere della comunità con un futuro condiviso per l’umanità”, ha detto Phichaiwongphakdee.
Bisogna guardare i numeri, le cifre, le statistiche prima di farsi un’opinione. La settimana scorsa era uscito il dato della produzione industriale italiana ad agosto: aveva battuto tutte le stime, aumento mese su mese, contrariamente a quanto si pronosticava, del 2.3%, aumento anno su anno del 2.9%. Nessun giornale ha dato la notizia. E vabbè, cerchi altri dati. E’ agosto, l’autunno non è ancora arrivato e si annunciano tempeste (per chi? per i soliti noti). La settimana dopo, oggi, esce il dato dell’export di agosto. Vediamolo: “Ad agosto 2022 si stima una crescita congiunturale per le importazioni (+4,2%) e una flessione per le esportazioni (-3,6%).Ad agosto, il calo congiunturale dell’export è condizionato da operazioni occasionali di elevato impatto (cantieristica navale) verso i mercati extra Ue registrate il mese precedente, al netto delle quali il calo si riduce a -1,3%. Nella media degli ultimi tre mesi, la dinamica congiunturale resta positiva. Nel trimestre giugno-agosto 2022, rispetto al precedente, l’export cresce del 3,4%, l’import del 9,5%. Ad agosto 2022, l’export cresce su base annua del 24,8% in termini monetari e dell’1,3% in volume. L’aumento dell’export in valore riflette ampi aumenti nelle vendite sia verso l’area Ue (+27,6%) sia verso i mercati extra Ue (+22,1%). Tra i settori che contribuiscono maggiormente all’aumento tendenziale dell’export si segnalano: articoli farmaceutici, chimico-medicinali e botanici (+72,9%), prodotti petroliferi raffinati (+88,0%), prodotti alimentari, bevande e tabacco (+22,7%), macchinari e apparecchi n.c.a. (+13,6%) e sostanze e prodotti chimici (+29,1%) (Istat). Ora, i prezzi alla produzione sono cresciuti molto, ma ciononostante la crescita in volumi è addirittura +1,3%. Segno della capacità imprenditoriale di spuntare prezzi maggiori dovuti alla qualità delle produzioni, stiamo pur sempre parlando di made in Italy e di alta artigianalità di molti prodotti, prodotti non di serie come succede in altri paesi, ma unici e flessibili. Qualità dovuta alle capacità delle maestranze, a cui da decenni non viene riconosciuta una retribuzione che premi il loro attaccamento alle imprese, per dirla come il mainstream. Sta di fatto che gli industriali incassano, e incassano pure tanto, perderanno sul mercato interno, con 10.6 milioni di poveri il mercato è ristretto, ma si appoggiano al mercato estero, dove riescono a spuntare prezzi alti e a vendere, nonostante tutto. Non è sfuggita da mesi questa situazione a Carlo Messina, Amministratore Delegato di Intesasanpaolo il quale afferma che ci sono tantissime aziende di eccellenza che vanno bene. Soprattutto, rispetto ai loro lamenti circa il caro energia, la settimana scorsa affermava: chi ha, non chieda soldi allo Stato. Invece loro vogliono 50 miliardi, un ulteriore debito statale per sostenerli visto che di cacciare soldi per l’azienda di tasca propria non ci pensano. Convento povero, frati ricchi, tanto ci pensa lo Stato, il loro Stato, da più di 40 anni, a pagare. Nel mentre la povertà aumenta, la povertà salariale è vergognosa al punto che siamo diventati gli asiatici in Ue. si tagliano sanità, assistenza sociale, non si assume nel pubblico, non si rinnovano i contratti, mentre loro ad agosto, ripeto agosto, hanno una crescita in valore delle esportazioni del 24% e in volume dell’1.3%. Davvero troppo. Sono stufo dei loro piagnistei, ma ancor di più non riesco a capacitarmi di come mai, dopo 50 anni, le loro maestranze non gli presentino il conto, il conto di classe. Strano paese l’Italia, strano paese i suoi lavoratori.
Ieri è uscito il dato dell’inflazione cinese, al 2.8%, ma soprattutto il dato dell’aumento dei prezzi alla produzione cinese di settembre, cresciuti di appena lo 0.9%. Nelle scorse settimane è uscito il dato dei prezzi alla produzione dell’eurozona, cresciuti del 43.3%. Il differenziale inflazionistico tra Cina ed Eurozona è lampante, siderale, a tal punto da considerare se l’eurozona regga. Non è solo dovuto alla svalutazione dell’euro sul dollaro, dato dalla fuoriuscita di capitale europei verso la Fed e Wall Street per l’aumento americano dei tassi di interesse, ma anche al fatto che, dopo la pandemia, a seguito del boom della domanda mondiale, ora affievolita, una serie di componenti nell’eurozona non si trovano. Ciò è dovuto alla politica trentennale di deindustrializzazione e delocalizzazione di siti produttivi in Asia e in altre regioni. Si aggiunga il costo del trasporto e il dato è questo. Quindi non solo un fallimento della politica monetaria della Bce, che non riesce a tener testa al dollaro, molto più della stessa Cina, anch’essa soggetta a svalutazione della propria moneta, ma un fallimento della politica economica della classe dirigente europea uscita da Maastricht. La deflazione salariale trentennale ha provocato un enorme surplus delle partite correnti, solo la Germania 2 mila miliardi, poi l’Olanda e la stessa Italia. Ora, con la guerra in corso, questo surplus è svanito, 30 anni di sacrifici e di massacri salariali invani, e questo surplus va nei lidi americani. Gli americani, senza sforzo, godono del plusvalore trentennale europeo solo brandendo l’arma della Nato e della supremazia del dollaro. Ora c’è questo differenziale inflazionistico dei prezzi alla produzione. Ieri è uscito il dato della bilancia commerciale dell’Eurozona, in deficit di circa 50 miliardi ad agosto, e non è ancora inverno. Un deficit simile l’eurozona non l’aveva mai visto. Un suicidio annunciato già 30 anni fa, ma forse 44 anni fa con lo Sme. C’è chi parla di Piano Mackinder, di distruzione dell’apparato manifatturiero tedesco attraverso il costo del gas esorbitante che porta gli industriali tedeschi a chiudere o a delocalizzare. A quanto pare resiste l’Italia, stranamente, con le sue malconce ma flessibili piccole e medie imprese: il dato di agosto della produzione industriale, cresciuta mese su mese del 2.3% nonostante fosse agosto dà da pensare. Forse il fallimento dell’eurozona in termini di politica monetaria e politica economica ci dovrebbe portare a noi italiani a pensare con la propria testa, a non subire “consigli” catastrofici di Francoforte, Berlino e Bruxelles. Loro hanno fallito, non vedo perché dobbiamo fallire anche noi. Il differenziale inflazionistico porterà ad una campagna stampa nei prossimi mesi di “invasione delle merci cinesi”, o perdita di quote di mercato mondiale: gridano al lupo al lupo per nascondere la loro ignavia, la loro ignoranza, i loro errori.
Oggi in Cina è la festa di fondazione della Repubblica. Inizia la golden week. Nella pre-pandemia milioni di cinesi erano soliti fare una vacanza all’estero. In Italia arrivavano circa 3 milioni di cinesi, destagionalizzando la stagione turistica italiana. Ora non è più così, ci sono restrizioni Covid ed è probabile che si sviluppi il turismo interno come negli ultimi tre anni. Ci sono vari articoli di celebrazione della Repubblica, ma ho deciso di sottoporvi un articolo apparso oggi su Xinhua circa gli effetti degli aiuti a favore di lavoratori autonomi e Pmi. Come scritto nei mesi scorsi, la Cina dà vita alla “Terza Gamba”, dopo aver favorito colossi pubblici e privati. E’ una misura schumpetariana volta ad innescare innovazioni produttive provenienti dal basso e rivitalizzare il tessuto urbano e campagnolo. Mesi fa sostenni che tali misure furono adottate nella Prima Repubblica proprio per favorire innovazioni dal basso. Da queste politiche, nei decenni successivi, nacquero le “mini multinazionali”. La Cina, ancora una volta, ammirandolo, vede il modello italiano da seguire ed emulare. Peccato che noi non abbiamo più colossi pubblici in grado di intercettare le innovazioni delle Pmi, spesso sono multinazionali estere a farlo e si perdono saperi manifatturieri. Un motivo in più per rivendicare un ruolo pubblico nell’economia del nostro Paese per dare un futuro alle giovani generazioni. La politica fiscale espansiva cinese incomincia, come risulta dall’articolo, a dare i primi frutti, ma essi si vedranno soprattutto nei prossimi anni. Buona lettura.
“Le entrate fiscali cinesi rimbalzano mentre le politiche a favore della crescita danno i loro frutti (Xinhua) 15:47, 01 ottobre 2022 PECHINO, ott. 1 (Xinhua) — Il gettito fiscale e il gettito fiscale cinesi erano entrambi in via di guarigione dopo un calo durato mesi, un segno che le politiche a favore della crescita stavano prendendo piede. Le entrate fiscali del paese sono cresciute del 5,6% su base annua ad agosto dopo una serie negativa iniziata ad aprile, mentre le entrate fiscali sono aumentate dello 0,6%, il primo aumento da marzo, secondo i dati ufficiali. La ripresa delle entrate fiscali è il risultato della ripresa economica, ha affermato in un’intervista Li Chao, capo economista di Zheshang Securities. Oltre alla crescita sostenuta dalle politiche, gli analisti hanno anche citato il completamento di un rimborso dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) su larga scala, riducendo l’onere sulle entrate fiscali. Il paese ha lanciato la campagna di rimborso del credito IVA su larga scala ad aprile per alleviare l’onere finanziario per i contribuenti. Dall’inizio di quest’anno a settembre. Il 20, il paese aveva rimborsato 2,2 trilioni di yuan (circa 309,9 miliardi di dollari USA) di credito IVA e approvato pagamenti differiti su 632,6 miliardi di yuan di tasse e commissioni, secondo l’Amministrazione fiscale statale. Gli enti di mercato sono stati tra i principali beneficiari dello sgravio fiscale. I dati fiscali hanno mostrato che i ricavi delle vendite delle società in tutta la Cina sono aumentati del 5,2% ad agosto rispetto a un anno fa, con un aumento di 2,1 punti percentuali rispetto a luglio. Nei primi otto mesi dell’anno, le entrate fiscali sono state pari a circa 11,32 trilioni di yuan, in calo del 12,6% su base annua, secondo i dati del Ministero delle Finanze. Escludendo l’impatto dei rimborsi del credito IVA, le entrate sono cresciute dell’1,1% rispetto all’anno precedente. L’imposta sui consumi interni è aumentata dell’8,7% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, mentre le entrate dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e dell’imposta sulle società sono aumentate rispettivamente dell’8,9% e del 2,5%. La tassa sull’acquisto di automobili è scesa del 30,5% su base annua nei primi otto mesi, poiché il governo ha deciso a fine maggio di dimezzare la tassa sull’acquisto di automobili per alcune autovetture. La mossa ha portato a una riduzione delle tasse per un totale di oltre 23 miliardi di yuan da giugno ad agosto, che secondo gli analisti ha contribuito a stimolare i consumi. Gli sconti sulle tasse all’esportazione sono aumentati di 207,8 miliardi di yuan, o del 18,2%, a 1,35 trilioni di yuan nel periodo gennaio-agosto. periodo rispetto allo scorso anno. Ha contribuito a rafforzare la crescita del commercio estero, secondo Xie Wen, un funzionario dell’amministrazione. Secondo gli analisti, per il resto dell’anno, le politiche estese a sostegno delle entità di mercato, inclusi i differimenti del pagamento delle tasse e i rimborsi del credito IVA, potrebbero pesare sulle entrate fiscali. Il Paese ha consentito alle micro, piccole e medie imprese e ai lavoratori autonomi del settore manifatturiero di posticipare il pagamento di alcune tasse e commissioni per un valore di circa 440 miliardi di yuan fino alla fine dell’anno. Il settore manifatturiero dovrebbe ricevere altri 32 miliardi di yuan di rimborso del credito IVA negli ultimi quattro mesi di quest’anno. Per sostenere i fondamentali economici nel quarto trimestre, la Cina ha promesso maggiori sforzi, compreso il pieno utilizzo degli strumenti finanziari sostenuti dalla politica e orientati allo sviluppo per accelerare la costruzione delle infrastrutture. “Questi strumenti, insieme a circa 500 miliardi di yuan di obbligazioni speciali inutilizzate che saranno emesse entro la fine di questo mese, stimoleranno la crescita nel prossimo futuro senza esercitare un’ulteriore pressione sulla spesa fiscale”, ha affermato Zhao Wei, capo economista di Sinolink Securities. La spesa fiscale cinese nei primi otto mesi è aumentata del 6,3% anno su anno a 16,5 trilioni di yuan, secondo i dati ufficiali.”
Ieri su Telegram ho dato notizie che gli industriali italiani lamentano carenza di personale ovunque. Nelle ultime settimane l’Inps informava di un boom di dimissioni tra lavoratori italiani. Un manager mio amico, Sergio Calzolari, prendendo spunto da queste notizie, mi ha mandato un articolo di Asia Nikkei, che pubblico, sul fenomeno della Great Resignation. Sergio ha voluto dare il suo contributo, che è questo.
“Alcuni mesi fa ero a fare una passeggiata in montagna, verso una bellissima cascata sull’appennino bolognese, con il mio caro amico Roberto e sua moglie Silvia. Arrivati al rifugio, tra un bicchiere e buon cibo montanaro, discutemmo a lungo proprio del rifiuto del lavoro come manifestazione mondiale del/nel post pandemia. Tale tendenza è molto presente anche in Asia. Ovunque, dal Vietnam all’Indonesia.
Infatti, anche qua sta avvenendo quella difficoltà nel trovare manodopera, che ha ingolfato come narrazione tutte le pagine dei giornali italiani quest’estate.
Durante la nostra piacevole discussione, questa coppia di miei amici ad un certo punto mi risponde : …è la vittoria del rifiuto del lavoro come tendenza mondiale. Bisogna essere ottimisti!
Posizione molto stimolante, la loro; ma ho dei dubbi che sia proprio SOLO il rifiuto del lavoro a manifestarsi in tutta la sua potenza destabilizzante, anche se, indubbiamente, questa caratteristica esiste. Credo che, però, occorra svolgere un analisi un poco più approfondita del fenomeno. Penso, in estrema sintesi, che il COVID abbia veramente cambiato la relazione fra l’uomo e le sue aspettative nella vita terrena reale, modificando la posizione umana nel mondo.
Aspetti vari si stanno manifestando nella ricerca del senso dell’esserci. Ritornano tutte le vecchie domande filosofiche sul senso e sui perché.
Tali fenomeni stanno avvenendo in tanti modi, ed a qualunque latitudine.
Questo contributo qua di seguito è un contributo per capire meglio, tramite un’analisi di un istituto di ricerca molto serio. Queste nuove tendenze del mercato del lavoro asiatico mi vengono confermate da molti amici che operano un po’ in tutti i campi, e non soltanto nella ristorazione. Attualmente, da alcuni mesi, in Asia vi sono difficoltà a trovare la necessaria forza lavoro, a qualunque livello: da un livello manageriale a un livello più esecutivo. Sia aziende locali sia aziende multinazionali stanno riscontrando grandissime difficoltà, anche a prescindere dall’offerta economica. Evidentemente, c’è qualcosa di più profondo: il cambiamento nel mercato del lavoro si evince anche dalla diminuzione importante dei voli aerei da parte dei managers. Quindi sta avvenendo una trasformazione, e questa trasformazione del mercato del lavoro si unisce alla trasformazione prodotta dai meccanismi di governo indotti dalla guerra mondiale, nel suo ridisegnare la formamondo.
Il rifiuto del capitalismo, tramite il rifiuto del lavoro, ed il rifiuto della guerra in Europa, ed il rifiuto del disastro climatico, probabilmente apriranno larghi spazi di azione a chi, in maniera intelligente e moderna, e senza culti passatisti di tipo ideologico, sarà in grado di darsi un programma ed un metodo razionale di lavoro nel passaggio verso il mondo multipolare.
Siamo ottimisti, come dicevano i miei compagni di montagna, basta solo una scintilla.
La prateria è veramente, ed ovunque, arida e quindi infiammabile.
Buona domenica e buona lettura
Qui il testo di Asia Nikkei
I sondaggi segnalano uno scontro tra le priorità del datore di lavoro e dei dipendenti dopo il COVID  Lavoratori a Singapore: i datori di lavoro asiatici sono più desiderosi di riportare le persone negli uffici rispetto alle aziende occidentali, suggerisce una ricerca. © Reuters DYLAN LOH, scrittore dello staff di Nikkei19 settembre 2022 11:00 JST SINGAPORE – L’irrequietezza si sta insinuando nella forza lavoro asiatica poiché gran parte della regione tenta di scrollarsi di dosso le precauzioni COVID-19 e ripristinare una parvenza di attività come al solito. Ricerche recenti mostrano che le aziende asiatiche sono più desiderose delle loro controparti occidentali di aprire uffici e riportare i dipendenti a tempo pieno, dopo oltre due anni di diffuso lavoro a distanza. Ma molti datori di lavoro stanno incontrando riluttanza o resistenza, con alcuni studi che dimostrano che ampie percentuali di lavoratori mancano di un sentimento di “connessione” con le loro organizzazioni e rischiano di licenziarsi. Gli esperti suggeriscono che quando i dipendenti riconsiderano le proprie priorità, i datori di lavoro potrebbero dover fare lo stesso. “Poiché la flessibilità è ora diventata il nuovo requisito standard, è fondamentale che i datori di lavoro rivalutano la loro proposta di valore per i dipendenti per affrontare le preoccupazioni chiave della forza lavoro di oggi, in particolare per quanto riguarda la retribuzione competitiva e le opportunità di crescita professionale”, ha affermato Samir Bedi, leader di consulenza per la forza lavoro per l’Associazione della regione delle nazioni del sud-est asiatico presso la società di servizi professionali EY. Un sondaggio EY pubblicato a luglio ha rilevato che il 45% degli intervistati nel sud-est asiatico ha indicato che probabilmente lascerà il lavoro nei prossimi 12 mesi. Questo è stato il risultato principalmente del desiderio di una retribuzione più elevata, migliori opportunità di carriera e maggiore flessibilità in un contesto in cui l’inflazione aumenta, un mercato del lavoro in contrazione e un aumento dei posti di lavoro che offrono lavoro flessibile, ha affermato EY. Il sondaggio ha riguardato più di 1.500 leader aziendali e oltre 17.000 dipendenti in 22 paesi. Eppure molte aziende asiatiche sembrano intenzionate a costringere i lavoratori a rientrare in ufficio. All’inizio di quest’anno, quando gli Stati Uniti La società di servizi immobiliari CBRE ha intervistato 150 società dell’Asia-Pacifico, quasi il 40% degli intervistati si aspettava che i membri del personale lavorassero completamente in loco, rispetto al 26% nel 2021. Ciò era in netto contrasto con i risultati di Stati Uniti, Europa, Medio Oriente e Africa, dove solo il 5% o meno dei lavoratori si aspetta che sia sempre in ufficio. Michelle Leung, responsabile delle risorse umane presso la società di servizi sanitari Cigna International Markets, ha evidenziato i cambiamenti radicali nel mercato del lavoro durante la pandemia. “Una delle più grandi tendenze che abbiamo visto nel 2021 è stata ‘The Great Resignation’, che ha visto le dimissioni in tutto il mondo raggiungere il massimo storico”, ha affermato Leung. “Tuttavia, un altro fenomeno è stato ‘The Great Reshuffle’, che si riferisce a un’ampia fascia di lavoratori che riconfigurano le proprie carriere e si concentrano su lavori che si adattano meglio alle proprie esigenze personali”. Leung ha affermato che è “chiaro che una serie di fattori stanno guidando l’insoddisfazione e l’irrequietezza generali”. Le aziende, ha proseguito, dovranno “tenere il passo con le aspettative dei nuovi dipendenti e adottare un approccio più olistico ai tipi di benefici che forniscono”.  La stessa ricerca di Cigna ha scoperto che gli espatriati non sono immuni dall’insoddisfazione e dal disagio che si diffondono nella forza lavoro asiatica. Il benessere di quasi 12.000 persone in Cina, Giappone, Singapore, India e Australia ha rilevato che lo stress da espatriato ha raggiunto il massimo storico, con quasi tutti gli intervistati che avvertono sintomi di burnout e rivalutano le priorità di vita e di lavoro per una maggiore flessibilità, o per essere più vicino alla famiglia e agli amici. Lo studio, pubblicato a giugno, ha mostrato che la maggioranza significativa degli espatriati che lavorano in Europa e Australia erano fiduciosi che sarebbero rimasti all’estero. Lo stesso non si può dire per l’Asia, con solo il 5% di quelli in India e il 16% di quelli nella Cina continentale fiduciosi che rimarranno lì. Un’altra serie di numeri preoccupanti per i datori di lavoro è stata rilasciata a maggio dalla società di consulenza Accenture. Il suo sondaggio su circa 5.000 lavoratori e 1.000 dirigenti di alto livello in una serie di paesi ha rilevato che in luoghi come Singapore, India, Cina e Giappone, meno del 40% degli intervistati si sentiva molto connesso ai propri colleghi e alle aziende. Si potrebbe presumere che questo sia stato il risultato di interruzioni della pandemia e mesi o anni di lavoro a distanza. Ma uno sguardo più attento ai dati mostra che coloro che hanno lavorato in loco si sono sentiti meno connessi, rispetto ai loro colleghi che lavorano in remoto o ibridi. “Il presupposto comune è che la posizione in loco equivalga alla connessione. Non è necessariamente vero”, ha detto a Nikkei Asia Anoop Sagoo, chief operating officer di Accenture per i mercati in crescita. Ha proseguito affermando che “sebbene le organizzazioni possano considerare un ambiente d’ufficio come un ambiente che stimola la creatività e l’innovazione grazie alle interazioni faccia a faccia”, il sondaggio ha indicato che molti dipendenti ritengono che non soddisfi le loro esigenze. “Parte del motivo per cui così tanti lavoratori, specialmente quelli in ufficio a tempo pieno, sono disconnessi è dovuto al sentirsi ignorati dalla leadership e dall’alta dirigenza”, ha aggiunto. Lo studio ha anche rilevato che tra i dipendenti che sono in grado di lavorare da remoto, oltre il 90% ha affermato di poter essere produttivo ovunque.
From Singapore to Japan, workers get restless as offices call – Nikkei Asia