Finalmente stamane, ora locale di Pechino, la General Administration of Customs, la divisione Dogane del Ministero del Commercio cinese, ha diffuso le statistiche relative al commercio estero cinese ad ottobre 2021. Le importazioni cinesi dall’Italia hanno raggiunto ad ottobre 2,306 miliardi di dollari (1,903 miliardi nel 2020). In totale nei primi 10 mesi di quest’anno l’import cinese dal nostro Paese è pari a 25,1 miliardi di dollari (17,4 miliardi di dollari nel 2020, mentre nel 2019, pre-pandemia era pari a 17,67 miliardi di dollari). L’interscambio raggiunge nei primi 10 mesi 60 miliardi di dollari, dunque si superano i 50 miliardi di euro come obiettivo prefissato tra le parti negli anni scorsi. L’Istat registra nel corso dei primi 10 mesi un passivo con la Cina di 18,56 miliardi di euro. Dal Gacc risulta invece 10 miliardi di dollari, molto meno. E’ sempre quella la faccenda: ci sono triangolazioni commerciali tali per cui l’export italiano verso la Cina passa per altri paesi (ad esempio, quest’anno si registra un boom di export verso Olanda e Belgio). Dalle simulazioni fatte dalla Sace (la società di assicurazione all’export, riprese da Il sole 24 ore, quest’anno l’export totale italiano passa da 480 miliardi del 2019, pre pandemia, all 500 miliardi). 20 miliardi di differenza. Come potete notare dalle cifre, e come ho sostenuto nel dibattito di venerdì scorso organizzato da Potere al Popolo e Cambiare Rotta Salerno, 8 miliardi sono da accreditare all’export verso la Cina. Complessivamente il peso della Cina rispetto al totale arriverebbe a 7,5 -8% annuale, mentre l’Istat registra un peso del 2,9%. Senza considerare la spesa turistica (nella pre-pandemia venivano in Italia 3 milioni di cinesi, con la più alta quota di spesa), altrimenti il peso della Cina nell’economia italiana sarebbe ancora più significativo. La Cina onora il Memorandum, sta ai patti, e, come sostenuto un anno e mezzo fa, consiglia agli operatori cinesi di importare merci italiane. Non sappiamo ancora a quanto ammonti la percentuale italiana nell’import totale cinese, sicuramente sta aumentando ,togliendo quote di mercato ad altri paesi europei. E c’era chi sosteneva che il peso della Cina nell’export italiano era pari a quello della Bulgaria.. I fatti hanno la testa dura.
Mese: Novembre 2021
Gettito IVA
L’avevo notato nel corso dell’anno, leggendo il Bollettino delle Finanze. Ora lo certifica Banca d’Italia. Durante la pandemia, fino al primo semestre di quest’anno, c’è una forte divaricazione tra aumento, o diminuzione dei consumi, e gettito Iva. Nel corso del 2020, in piena pandemia, i consumi sono calati dell”11%, mentre il gettito Iva del 9% (al lordo della sospensione dei pagamenti, altrimenti sarebbe del 6%). Nel primo semestre di quest’anno i consumi sono aumentati del 5% mentre il gettito Iva è aumentato del 14%. Banca d’Italia lo addebita a vari fattori: 1) forte, minor spesa per consumi per servizi, dove vi è un’aliquota Iva più bassa e dove vi è una forte propensione all’evasione; 2) incidenza di spesa per beni durevoli, dove la % di Iva è più alta; 3) pagamenti digitalizzati, che favoriscono il gettito; 4) investimenti, favoriti dalla politica fiscale governativa. Ciò cambia il panorama degli attori economici, e certifica quel che vado dicendo, vale a dire, maggior incidenza di capitale industriale rispetto al capitale commerciale (enormemente punito). 50 anni di economia italiana spazzati via. Quel che vedremo ancora non si sa.
Editoriale di oggi dell’economista Marcello Minenna su Il sole 24 ore sulla catena dell’offerta dei prodotti industriali sconvolta dalla pandemia: sia carenza di semilavorati e materie prime sia dalla forte domanda a cui l’offerta non sa rispondere. Forte domanda dovuta ad elargizioni fiscali in tutto il mondo e al risparmio conseguente al lockdown, a cui è corrisposto in seguito un aumento dei consumi. Minenna cita un dato McKynsey: 184 prodotti industriali provengono da un unico paese (non lo dice, ma è la Cina), tale per cui Usa e Ue dipendono da essa. Questo l’effetto della cinquantennale delocalizzazione produttiva volta ad “efficienza” (dice Minenna). In realtà minor costi e la fuga dalla lotta di classe operaia in Occidente. Ora i nodi vengono al pettine: si stanno preparando al reshoring, anche perché ha comportato trasferimento di tecnologia a cui l’Occidente non riesce a porre freno. Il panorama del mercato mondiale nei prossimi anni cambierà, anche da noi, semilavorati e materie prime seconde prodotte precedentemente all’estero verranno ricollocati nel Paese. Rimane l’amaro in bocca per chi come me, crotonese, a partire dal 1993 ha visto la chiusura di fabbriche di zinco, di chimica ,di carta, conservifici, zuccherifici, mandando nella miseria più assoluta un’intera popolazione. Minenna la chiama “efficienza”, in realtà è la miopia e la traiettoria degli agenti capitalistici avidi. La Cina farà a meno di queste produzioni, qualora intendano colpirla ,è proiettata sul mercato interno. Quello che noi non abbiamo più.
SQUID GAME: UNIONE EUROPEA
Diretta dell’evento di Venerdì 26 novembre al CSA Jan Assen (ex Asilo Politico) di Salerno.
Parliamo di Unione Europea e delle sue politiche economiche, migratorie, su lavoro e formazione.
Quale prospettive per l’Italia nel rapporto tra UE e Cina? Che cos’è Frontex e quali sono le politiche (anti)migratorie dell’UE? Che cos’è la convenzione di Lisbona e che conseguenze ha avuto sull’università italiana? Cosa ha a che fare il “sistema Salerno” con le politiche dell’Unione Europea?
Mentre l’UE sta imboccando la strada verso quella che viene definita “autonomia strategica”, tra l’indifferenza e il fastidio dei suoi vertici politici alle sue porte migliaia di persone vengono ricacciate indietro o lasciate morire. E se lungo i confini militarizzati della fortezza europea si vive la tragedia, all’interno le cose non vanno meglio.
La fortuna di Draghi
Sommovimenti in Occidente
Ci sono sommovimenti in Occidente. Spuri, ancora non decisivi, ma che incominciano a fare opinione Un trittico di giornate da incorniciare: venerdì notte il Congresso americano ha approvato un pacchetto welfare decennale da 1600 miliardi di dollari, con spese per alloggi popolari, asili gratuiti, spese per istruzione, centralizzazione acquisti farmaci del sistema Medicare, bonus per polizze sanitarie. Domenica è la volta dell’ex direttore di Repubblica Verdelli che su Il Corriere analizza la povertà lavorativa estremamente diffusa con salari bassissimi per tutti, citando le parole di Mattarella, di cui ho reso conto in questa bacheca. Stamane alle 6, prima di lavorare, sono catturato dall’editoriale del direttore guerrafondaio atlantista Ezio Mauro di Repubblica, La rivincita del Welfare. Cito alcuni passaggi: “siamo davanti ad una resurrezione del Welfare;(…)Oggi c’è anche la consapevolezza che il Welfare è uno strumento di governo delle società complesse perchè costituzionalizza il bisogno e l’insicurezza, ammortizza la lotta di classe, obbliga lo Stato a rivelare una sua dimensione sociale. (…) E l’abitudine a tollerare un tasso di disoccupazione così alto riduce il monte contributi pensionistico, creando il dogma del welfare troppo caro, mentre è evidente che è la disoccupazione a costare troppo”. I molti contatti della mia bacheca che hanno letto il libro Piano contro mercato sanno perfettamente che la tesi del libro è che il salario sociale, appunto il welfare, è un meccanismo di accumulazione capitalistico perché se tu dai ai proletari l’alloggio popolare, sanità, istruzione,università gratuita, assistenza sociale liberi il suo reddito che lo investe in risparmi (buoni per gli investimenti) e in consumi. Era il modello della Prima Repubblica, con la stagione delle riforme. La Cina sta mutuando, questa la tesi del libro, questo modello nostro che avevamo e ora è inarrestabile. Ezio Mauro, che vuole quasi la guerra alla Cina, si rende conto che senza welfare non c’è accumulazione capitalistica e dunque l’Occidente soccombe. Questa “resurrezione” del welfare serve al disallineamento economico dell’occidente dalla Cina, per toglierle spazio economico, è in definitiva un arrocco. Al momento in Italia non ci sono questi segni, ma Corriere e Repubblica sono l’eco del capitale finanziario italiano ed internazionale. Da parte mia seguirò quanto di dovere.
Delle volte, nel comunicato mensile di Banca d’Italia, alla voce Bilancia dei Pagamenti, lo trovate scritto con numeri e cifre. Altre volte invece occorre vedere le tabelle, come oggi. Sta di fatto che la posizione finanziaria netta estera, cioè la differenza tra crediti e debiti verso l’estero, alla fine del secondo trimestre di quest’anno è positiva per circa 90 miliardi, 5,7-5,8% di pil. Non trovate nessun media che ne scrive, nessun analista economico, fa quasi scandalo perché fotografa che il Paese, contrariamente a quanto si dice, è altamente competitivo e scoppia di liquidità, tanto è vero che la posizione potrebbe essere più ampia senza che gli investimenti di portfoglio all’estero, gli investimenti finanziari, siano così ampi. Senza questo si arriverebbe a 120-130 miliardi di differenza positiva, un’enormità, tra le prime al mondo. C’è una parte di paese che sta benissimo, ma si lamenta perché vuole sempre più, chiagn e fotte, vuole accaparrarsi fondi pubblici a dismisura. Un Presidente del Consiglio della Prima Repubblica, poniamo Fanfani, uno storico dell’economia che di economia ne capiva, alla luce di queste tabelle avrebbe dato tutti i fondi pubblici a sanità, istruzione, assistenza, ricerca, infrastrutture, ecc. Per una semplice ragione: gli altri non ne avevano bisogno visto che portano i soldi all’estero e ne hanno a bizzeffe. In più non fanno investimenti e tagliano i rami dell’industria che dà loro ricchezza. E’ scandaloso che il Governatore della Banca d’Italia, il Ministro del Tesoro e il Premier non parlino di queste tabelle, bene o male si definiscono economisti. Ma evidentemente l’economia è buona solo per mazzolare il popolo.
Dati dell’export di settembre
Oggi è uscito il dato dell’export di settembre, cresciuto del 10.7% rispetto allo scorso anno. Trionfale, Il sole 24 ore scrive che nei 12 mesi terminanti ad ottobre l’export ha superato il recordo del 2019 (480 miliardi) ,arrivando a 500 miliardi “+ 20 miliardi rispetto al 2019” giubila il giornale. 20 miliardi. Ma se alzassero i miseri salari, assumessero a tempo indeterminato i precari, togliessero stage e tirocini, combattessero il lavoro nero, facessero rispettare le norme sul lavoro e, magari, riducessero l’orario di lavoro, di quanto aumenterebbero i consumi interni? Almeno 100. La miseria per 23 milioni di persone che lavora in cambio di 20 miliardi. O sono scemi o sono folli, altre spiegazioni non ce ne sono.
Europa come blocco unico
Ora si palesa quel che la dirigenza cinese, per decenni, sapeva, non sono fessi, ma ha fatto finta che non ci fosse. Per decenni, appunto, la Cina ha visto l’Europa come un blocco unico, guidato dalla Germania, e non ha mai intrattenuto, se non formalmente, rapporti bilaterali con gli Stati, eccezione la Germania, a cui si è dato per anni un canale commerciale privilegiato. La Cina vedeva il blocco europeo come potenzialmente autonomo agli Usa e per questo lo ha sempre sostenuto, infischiandonese dei rapporti bilaterali. Salutò l’euro con gioia e non intervenne nelle crisi economiche e politiche, vedi Grecia, se non per prendersi il Pireo, della deflazione salariale ultradecennale europea. A costo di non vedere gli effetti tragici, lasciò perdere e non si trattava affatto di non ingerenza, quanto, piuttosto, di speranza di vedere prima o poi l’Ue autonoma dagli Usa. Negli scorsi anni ci fu una serrata trattativa sul Memorandum sugli investimenti bilaterali (Cai), di cui parlo nel libro. Cina sempre speranzosa, fino a quando pochi mesi fa il Parlamento Europeo ha bocciato il Cai. La dirigenza cinese non se l’aspettava e tuttora è molto irritata. Ora l’Ue pone paletti non solo agli investimenti cinesi ma al commercio Ue-Cina. La ragione è semplice: la Cina, ormai è concorrente diretta dei paese leader europeo, la Germania, a cui sta togliendo quote di mercato mondiale. Nei chip, nelle auto elettriche, nel design ingegneristico, nei macchinari, ormai la Cina è leader e per tutta risposta l’Ue, da suicidio, vuole togliere la catena di approvvigionamento con la Cina. Finalmente si apre una finestra per noi: come abbiamo avuto modo di informare in questo sito il Ministro degli Esteri cines eWang Yi, in un colloquio con Draghi, ha affermato che la Cina è pronta ad importare molte più merci italiane e ciò potrebbe portare a togliere quote di mercato in quel paese alla Germania, come sta succedendo da un anno e mezzo con noi che riportiamo mensilmente i dati dell’import cinese dall’Italia. Si apre un’era di conflitto con l’Ue, dopo quello Usa, e un’era, se saremo intelligenti, di proficui rapporti bilaterali. Di questo parleremo venerdi 26 novembre presso l’Asilo Politico di Salerno, diretta streaming, con Potere al Popolo e Cambiare Rotta Salerno.
Marcello Minenna: porti italiani
Nuovo intervento dell’economista Marcello Minenna su Il sole 24 ore di oggi sui porti italiani. Interessante perché questa volta parla espressamente della Via della Seta, la bestemmia della classe dirigente italiana ed europea. Minenna afferma che nonostante la pandemia gli investimenti infrastrutturali ferroviari euroasiatici sono aumentati nel 2020 del 64%. Ciò sta togliendo traffico merci via mare al Mediterraneo. Per trovare una soluzione propone un network tra il porto greco ionico di Igumenitsa, Gioia Tauro, Brindisi, Bari, Ravenna, Genova e Trieste .La formula finanziaria è l’intervento pubblico mediante prodotti finanziari da mettere sul mercato e il Pnnr. L’intervento di Minenna è importante perché per la prima volta si dà importanza alla rotta ionico-adriatica. Nel 1997 Filippo Violi ed io a Crotone proponevamo questa rotta avendo come scalo la nostra città. A distanza di 24 anni viene proposta addirittura da un prestigioso economista, parlo della rotta ionico-adriatica, su cui si potrebbe ragionare, in sede nazionale e regionale, anche Crotone. Come si può vedere il Mediterraneo è visto centrale e i nostri scali portuali decisivi sulla rotta Europa-Asia. Il governo ha destinato 2 miliardi di euro, pochi, ma si comincia finalmente, ai porti del sud. Il network, data la mole dei traffici, potrebbe essere allargato, a mio modesto parere, alla Sicilia, a Cagliari, a Salerno e Napoli, non tanto per i traffici ma per insediamenti manifatturieri e logistici, contrapposti al Northern Range nord europeo, di cui parlo nel libro. E’ una novità che si parli in maniera pragmatica della Via della Seta e questo è merito dell’economista Minenna e de Il sole 24 ore che lo ha ospitato, addirittura in prima pagina. Chapeau.