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Italia

Dialogo con un industriale sul bilancio di fine anno dell’economia italiana

Oggi pomeriggio ho incontrato un amico industriale, stabilimenti a Salerno e Verona, settore di fornitura per industrie alimentari e detergenti,. “Ti ringrazio della tua disponibilità. Una domanda: come è stato, da un punto di vista di un industriale, l’anno 2021 per l’economia italiana?” “Eravamo partiti con tanta incertezza fino al primo trimestre ma poi abbiamo visto una forte ripresa, che effettivamente c’è stata. Ma abbiamo sofferto del rincaro delle materie prime e dei noli marittimi che hanno tolto molti margini alle imprese. Nell’ultimo trimestre si è aggiunto il forte rincaro energetico, con effetti inflazionistici e diversi miei clienti, pur pieni di ordini, hanno preferito blocchi strategici produttivi perché i prezzi non coprivano più i costi. Si riverserà nel primo semestre del 2022, ci sarà da soffrire di questo scontro Usa Russia che azzoppa l’Europa, già colpita dai rincari delle materie prime. Non vedremo la performance del 2021 se non si risolve questo problema e sicuramente il 2022 vedrà, stante così le cose, un rallentamento”. “Alla luce dell’attuale processo inflazionistico, ritieni che sia preferibile la riduzione delle tasse per i redditi medio bassi  o un aumento generalizzato dei salari?”. “Sicuramente i lavoratori stanno soffrendo e soffriranno per i rincari energetici e per i rincari a valle dei prodotti, specie alimentari. Per fronteggiare questa situazione occorrerebbero tre cose: massiccia riduzione del cuneo contributivo a tutto favore dei lavoratori (oggi un operaio guadagna 1200-1300 euro al mese, con questo arriverebbe a 1500); 2) aumento generalizzato del salario minimo; 3) regolarizzazione di interi settori dove vige il far west del caporalato, quando invece noi industriali siamo iper-controllati. Si deve fare perché il prossimo anno con questi rincari i consumi diminuiscono e ne soffriremo anche noi. “Ritieni che nel 2022 aumenterà la domanda di lavoro?”.  “Guarda, per quel che vedo io il mercato del lavoro sta cambiando, c’è chi chiede flessibilità e chi lascia il lavoro per avviare un’attività autonoma. Quel che bisogna fare è utilizzare parte del reddito di cittadinanza per avviare al lavoro le persone, specie i giovani. Le industrie italiane hanno fame di tecnici, gente che conosca la meccanica, l’elettrotecnica, la chimica, ecc. C’è un gap di competenze e le scuole professionali potrebbero, se potenziate, fare tanto. Ecco potenziare queste scuole soprattutto per i giovani, che si ritroverebbero tante opportunità lavorative. In ultimo spero che una parte dei fondi del PNNR siano utilizzate al fine di parare l’inflazione, che colpirà specie i redditi medio bassi”. “Ti ringrazio e ti auguro Buon Anno”.

Auguri di Buon  Anno a tutti voi.

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Finanza

LA CINA, SULLE MICRO IMPRESE, ADOTTA IL MODELLO ITALIANO

In queste ultime settimane l’autorità fiscale cinese ha adottato misure di riduzione fiscale per micro e piccole imprese per un trilione di yuan, circa 157 miliardi di dollari. Precedentemente i redditi di impresa fino a 19 mila euro erano esenti dai pagamenti fiscali Ora un’ulteriore riduzione fiscale per micro realtà imprenditoriali. La Cina, per decenni, essendosi basata su colossi pubblici (che quest’anno hanno visto  i profitti salire del 40%) e medio grandi imprese  private dedite all’export, ha trascurato il settore dell’artigianato, vanto del nostro Paese. Si ritrova a corto di elettricisti, idraulici, falegnami, muratori autonomi ecc. Deve, accanto ai colossi pubblici e privati, creare un clima economico favorevole alla creazione di un altro settore di micro realtà artigianali e tecnologiche, che attuino, quest’ultime, secondo l’economista Schumpeter, spin off in termini di ricerca e innovazione. Dunque, da una parte sviluppo dell’artigianato, dall’altro piccole realtà altamente innovative che trasferiscano il know how ai colossi, previo pagamento brevetti ,proprio come succede da noi. Questa fu la formula vincente dell’Italia del dopoguerra da cui nacquero design e medie imprese internazionalizzate. Ancora una volta la Cina vede il modello italiano come un modello da cui attingere per il proprio sviluppo futuro. Artigianato che stiamo perdendo in Italia, non aiutato dalle autorità fiscali, e piccole imprese a cui la semplificazione fiscale e amministrativa è negata. Almeno in questo dovremmo imparare dalla Cina. Certo, c’è stata l’eliminazione dell’Irap per micro realtà, ma le procedure fiscali e amministrative sono talmente farraginose che devono rivolgersi a professionisti, con costi esorbitanti. Il lavoro autonomo negli ultimi 17 anni in Italia ha perso due milioni di unità, spesso assorbite da imprese più grandi. Ma mantenere vitale il settore artigianale e le piccole imprese innovative ,da cui fare spin off aziendali, anche in assenza di colossi pubblici e privati,  è vitale. Noi lo stiamo abbandonando, la Cina lo adotta.

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Italia

BLOG

Il blog oggi pomeriggio ha avuto 10 attacchi informatici. Evidentemente in Occidente voci autonome non ce ne devono essere. Questo a due settimane dal lancio. Da parte mia, cari lettori, cercherò di analizzare le realtà economiche in modo obiettivo. Alcuni lettori sono rimasti stupiti che, in un articolo, scrivo che mai come ora i cinesi hanno raggiunto il benessere. Fonti amiche che vivono in Cina da 25 anni e che hanno visto la sua evoluzione. Quanto ai crediti sociali, di cui mi si accusa di occultare, ho chiesto info a diversi manager che stanno in Cina  eche mi hanno risposto che ste cose le hanno lette sui giornali occidentali, loro non sanno cosa siano. Non faccio l’elegia della Cina, chiunque può leggere il mio libro e scoprirà che la tesi di fondo è che la Cina ha preso spunto dal Modello italiano della Prima Repubblica. Ecco, sono legato alla Prima Repubblica, con la programmazione economica in un contesto di piena rappresentatività partitica grazie al proporzionale puro. Non sono legato alla Seconda Repubblica, per niente. Se parlo di Cina è perchè credo che noi avevamo un tesoro e lo abbiamo buttato nella spazzatura. Gli italiani hanno votato nella Seconda Repubblica, io no. Ecco perché mi ritengo voce autonoma. Quindi gli attacchi informatici non fanno altro che stimolarmi, fino a quando sarà tecnicamente possibile.

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Economia

LA GUERRA DI CLASSE E’ PERSA

Iniziò tutto nel 1973, quando Agnelli disse: “Profitti zero”. La lotta di classe operaia era incontrollabile, l’onda lunga dell’autunno caldo ancora viva. La Trilaterale passò all’offensiva, iniziando dal Cile. L’asset inflation prendeva piede contro il profitto industriale perduto. Le delocalizzazione facevano il resto. Con il Piano Werner prima, e poi Thatcher e Reagan poi, la lotta ai salariati raggiunse il suo apice. Lotta contro il salario diretto e salario globale di classe, smantellamento del Welfare, criminalizzazione del dissenso, carcere, eroina e torture per chi non si adeguava. Negli anni novanta pensavano di aver raggiunto lo scopo, con le delocalizzazioni in Cina. Pensavano: questi saranno i nostri nuovi schiavi e da noi aumenteremo la disoccupazione per colpire il salario, fino a farlo rendere da fame. Nel 2008 il giocattolo su ruppe, l’Occidente continuò imperterrito nella stessa onda anti classe lavoratrice, nel mentre la Cina passava al mercato interno e al plusvalore relativo con la Legge sul Lavoro. Obiettivo: raggiungere target di produttività totale dei fattori produttivi vicini o eguali all’Occidente, con fortissime spese per istruzione e ricerca, oltre che investimenti infrastrutturali (marxiane “condizioni generale della produzione). La pandemia ha fatto il resto, l’Occidente non si trova con componenti. Oggi la Cina ha pubblicato un Libro Bianco in base al quale limiterà le esportazioni di diversi beni industriali, per soddisfare l’enorme mercato interno. Mercato interno distrutto in 50 anni in Occidente, che si trova, specie in Europa, senza salari, senza beni industriali, senza mercato interno. La lotta alla classe lavoratrice condotta in questi decenni mostra il suo lato paradossale, il capitale ha distrutto la sua base, appunto il salario, e non gli rimane che asset inflation. Carta, e non altro.

*****

A conferma della opposta dinamica esistente tra decisione politica e “attività di impresa” – in Cina e nell’Occidente neoliberista – due notizie di questi giorni possono aiutare a comprendere meglio.

A) I “mercati finanziari” internazionali da diversi mesi sono in attesa del fallimento di Evergrande, la seconda azienda di sviluppo immobiliare in Cina. La speranza esplicita è che questo possibile default rappresenti la “Lehmann cinese”, un colpo equivalente a quello del 2008 sull’’economia mondiale, ma concentrato soprattutto nel sistema di Pechino.

Grande sorpresa ha perciò registrato l’annuncio della società “moribonda” di aver riattivato il 92% dei propri progetti (all’inizio di settembre, momento più acuto della sua crisi, si era fermato il 50% dei cantieri).

Il ministro per la Casa e lo Sviluppo urbano-rurale, Wang Menghui, ha confermato l’impegno di Pechino “per una stabilizzazione dei prezzi e del mercato. Il tutto, però, senza utilizzare la politica abitativa come strumento di stimolo a breve termine.”

Il contrario di quanto avviene dalle nostre parti, detto in altri termini. Un giornale economico italiano sintetizza così la differenza: “niente superbonus, da quelle parti”.

B) Molto più importante è la decisione del governo di riunificare tre delle più importanti aziende del comparto delle terre rare del Paese, creando di fatto una powerhouse statale del settore che si tramuterà nel principale produttore al mondo di risorse strategiche.

China Minmetals Rare Earth Co. si è unita a Chinalco Rare Earth and Metals Co. e Ganzhou Rare Earth Group, assumendo la nuova denominazione di China Rare Earth Group e dando vita a un conglomerato in grado di controllare il 70% dell’intera produzione cinese di terre rare. Si tratta dei 17 minerali decisivi per la cosiddetta industria 2.0, fondamentali per gli ambiti produttivi più diversi, dai prodotti di elettronica alle auto elettriche fino alle turbine eoliche.

L’obiettivo del governo cinese è consolidare un’industria di punta, ma soprattutto impedire gli scostamenti furiosi dei prezzi dovuti alle “oscillazioni del mercato”, altamente speculative oppure dovute a improvvisi aumenti della domanda.

Uno dei dirigenti neo nuovo gigante delle terre rare è stato ancora più esplicito: “Non possiamo lasciare che le forze di mercato determinino quanto dovrebbero costare le terre rare, questo alla luce della loro importanza strategica. Dobbiamo mantenere le valutazioni stabili, cosi che gli utilizzatori finali possano controllare i costi e muoversi lungo la catena di valore”.

Sintetizzando: un possibile elemento di crisi (Evergrande) viene per il momento neutralizzato senza che lo Stato debba farsi carico dei debiti di una società privata e senza neanche “distorcere” la politica economica seguita dal governo. E un comparto strategico di prima grandezza, centrale per le nuove tecnologie, viene di fatto nazionalizzato sottraendolo alle dinamiche speculative “dei mercati”.

E’ la differenza tra una linea di sviluppo decisa politicamente, che obbliga le imprese private a rispettare determinati obiettivi e standard, e un regime in cui prevale l’interesse individuale delle imprese private, cui gli Stati – come qui da noi – debbono fare i ponti d’oro altrimenti se ne vanno da un’altra parte.

Ed è anche, non per caso, la differenza tra prevalenza dell’economia reale e dominio della finanza…

Redazione Contropiano

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Cina

L’OSSESSIONE CINESE PER LA PRODUTTIVITA’ TOTALE DEI FATTORI PRODUTTIVI

POST FACEBOOK 27 DICEMBRE 2020

 

Ho inviato a molti di voi un articolo di oggi di Contropiano sul sorpasso cinese nei confronti degli Usa ,con vari commenti. Come stanno le cose? Dal 1978 al 2007 i cinesi erano ossessionati da una sola cosa e la vedevano come un pericolo, una minaccia imperialista: il differente livello, allora enorme, di produttività totale dei fattori produttivi rispetto all’Occidente. La fase di “comunismo di guerra” durata quasi trentacinque anni aveva questo scopo, ridurre il divario. Ecco le immagini delle fabbriche di cinesi ammassati e salari da fame. I governanti avevano questo scopo, ridurre il divario di PTTF. Utilizzarono massicciamente gli scritti di Marx sull’accumulazione del capitale e i lavori di Schumpeter che vedeva gli investimenti, e non i consumi, come motore dell’economia. Le province si indebitarono massicciamente per ridurre il divario con investimenti industriali, infrastrutturali, tecnologici e ambientali. Copriva il governo, mediante la tassazione dei colossi pubblici, proprio come avveniva in Italia durante la Prima Repubblica (negli anni sessanta Cossiga ebbe a dire che arrivavano tanti soldi allo Stato che non sapevano come spenderli). Tutto cambia nel 2007, con la crisi mondiale. Cambio di rotta, ci si avvia al plusvalore relativo e alla reflazione salariale, oltre che offerta di salario sociale. I divari di PTTF si riducono notevolmente e i cinesi possono “rilassarsi”. Fu una fase, all’interno di una programmazione di 50 anni, per questo non si preoccuparono delle critiche occidentali. Schumpeter servì loro per raggiungere standard occidentali e ora vi è la doppia circolazione, i consumi, tramite il salario sociale che riduce il “risparmio precauzionale”, prendono il posto degli investimenti. Nell’Italia dell’austerità sono mancati sia gli investimenti sia i consumi. Pensate a che livello ci hanno ridotto.

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Cina

LAVORATORI IN CINA, VISTI DA PROFESSIONISTI OCCIDENTALI.

Spesso scrivo post su Facebook e poi mi arrivano messaggi di utenti della mia bacheca che chiedono riferimenti.

Ieri ho ricevuto un messaggio da una persona che chiedeva il mio numero telefonico perché voleva parlarmi con urgenza. Non ci ho pensato un attimo, gliel’ho dato.

Mi chiama e fa, “perché utilizzi il termine proletariato, non ti sembra un po’ datato?“. Gli rispondo dicendo che con quel termine intendo tutti i salariati, precari, disoccupati e pensionati che vivono soltanto della propria forza lavoro. E’ insomma una definizione che corrisponde a una condizione sociale, non una “moda” di qualche decennio fa.

Poi chiede: “Come fai ad essere così informato sulla Cina?“. Gli rispondo “Non capisco, dove vuoi arrivare?”

Ha cosi inizio una conversazione per molto interessante. Sulla Cina, in fondo, seguo da decenni le evoluzioni economiche, i dati registrati anche dalle istituzioni internazionali, i “piani quinquennali, ecc, tanto da averne fatto gran parte di un linro (Piano contro mercato). Ma non ci sono stato.

Lui spiega di essere un consulente, che possiede una Sas, di fatto un “imprenditore di se stesso”. Assieme ad altri professionisti progetta prodotti di alta tecnologia.

Da anni per lavoro va in Cina, l’ha girata in lungo e in largo, specie il Guangdong, dove il cuore è Shenzen, e la zona più industrializzata che va fino a Shangai. Ha visitato molte aziende hitech. Ci sono capannoni datati, ma moltissimi sono all’avanguardia.

La parte più interessante, di cui qui non sentiamo mai parlare, è però la condizione operaia, come vivono concretamente i lavoratori.

Gli operai, racconta, entrano in fabbrica alle 8.30, gli impiegati alle 9. Alle 12 tutti a mangiare, chi vuole può andare a casa, per gli altri c’è la mensa aziendale. Gli operai, dopo aver finito di mangiare, possono riposare fino alle 14. Alle 14 si riprende e si lavora fino alle 18, poi tutti fuori dalla fabbrica.

Quelli che vivono più distanti dal luogo di lavoro vengono raccolti e riportati a casa con pulmini aziendali, come qui da noi avveniva praticamente solo con il personale di volo dell’Alitalia, quando era una società pubblica e i lavoratori di quell’azienda venivano considerati “privilegiati” (in realtà era una misura di sicurezza, perché è meglio che il personale di volo prenda servizio nelle migliori condizioni fisiche possibili).

Nel weekend le aziende organizzano partite di basket, calcio o gite aziendali. I cinesi sono soliti cenare alle 18.30, dopo tutti per strada ad affollare i locali fino a mezzanotte. E così nell’intero weekend.

Nel Guangdong i salari sono più alti che da noi. Mi racconta che i cinesi del sud sono come i latini, ospitali, cordiali e calorosi (loro dicono: “non siamo come i giapponesi”), ma se ti senti superiore a loro, chiudono, e di te non vogliono più saperne.

Sentono molto il senso della comunità, che viene prima dell’individuo e le stesse forme di controllo sono da loro giustificate con il “senso della nazione“.

I cinesi, quasi tutti, sono molto grati al governo per il benessere che ha portato e tutti – ripeto: tutti, visto che anche le statistiche internazionali dichiarano ufficialmente estinta la povertà – lavorano prima per il Paese e poi per se stessi.

Ancora. Mi spiega che da tanti anni non ci sono più i “dormitori aziendali”. Quella era un altra epoca. E’ finita l’epoca della produzione a basso costo (e bassi salari), ora dettano loro al mondo il catalogo dei prodotti industriali. Investono tantissimo in istruzione e ricerca e ormai sovrastano tutti.

Il mio interlocutore al telefono maledice le privatizzazioni e i tagli alla ricerca e all’istruzione, fatti da noi negli ultimi 30 anni; dice che “la pagheremo cara, in futuro”. E’ sbalordito da come tv e giornali italiani vedono la Cina, “tutte falsità”. Ci siamo lasciati dicendo che leggerà il mio libro.

In serata ho chiesto conferma ad un altro consulente che vive da 12 anni in Cina. Mi dice che nel Guangdong è sicuramente così, mentre in altre aree i salari sono paragonabili a quelli del Portogallo, con la differenza che in Cina la vita costa meno e dunque il potere d’acquisto è più alto.

Ad esempio un biglietto della metro costa 40 centesimi di euro, un taxi per 10 minuti, diffusissimi. 1,30 euro.

Per finire, mi raccomando: date retta a chi dice che in Cina “sono schiavi”, per nascondere il fatto che gli schiavi ora siamo noi.

*****

La risposta dal secondo consulente:

Carissimo, che dire?

Ti confermo assolutamente le notizie che hai avuto, solo un piccolo distinguo sul livello salariale. Nella zona del Guangdong i salari sono molto più alti rispetto al resto del paese, per tutta una serie di ragioni. In altre aree le retribuzioni non sono altissime, ma oramai arrivano mediamente a livello di paesi europei tipo Portogallo o paesi dell’est.

Con il vantaggio che la vita e i servizi sono molto meno cari, il che si traduce, come ben sai, in un potere di acquisto nettamente superiore a molti paesi europei.

Facciamo un esempio, la metropolitana qui a Tianjin (la quarta città della Cina per popolazione) costa per una corsa 3 RMB (circa 40 euro/cent), a Milano 2 euro (anche se a tempo).

I bus costano 1,9 RMB, circa 22 euro/cent, una corsa in taxi (diffusissimi) di circa 10 minuti, 11 euro/cent (1 euro e 30 circa).

Questo ti da un quadro un po’ più chiaro della reale situazione.

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LA CINA CAMBIA IL TERRENO DI GIOCO DELL’ECONOMIA GLOBALE

di Pasquale Cicalese

 

21 NOVEMBRE 2020

Dieci anni fa, il grande economista Marcello De Cecco ebbe a dire che in futuro lo yuan, la divisa cinese, difficilmente avrebbe avuto un ruolo internazionale, stante l’enorme surplus della bilancia commerciale assieme al surplus delle partite correnti.

Quest’ultimo presentava un dato mostruoso allora: 10,1% rispetto al Pil. Il modello a cui si riferiva de Cecco era la Gran Bretagna della fine Ottocento/prima decade del Novecento. La sterlina dominava il mondo grazie al deficit delle partite correnti, attutito dall’enorme surplus che la Gran Bretagna aveva allora con la colonia India.

De Cecco era dell’idea che per essere valuta internazionale occorreva aprire il mercato e avere deficit di bilancia commerciale, vale a dire più import che export, e avere deficit di partite correnti. La richiesta della valuta di tale paese sarebbe stata, per questa ragione, significativa.

Il modello inglese è stato implementato in Usa negli ultimi 50 anni con il predominio del dollaro, contraltare dell’enorme debito estero e del deficit delle partite correnti.

Quel che però l’economista italiano non poteva immaginare è che, da allora, la Cina ha azzerato il surplus delle partite correnti, portandolo da 10.1% all’1,4% dello scorso anno. Tale riduzione fotografa l’enorme sforzo cinese per sostenere l’economia mondiale, sforzo che nessun media mainstream riconosce. Rimane il surplus della bilancia commerciale, che nel 2020 si attesta a 400 miliardi.

Prima nota: Xi Jinping, due giorni fa ha comunicato che il livello dell’import cinese ad ottobre 2020 è pari a quello del 2019, contrariamente a tutti gli altri paesi che, stante la pandemia e il crollo del commercio estero, hanno visto una forte diminuzione di import.

Ma nello stesso discorso il Segretario del Pcc informava che con la “doppia circolazione”, interna ed esterna, con una forte vocazione all’economia domestica, la Cina si impegna ad aumentare fortemente le importazioni da tutto il mondo e ad azzerare il surplus commerciale.

Dunque l’economia mondiale vedrebbe una domanda cinese aggiuntiva di 400 miliardi, se non di più.

La focalizzazione sull’economia interna, che trascinerà le importazioni, si basa sull’innovazione tecnologica delle industrie (come fonte primaria di valore), sullo sviluppo dei servizi e sull’ampliamento dei servizi pubblici di base.

Architrave di quest’ultimo sarebbe la riforma sanitaria, che forse verrà comunicata durante le sessioni parlamentari di marzo. Se ciò avvenisse ci sarebbe un altro scossone cinese e di conseguenza mondiale.

L’ammontare del risparmio cinese nell’ultimo decennio è pari al 486% del Pil, a cui fa da contraltare un debito cumulato di 342% del Pil. L’offerta di servizi pubblici di base, il salario sociale, avrebbe come conseguenza l’abbattimento del tasso di risparmio “precauzionale” (i cinesi hanno fin qui risparmiato per cure sanitarie e previdenza), che favorirebbe i consumi e il settore dei servizi, nel frattempo digitalizzato.

Questo perno “sociale” costituirebbe la base dell’abbattimento del surplus commerciale e un quadro di partite correnti che sarebbe in deficit, coperto dalle enormi riserve valutare della People’s Bank of China (3.140 miliardi di dollari).

A quel punto, la divisa cinese avrebbe un ruolo internazionale, prima nel Pacifico e poi a livello mondiale, a scapito… dell’euro, che presenta enormi surplus delle partite correnti.

La vulgata della sedicente “sinistra radicale” nell’ultimo ventennio era che la Cina sosteneva l’euro come scudo contro il dollaro. Ma ora si libera, fa tutto da sé; non tocca il dollaro, anche perché si è instaurata una connessione finanziaria tra Wall Street e Shanghai, e tra City londinese e Shanghai.

Anche per capire la Cina di oggi, come per capire l’Italia, l’economista Marcello de Cecco ha ancora tanto da insegnarci

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I VERI SALARI IN CINA

Spesso in Italia si dice che quando un lavoratore guadagna pochissimo, è pagato una miseria, ha salari cinesi. Ma come sono i livelli del salario in Cina? Nel libro racconto che il Governo tramite il salario sociale globale di classe negli ultimi anni ha deciso detrazioni per spese mediche, abitative e detrazioni fiscali. Da una ricerca condotta risulta che in una media metropoli i salari, se rapportati al costo della vita, non sono bassi, con la premessa che in Cina i salari si differenziano notevolmente per province e che a Pechino e Shanghai risultano i più alti. Andiamo a verificare i salari di una media metropoli posta nell’Est del Paese. Un operaio guadagna 576 euro, un impiegato 1088 euro, nette. Il suo salario ha delle trattenute: fondo pensione 54 euro, assicurazione medica 14 euro, disoccupazione 2 euro, Fondo per la casa 34 euro. Il suo salario lordo è 681, al netto di queste trattenute fa 576. A sua volta il datore di lavoro paga per il lavoratore 123 euro il Fondo Pensione, 61 euro assicurazione medica, 5 euro disoccupazione, 7 euro la maternità e 34 euro Fondo Casa, oltre a due euro assicurazioni infortuni. Abbiamo detto che per la casa il Governo dà detrazioni fiscali. In Cina un lavoratore può usufruire parzialmente del Fondo Casa, suo e del datore di lavoro, per pagarsi l’affitto, affitto che, in una media metropoli, costa, casa nuova, 347 euro, 111 una casa che ha diversi anni. Il Fondo Casa può essere utilizzato dal lavoratore al 100% per l’acquisto casa (costo medio mq 1800 euro) o può essere, se non utilizzato, liquidato a fine lavoro come liquidazione.  Per quanto riguarda il costo della vita un’ottima cena in un ristorante che non sia di lusso costa 6,87 euro a persona, le utenze domestiche, acqua luce gas, 28 euro, la corsa della metro 0,69 euro. Questi dati si riferiscono a 5 giornate lavorative a settimana e non contemplano gli eventuali straordinari. Diversa la situazione a Pechino e Shanghai, qui un operaio guadagna 873 euro nette e un impiegato 1296. Nella media metropoli i salari possono sembrare bassi ma occorre rapportarli al costo della vita. La reflazione salariale cinese, partita 20 anni fa e ancora in pieno svolgimento, ha avuto effetti sulla domanda interna, che costituisce ormai il 70% del pil, e sul benessere dei cinesi, i quali, unici al mondo, hanno la prospettiva, e così pensano, di migliorare sempre più la loro condizione di vita. Come si vede nella busta paga ci sono tutti gli istituti del Welfare, parzialmente a carico dei lavoratori, a cui corrispondono costo della vita e costo utenze domestiche basse. Tra salario diretto e salario globale di classe, garantito dal Governo, pensiamo agli alloggi popolari con prezzi calmierati o alla copertura dell’assicurazione media tramite detrazioni, i salari cinesi mostrano un livello di tutto rispetto. Siamo noi che abbiamo salari da fame, non loro, l’epoca dei salari bassissimi in Cina è finita da un pezzo.

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E’ L’EDILIZIA CHE TRAINA LA CRESCITA ITALIANA NEL 2021

Oggi l’Istat ha diffuso i dati della produzione delle costruzioni ad ottobre. Su base congiunturale vi è una crescita dell’0.8%, su base tendenziale del 10%. Complessivamente, nei primi dieci mesi di quest’anno le costruzioni sono cresciute del 25%. Il Cresme, centro studi dell’associazione dei costruttori, un mese fa ha calcolato che, su di una crescita complessiva del 6.1% del pil, le costruzioni contribuiscono per il 3.6%. La domanda estera netta, differenza tra export e import, sarebbe nulla, mentre i consumi privati contribuiscono per la restante parte assieme agli investimenti. Il segreto è il superbonus edilizio, varato lo scorso anno. C’è chi calcola che su di un mancato gettito fiscale di 18 miliardi vi è un effetto moltiplicatore pari a 3, circa 54 miliardi. Il superbonus è stato confermato anche per il 2022. Assieme alla spesa per le infrastrutture, l’edilizia farà la parte del leone anche il prossimo anno. Non si trova manodopera in questo settore, i ritmi sono massacranti e spesso ci sono infortuni mortali, come tre giorni fa a Torino. Ma c’è da dire che finalmente dopo 15 anni l’edilizia prende il suo posto nel Pil del Paese: protagonista nella Prima Repubblica, fu bistrattata nella Seconda anche per via della chiusura dei rubinetti da parte delle banche e dell’imposizione fiscale, vedi Imu. La casa è stata vista negli ultimi 30 anni come un bancomat per l’erario, un salasso che ha ucciso il settore degli immobili. Settore che quest’anno si prende la rivincita con le compravendite pari a +47%. Il primo amore degli italiani riprende il podio, corsi e ricorsi storici.

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I PRIVATI, CON I LORO CREDITI ALL’ESTERO, SOPPIANTANO IL DEBITO PUBBLICO

Oggi è uscito il dato della Bilancia dei Pagamenti riferito al mese di ottobre, rilasciato da Banca d’Italia. Questa la fotografia: nei dodici mesi terminanti in ottobre 2021 il surplus di conto corrente è stato pari a 62,9 miliardi di euro (il 3,6 per cento del PIL), da 58,8 miliardi nel corrispondente periodo del 2020. Il miglioramento è dovuto principalmente all’incremento dei surplus dei beni (68,4 miliardi, da 65,2) e dei redditi primari (22,1 miliardi, da 18,8); vi ha anche contribuito la lieve riduzione del deficit dei servizi (-7,1 miliardi, da -8,0) . I redditi primari sono dividendi ed interessi incassati da operatori privato all’estero. Fanno solo questa voce 20 miliardi, il triplo del reddito di cittadinanza. Sono indicativi della ricchezza detenuta da privati italiani che la detengono all’estero. Ma per avere un’idea occorre scorrere la tabella saldi della posizione finanziaria estera: la Banca d’Italia ha debiti con l’estero, dovuto al Qe principalmente, per 246 miliardi, le Pubbliche Amministrazioni (debito pubblico detenuto da operatori esteri ,spesso gli stessi italiani nei paradisi fiscali o in centri off-shore) ha debiti per 765 miliardi. Le banche hanno debiti per 54 miliardi. I privati invece hanno crediti verso l’estero pari alla sbalorditiva cifra di 1.187 miliardi di euro. Sommato alla liquidità nel Paese ,che raggiunge 4.200 miliardi di euro, con liquidità a livello record negli stessi bilanci delle aziende, è sbalorditivo che si continui a dare soldi ad operatori privati, aggravando il debito pubblico e tagliando la spesa sociale. Vizi pubblici e virtù private nascondono questo assetto di classe, dove operatori privati hanno ricchezze immense e il pubblico ormai non garantisce i servizi basilari come istruzione e sanità. Il saldo è 90 miliardi di euro, in positivo, 5,7% del pil. Abbiamo più crediti che debiti verso l’estero. Non credo alle patrimoniali, ma certo occorrerebbe che i privati non venissero più oliati con soldi pubblici, i soldi li hanno, a bizzeffe. Piuttosto occorrerebbe spronarli ad investire con soldi propri, ma è da 50 anni che non lo fanno, uno dei motivi della nostra decadenza. Anche l’Italia del 600 era ricca, eredità del Rinascimento, ma prese una brutta piega rinunciando alla modernità capitalistica. Oggi sembra che la modernità capitalistica da noi significhi dare 170 miliardi pubblici ad operatori privati e pagare la gente una miseria. Stanno tagliando le radici su cui poggia il loro albero.