Oggi il giornale di Confindustria ospita un intervento dell’economista Andrea Goldstein in merito alla Conferenza centrale sull’economia (Cewc) cinese che si è svolta nella scorsa settimana. Come al solito si riconosce a denti stretti che la Cina ha contribuito negli ultimi dieci anni ad un quarto della crescita mondiale, si stigmatizza il fatto che il Governo, per combattere la disoccupazione tra i laureati, ha aperto le porte nel pubblico, una bestemmia da noi almeno da 30 anni con il blocco del turn over. Goldstein è rammaricato che la Cina si presenta al mondo come modello in luogo della crisi della “democrazia americana” degli ultimi dieci anni, ma batte il tasto su di un fatto che tutto l’Occidente non ha perdonato a Xi. Quando salì al potere nel 2013 tutti si aspettavano le privatizzazioni dei colossi pubblici. Xi li smentì, anzi rafforzò il pubblico e ora le aziende statali, risanate per lo più, costituiscono l’asse nervante della crescita cinese. A Goldstein e agli altri non va giù questo, seguendo il loro modello di meno Stato più mercato, che si traduce in più Stato per il mercato (il Segretario Uil in una recente intervista a Repubblica ha dichiarato che il governo italiano nell’ultimo anno ha dato 170 miliardi alle imprese e 1,5 miliardi per la riduzione Irpef redditi bassi). Come scrissi nel libro Piano contro mercato, la Cina studiò la Russia di Eltisn, l’Inghilterra della Thatcher e la stessa Italia, vide in loro la decadenza economica partita proprio dai mega piani di privatizzazione. Xi sarà riconfermato per altri 4 anni a marzo, all’Assemblea del Popolo. C’è da sperare che continui sul tema Stato mercato in questo percorso. Goldstein veda le macerie del nostro Paese negli ultimi 30 anni, con un tasso di povertà triplicato, mentre in Cina quasi azzerato (lo riconosce anche lui nel pezzo) e si interroghi sulle politiche economiche condotte che ci hanno portato a questo. In modo da non dare insegnamenti ad altri Paesi.