IL CROLLO ROVINOSO DEL NASDAQ

Pubblico questo stupendo post dell’economista Giacomo Gabellini, autore di vari saggi tra cui, l’ultimo, bellissimo Krisis, di cui vi consiglio vivamente la lettura.

Rispetto allo scorso 1° gennaio, l’indice Fang, acronimo di Facebook, Amazon, Netflix e Google, ha registrato una caduta del 15% abbondante. Se nel computo si ricomprendono anche le performance negative realizzate da Microsoft, Apple e Nvidia (il cosiddetto Fang+), il bilancio risulta ancor più problematico: si parla di perdite quantificabili in circa 1.700 miliardi di dollari nell’arco di un mese. Il gruppo Meta, cui fanno capo Facebook, WhatsApp e Instagram, ha bruciato oltre 250 miliardi di dollari di capitalizzazione in un pomeriggio.

Si tratta di rovesci di indubbio rilievo, specialmente alla luce del ritorno del 702% assicurato dal Nasdaq-100 nell’arco degli ultimi dieci anni.
La correzione è giudicata da molti fisiologica, sia in ragione della colossale sopravvalutazione che i titoli tecnologici hanno conosciuto sulla scia della politica monetaria ultra-espansiva portata avanti dalla Federal Reserve in accordo con il Dipartimento del Tesoro, sia per via del fatto che l’intero settore hi-tech sta avviandosi verso la piena maturità.
Ben pochi analisti si sono tuttavia soffermati sui contraccolpi devastanti che potrebbero verosimilmente scaturire dalla “stabilizzazione al ribasso” di un indice cruciale come il Nasdaq. Nel dicembre del 2021, il debito marginale (la massa di denaro presa in prestito per l’acquisto di nuove azioni da impiegare a garanzia del credito ricevuto) ha raggiunto la soglia critica del 936 miliardi di dollari, con un incremento del 40% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, ed è arrivato a rappresentare qualcosa come il 2,4% della capitalizzazione di mercato complessiva (pari a 38.000 miliardi di dollari) dell’indice Standard & Poor’s 500.
Nel momento in cui il valore delle azioni che un trader acquista a margine scende oltre una determinata soglia pattuita preventivamente con l’erogatore del prestito, il broker titolare del credito fa scattare la cosiddetta margin call, che impone al contraente di depositare la somma di denaro necessaria a compensare la perdita di valore subita dalle azioni acquistate. In tale contesto, o il trader dispone della liquidità necessaria, oppure si ritrova nella scomodissima posizione di dover tassativamente vedere le azioni acquistate a margine per raccogliere quanto più denaro possibile da girare al creditore.
Naturalmente, tanto più il numero delle margin call sale, quanto più si moltiplica il volume delle vendite, e quanto più intensificano le pressioni al ribasso sugli indici azionari. Il presenza di uno scenario simile, il risultato micidiale è il crollo rovinoso dei listini”.