Oggi Il Sole 24 Ore si chiedeva come mai lo yuan nell’ultimo anno si sia rafforzato sul dollaro, specie da settembre in poi. Faceva presente che il dollar index, il paniere di valute internazionali rapportate al dollaro, negli ultimi tempi è passato da 91 a 98 (a favore del dollaro, specie negli ultimi due mesi con le tensioni ucraine), ma lo yuan si è apprezzato da 6,50 a 6,37, dunque apprezzandosi su tutte le valute. Le ragioni sono molteplici: la politica monetaria cinese, che negli ultimi tempi è andata verso un sentiero accomodante, avendo comunque tassi reali positivi per circa 2.1 punti percentuali. La politica fiscale che è proattiva, la fermezza della Pboc a non importare inflazione dall’estero e soprattutto l’enorme afflusso di capitali verso la Cina, visto ora come paese rifugio. Ma non basta questo per capire. Occorre andare molto indietro: l’enorme tasso di investimento, pubblico e privato, pari al 47% del pil, ha aumentato enormemente la produttività totale dei fattori produttivi. Ciò si è riversata in parte in reflazione salariale (consistente), l’altra in efficienza produttiva che ha fatto si che i prezzi alla produzione fossero inferiori a quelli occidentali. Lo stesso boom dei prezzi delle materie prime, causato in primis dall’immissione di liquidità durante la pandemia da parte di Fed e Bce (Fed per 8 trilioni di dollari), si è riversato sulle materie prime; il conflitto ucraino ha fatto il resto. Ma la Cina, durante la pandemia, aveva fatto un enorme stoccaggio di materie prime, di tutte, quando i prezzi erano crollati, dunque, avendo centrali d’acquisto centralizzate, ha potuto in seguito parare il colpo: avevano fieno in cascina. Ciò ha portato ad un differenziale inflazionistico, a livello produttivo, e a livello di indice dei prezzi (a febbraio è stato pari allo 0.9%) con l’Occidente enorme: l’indice dei prezzi alla produzione cinese a febbraio è cresciuto dell’8%, a gennaio nell’eurozona del 25%. Ciò porta ad una competitività, malgrado lo yuan forte, grande. Inoltre, se si vedono i giornali economici, si leggono industriali che sono a caccia di materie prime e semi-lavorati (avendo il pieno di commesse). Questo porta ad un vantaggio non solo cinese, ma lo stesso russo (questo paese detiene materie prime per un ammontare enorme). A meno che si voglia distruggere la catena del valore, questo è lo scenario. La Cina, malgrado lo yuan forte, continuerà ad esportare massicciamente, forse frenata dall’ondata di Covid (ieri 2300 casi). La stabilità monetaria, dei prezzi, e la politica fiscale portano dunque gli operatori economici a confluire parte del loro risparmio sulle piazze cinesi, rafforzando vieppiù lo yuan. Non è la Cina di 30 anni fa con yuan debolissimo per aumentare le esportazioni, ora è, a livello finanziario, una sorte di paese rifugio, come Singapore, come la Svizzera. Può sorprendere questo, visto che ancora si definiscono un paese in via di sviluppo, ma è la realtà. Avendo riserve monetarie, avendo tanto oro, avendo crediti internazionali (due trilioni sono verso il debito americano) ora passano alla politica dello yuan forte e dell’attrazione di capitali, con la Borsa, ai minimi lo scorso anno, che ora è appetibile. E’ come se avessero tutto: politica monetaria accomodante (sebbene con tassi reali positivi in modo da tutelare il risparmio dei suoi cittadini), politica fiscale proattiva, reflazione salariale, taglio tasse, probabile nei prossimi mesi altre misure in termini di salario sociale. La Lunga Marcia, di cui parlava Xi, sembra approdare verso un assetto del paese all’avanguardia anche dal lato finanziario, dopo che già deteneva il 30% del capitale industriale mondiale. Che dire: chapeau.
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