IL DOLLARO E L’UOMO CON LA PISTOLA

Pubblico un estratto del libro di David Graeber, gentilmente datomi dall’amica Simona Ferlini.

 

Da: Debito, i primi 5000 anni, cap. 12

C’è una ragione perché lo stregone ha questa strana capacità di creare denaro dal nulla. Dietro di lui, c’è un uomo con la pistola. 

Certo, in un certo senso c’è fin dall’inizio. Ho già sottolineato che la moneta moderna si basa sul debito dello stato e che gli stati s’indebitano per finanziare la guerra. Questo è vero oggi come lo era ai tempi di re Filippo II. La creazione delle banche centrali rappresenta l’istituzionalizzazione permanente del matrimonio tra gli interessi finanziari e militari che iniziò a emergere nell’Italia rinascimentale, per diventare infine il fondamento del capitalismo finanziario.6

  Nixon lasciò fluttuare il dollaro per pagare i costi di una guerra in cui, nel solo periodo 1970-1972, ordinò di sganciare più di quattro milioni di tonnellate di bombe incendiarie sulle città e i villaggi dell’Indocina guadagnandosi il soprannome di «più grande bombardiere di tutti i tempi», attribuitogli da un senatore.7 La crisi debitoria fu una diretta conseguenza della necessità di pagare le bombe, oppure, per essere più precisi, di pagare la vasta infrastruttura militare necessaria ai bombardamenti. È questa la causa che mise alle corde le riserve auree statunitensi. Molti sostengono che sganciando il dollaro dall’oro Nixon abbia reso la moneta USA pura fiat money: dei semplici pezzi di carta, senza alcun valore intrinseco, trattati come moneta solo grazie al volere degli Stati Uniti. In questo caso, si potrebbe affermare che ora il dollaro sia sostenuto unicamente dalla potenza militare degli Stati Uniti. In un certo senso è vero, ma il concetto di «moneta fiduciaria» si basa sull’assunzione che la moneta «fosse» veramente oro inizialmente. In realtà, ci troviamo di fronte solo a un altro tipo di valuta creditizia. 

  Contrariamente alla convinzione più diffusa, il governo statunitense non può «stampare liberamente moneta», perché i dollari non vengono emessi dal governo, ma dalle banche private, sotto l’egida del Federal Reserve System. Tecnicamente, la Federal Reserve – nonostante il nome – non è affatto parte dello stato, ma una sorta di strano ibrido tra pubblico e privato: un consorzio di banche private il cui presidente è designato dal presidente degli Stati Uniti, con l’approvazione del Congresso, ma che non opera sotto la supervisione pubblica. Tutte le banconote da un dollaro in circolazione in America sono «Federal Reserve Notes» – la Fed le emette come cambiali, commissionando alla zecca degli Stati Uniti la stampa vera e propria, pagandola quattro centesimi a banconota.8 Questo sistema è una piccola variazione dello schema inventato dalla Banca d’Inghilterra, solo che qui la Fed «presta» soldi al governo americano comprando titoli del debito pubblico, e poi monetizza il debito prestando il denaro che gli deve il governo statunitense ad altre banche.9 La differenza è che mentre originariamente la Banca d’Inghilterra prestava oro al sovrano, la Fed crea i dollari semplicemente con un tratto di penna. Quindi, è la Fed ad avere il potere di stampare moneta.10 Le banche che ricevono i prestiti della Fed non hanno più la facoltà di stampare direttamente moneta, ma è loro permesso creare moneta virtuale concedendo prestiti secondo il sistema della riserva frazionaria stabilito della Fed, anche se all’inizio della crisi creditizia odierna, al momento della scrittura di questo libro, sono stati fatti passi per rimuovere tali restrizioni. 

  Sotto molti aspetti, questa descrizione è piuttosto semplicistica: la politica monetaria è un arcano impenetrabile, e talvolta sembra che lo sia intenzionalmente. (Henry Ford un giorno disse che se l’americano medio avesse scoperto come funziona davvero il sistema bancario, ci sarebbe stata una rivoluzione l’indomani.) La cosa interessante per gli scopi del libro non è tanto che i dollari americani siano creati dalle banche, ma che una delle conseguenze apparentemente paradossali della scelta di Nixon fu che questi dollari andarono a sostituire l’oro come valuta di riserva globale, ovvero come suprema riserva di valore nel mondo, portando agli Stati Uniti enormi vantaggi economici. 

  Nel contempo, il debito pubblico americano rimane un debito di guerra, com’è sempre stato fin dal 1790: gli Stati Uniti continuano a spendere per scopi militari più di tutte le altre nazioni del globo messe insieme, inoltre la spesa militare non è solo la base della politica industriale del governo: occupa una proporzione talmente enorme delle spese dello stato che, se non fosse a causa sua, gli Stati Uniti non sarebbero affatto in deficit.

Le forze armate americane sono le uniche al mondo a mantenere la dottrina della proiezione globale di potenza militare: tramite le circa ottocento basi in territorio straniero, dovrebbero avere la capacità d’intervenire con forza schiacciante in ogni angolo del pianeta. In un certo senso, le forze di terra sono secondarie; almeno a partire dalla Seconda guerra mondiale, la chiave della dottrina militare statunitense è fare affidamento sulla supremazia aerea. Gli Stati Uniti non hanno mai combattuto una guerra in cui non controllassero i cieli, inoltre hanno fatto ricorso al bombardamento aereo molto più sistematicamente di ogni altra forza militare, per esempio, nella recente occupazione dell’Iraq, si sono addirittura spinti a bombardare quartieri residenziali di una città già apparentemente sotto il loro controllo.

L’essenza della sua predominanza militare nel mondo deriva in ultima analisi dal fatto che l’America può sganciare bombe come e quando vuole, con solo poche ore di preavviso, in qualsiasi punto della superficie terrestre.11 Nessuno stato ha mai avuto capacità anche lontanamente comparabili. Infatti, si potrebbe benissimo affermare che è questa stessa potenza a tenere in piedi l’intero sistema monetario mondiale, organizzato intorno al dollaro.   A causa del deficit di bilancia commerciale degli Stati Uniti, un numero enorme di dollari circola all’estero; inoltre, uno degli effetti della scelta di Nixon è che le banche centrali estere possono farci ben poco con questi dollari, tranne comprare titoli del tesoro americano.12 Ecco cosa significa l’affermazione che il dollaro è diventato la «moneta di riserva» globale. Questi titoli del debito statunitense, come ogni altra obbligazione, dovrebbero essere prestiti che infine arriveranno a scadenza e dovranno essere ripagati, ma come nota l’economista Michael Hudson, che iniziò a interessarsi del fenomeno nei primi anni settanta, in realtà non succede mai: 

  Finché questi pagherò del tesoro americano sono parte integrante della base monetaria mondiale, non saranno mai rimborsati, ma continuamente rifinanziati. Questa caratteristica è l’essenza dell’opportunismo finanziario americano, una tassa imposta a spese di tutto il globo.13

  Inoltre, l’effetto combinato dell’inflazione e dei bassi tassi d’interesse pagati da questi titoli è che essi nel tempo si sono deprezzati, aumentando la tassa globale, oppure usando le parole che ho scelto nel primo capitolo, aumentando il «tributo». Gli economisti preferiscono chiamarlo «signoraggio». Comunque, il suo effetto è che la potenza imperiale americana si basa su un debito che non sarà mai ripagato e mai potrà esserlo. Il suo debito pubblico è diventato una promessa non solo ai cittadini americani, ma alle nazioni di tutto il mondo, che tutti sanno non verrà mantenuta. 

  Allo stesso tempo, gli Stati Uniti insistevano affinché tutti i paesi che avevano titoli del debito pubblico americano nelle proprie riserve si comportassero in modo esattamente opposto: dovevano osservare politiche monetarie restrittive e ripagare scrupolosamente i propri debiti. 

  Ho già notato che, fin dai tempi di Nixon, i compratori più importanti del debito americano tendono a essere le banche di quei paesi che si sono trovati sotto l’occupazione militare americana. In Europa, l’alleato più entusiasta di Nixon era la Germania Occidentale, che al tempo ospitava oltre trecentomila soldati americani. Nei decenni più recenti l’attenzione si è spostata in Asia, particolarmente verso le banche centrali di paesi come Giappone, Taiwan e Corea del Sud, di nuovo, tutti protettorati militari americani. Inoltre, lo status internazionale del dollaro è sostenuto, fin dal 1971, dal fatto che il petrolio sia comprato e venduto solo in questa valuta, mentre ogni tentativo dei paesi Opec di usare anche altre divise si è infranto contro la testarda resistenza di Arabia Saudita e Kuwait, anche loro protettorati militari statunitensi. Quando Saddam prese la decisione unilaterale di passare dal dollaro all’euro nel 2000, seguito dall’Iran nel 2001, presto il suo paese fu bombardato e occupato dalle forze statunitensi.14 Non sappiamo quanto la scelta di Saddam di abbandonare il dollaro abbia contato realmente ai fini della decisione americana di deporlo militarmente, ma nessun paese che faccia una scelta simile può ignorare questa possibilità. Il risultato, soprattutto tra i governanti del Sud del mondo, è stato il terrore diffuso.15 

  In questa prospettiva, lo sganciamento del dollaro dall’oro non va contro l’alleanza fra guerrieri e finanzieri su cui fu originariamente fondato il capitalismo, ne è anzi la definitiva apoteosi. Né il ritorno alla moneta virtuale ha portato alla ricomparsa di relazioni di onore e fiducia: piuttosto, è vero il contrario. Nel 1971, il cambiamento era appena cominciato. L’American Express, la prima carta di credito al consumo, era stata inventata solo trent’anni prima, ma possiamo dire che il moderno sistema nazionale delle carte di credito si è formato solo con l’avvento di Visa e MasterCard nel 1968. Le carte di debito vennero dopo, sono creature degli anni settanta, e la moderna economia dei pagamenti elettronici è nata solo negli anni novanta. Tutte queste nuove relazioni di credito non sono mediate da relazioni interpersonali di fiducia, ma da aziende il cui unico scopo è il profitto; inoltre, una delle grandi vittorie dell’industria americana delle carte di credito è stata l’eliminazione di tutte le restrizioni legali sui tassi d’interesse che può applicare. 

  Se guardiamo alla storia, un’era di moneta virtuale dovrebbe implicare l’allontanamento da guerra, imperialismo, schiavitù e servitù per debiti (salariata o meno), e la creazione di qualche sorta di istituzione onnicomprensiva e globale per proteggere i debitori. Finora abbiamo visto l’opposto. La nuova moneta globale è ancora più radicata nella potenza militare della vecchia. La servitù per debiti continua a essere la maniera principale di reclutare lavoratori in tutto il mondo: sia in senso letterale, come in gran parte dell’Asia orientale e dell’America Latina, che in senso soggettivo, poiché gran parte dei lavoratori salariati e persino degli impiegati stipendiati sente di dover lavorare principalmente per rimborsare un prestito a interesse di qualche tipo. La nuove tecnologie di trasporto e comunicazione hanno solo facilitato questo processo, rendendo possibile far pagare a domestici o a operai migranti migliaia di dollari in spese di trasferimento, per poi costringerli a lavorare per ripagare il debito in paesi lontani dove non hanno alcuna protezione legale.16 Le grandi istituzioni cosmiche e onnicomprensive che potrebbero essere in qualche modo paragonate ai re divinizzati dell’antico Medio Oriente o alle autorità religiose del Medioevo non sono state create per proteggere i debitori ma per far valere i diritti dei creditori. Il Fondo monetario internazionale è solo l’esempio più lampante. Rappresenta il pinnacolo di un’enorme burocrazia globale in ascesa – il primo vero sistema amministrativo globale nella storia umana, rappresentato non solo da Nazioni Unite, Banca mondiale, World Trade Organization, ma anche dall’infinito insieme di unioni economiche, patti commerciali e organizzazioni non governative che lavorano al loro fianco, in larga parte sotto il patrocinio statunitense. Tutte funzionano secondo il principio per cui (a meno che uno non sia il Tesoro degli Stati Uniti) «bisogna pagare i propri debiti», poiché si ipotizza che il fallimento di un qualunque paese metta in pericolo l’intero sistema monetario mondiale, minacciando di trasformare tutti i sacchi d’oro (virtuale) in pezzi di carta senza valore, per usare la colorita immagine di Addison. 

  Tutto vero. A ogni modo, qui stiamo parlando di soli quarant’anni. Ma l’azzardo di Nixon, quello che Hudson chiama «imperialismo del debito», è già sottoposto a forti pressioni. La prima vittima è stata precisamente quella burocrazia imperiale dedicata alla protezione dei creditori (non quelli a cui dovevano soldi gli Stati Uniti). Le politiche del Fondo monetario che insiste nel chiedere che i debiti siano ripagati quasi esclusivamente attingendo dalle tasche dei poveri si sono scontrate prima contro un movimento di ribellione sociale, parimenti globale (il cosiddetto movimento no global – anche se il nome è profondamente fuorviante), poi contro un’aperta ribellione fiscale tanto in Africa quanto in America Latina. Dal 2000, i paesi asiatici hanno iniziato a boicottare sistematicamente il FMI. Nel 2002, l’Argentina commise il peccato peggiore: fare default sul proprio debito, ed è riuscita a scamparla. Le seguenti avventure militari statunitensi, chiaramente volte a terrorizzare e intimidire, non hanno avuto molto successo: in parte perché, per finanziarle, gli Stati Uniti hanno dovuto fare ricorso non solo alla solita schiera di clienti, ma anche e sempre di più alla Cina, il suo maggior rivale militare rimasto. Dopo il collasso quasi totale dell’industria finanziaria americana, che, nonostante le fosse stata concessa la capacità di creare denaro quasi ad libitum, è riuscita ugualmente a creare migliaia di miliardi di passività che non può ripagare, gettando in recessione l’economia mondiale, è venuta meno anche la pretesa che l’imperialismo del debito garantisca stabilità.