Pubblico qui di seguito un intervento di un lettore circa i referendum del 12 giugno sulla giustizia. Graditi commenti, critiche e condivisioni. Buona lettura.
“Chi scrive ha un’impostazione distaccata e lineare del problema giustizia in Italia: non sono iscritto, né milito in un qualsiasi partito politico, quindi, osservo e ragiono in modo autonomo, lontano da interessi di qualsiasi natura.
Il 12 giugno 2022 gli italiani saranno chiamati alle urne per esprimersi sui c.d. cinque referendum sulla “giustizia”.
L’elettore ha una grandissima difficoltà a comprendere (e quindi a decidere) il merito dei quesiti referendari e la portata di simili decisioni; sono numerose le segnalazioni in merito e, lascio ai siti istituzionali e agli organi d’informazione il doveroso chiarimento; a me interessa affrontare il nocciolo del problema “giustizia” nell’ottica dei referendum e in quella de iure condendo della c.d. “riforma Cartabia”; di seguito indico l’indirizzo della “Gazzetta Ufficiale” relativa alla legge delega L. n. 134/2021 in www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/2021/10/04/237/sg/pdf
I quesiti referendari – tutti molto tecnici – verteranno su 1. La separazione delle carriere dei magistrati, 2. La riforma del Consiglio Superiore della magistratura, 3. La valutazione dei magistrati, 4. La custodia cautelare, 5. La legge Severino. Il testo dei quesiti si trova a questo indirizzo: https://dait.interno.gov.it/elezioni/speciale-referendum
Ricordo che l’istituto del referendum è previsto dalla Costituzione in vigore dal 1948 precisamente dall’art. 75, comma 1 che recita: “È indetto referendum popolare per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.”
Il 12 giugno 2022 gli italiani dovranno scegliere se abrogare parzialmente da una parte, la legislazione che regola le carriere dei magistrati (separazione e valutazione), l’organo di autogoverno dell’ordinamento giudiziario mentre i rimanenti due quesiti riguardano i limiti alla carcerazione preventiva e la legge c.d. “Severino” che determina l’automatismo dell’interdizione dai pubblici uffici di amministratori e sindaci, lasciando ai giudici la facoltà di decidere caso per caso.
I cinque referendum sulla giustizia sono stati promossi dalla Lega e dai Radicali ha con lo scopo specifico di fare-qualcosa-subito per la giustizia italiana, nella sua accezione più lata e vasta del termine.
Tutta, o almeno, una buona parte delle questioni espresse nei quesiti referendari sono oggetto di una riforma della giustizia, detta anche “riforma Cartabia”; questa proposta legislativa dovrebbe – almeno a detta dei suoi sostenitori – rendere inutili i quesiti referendari, ma al momento in cui scrivo, 29/5/2022, prevedo che sarà impossibile che detta riforma sia approvata; quindi, il 12 giugno occorre andare alle urne per dire Sì ai quesiti referendari.
Chi scrive ha sottoscritto la richiesta dei referendum e, quindi, il 12 giugno 2022, andrò a votare Sì alla abrogazione delle leggi di cui ai quesiti referendari; tuttavia, sono scettico che, qualora si pervenisse al quorum elettorale (maggioranza del cinquanta per cento più uno), le cose cambierebbero per l’effetto dei referendum stessi.
In realtà, a mio parere, nemmeno la c.d. “riforma Cartabia” potrà cambiare a fondo e significativamente il sistema della giustizia in Italia per questi motivi.
- Il primo problema è seminale e strutturale, ossia come è stato concepito, sviluppato e istituito l’ordinamento giudiziario nella Costituzione stessa.
- Da ciò deriva la ragione occulta e manifesta della funzione giurisdizionale nel seno dell’intero ordinamento statale italiano; infatti, a ben guardare, l’ordinamento giudiziario italiano oltre alla funzione stessa immediata, quella della amministrazione della giustizia, ne possedeva un’altra più intima e mediata, quella di fornire una stabilità all’intero sistema costituzionale che, data la sua natura parlamentare, necessitava di un sostegno stabile e duraturo. Stessa cosa si dica della funzione del Presidente della Repubblica. È un dato di fatto che, nel corso degli ultimi trent’anni, in seguito al crollo del sistema dei partiti del 1992, gli unici organismi costituzionali che – senza entrare nel merito – hanno mantenuto una certa dose di stabilità sono la “magistratura” (in senso giornalistico) e il Presidente della Repubblica.
- Ciò detto sommariamente, si comprende che, anche gli auspicati esiti positivi dei referendum del 12 giugno, o della “riforma Cartabia” siano destinati a incidere marginalmente sullo stato di diritto in Italia.
- Forse l’unico intervento auspicato ed effettivo è quello che riguarda l’art. 274 del codice di procedura penale sulle misure cautelari: se vincesse il Sì sarebbe eliminata l’ultima parte dell’art 274 cpp, ossia la possibilità -per i reati meno gravi- di motivare la misura cautelare (andare in prigione) per il pericolo di reiterazione del reato (ripetizione del reato) cosa che, purtroppo, di fatto, accade spesso per imporre –prima di una sentenza definitiva– una limitazione della libertà personale, determinando gravi distorsioni e un abuso dello strumento processuale nel caso in cui la persona non sia effettivamente pericolosa.
- I cinque quesiti referendari devono vincere il giorno 12 giugno perché sono una speranza di iniziare un processo lungo e complesso di revisione della Costituzione e dei codici vigenti (civile, penale e procedura civile e penale) che mettano l’Italia e gli italiani nel pieno del XXI secolo: la società italiana è totalmente differente da quella del 1/1/1948, data dell’entrata in vigore della Costituzione, e, di conseguenza, lo sono anche i giudici inquirenti e giudicanti. Solo un intervento complessivo e sistemico sulla Legge Fondamentale e, a caduta diretta sui codici, potrebbe cambiare davvero il sistema “giustizia”!
In sintesi e in conclusione: occorre votare Sì il giorno 12 giugno; occorre una visione d’insieme e organica per affrontare la complessità dei tempi attuali; occorre agire senza condizionamenti alcuni, senza che “qualcuno-ce-lo-chieda” in nome di qualsiasi alto ideale o banale fandonia che sia; occorre essere liberi per alleviare (risolvere è un verbo per i teoremi che lascio ai matematici) le tensioni del vivere civile che – da sempre – sono fonte di scontro e che gli uomini s’illudono di definire con l’espressione amministrazione della giustizia.”
Avv. Mario Umberto Morini
Avvocato del Foro d’Isernia
Patrocinante in Cassazione