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Economia

La de-dollarizzazione è inevitabile con l’accelerazione dell’uso di altre valute

Dal Global Times del 30 marzo.

Cina e Brasile hanno raggiunto un accordo per scambiare le loro valute, ha riferito l’AFP, citando il governo brasiliano mercoledì. L’accordo consentirà a Cina e Brasile di effettuare transazioni commerciali e finanziarie direttamente in yuan cinesi o real brasiliani, invece di utilizzare il dollaro statunitense come intermediario. “L’aspettativa è che ciò ridurrà i costi… promuoverà un commercio bilaterale ancora maggiore e faciliterà gli investimenti”, ha affermato in una nota l’Agenzia brasiliana per la promozione del commercio e degli investimenti (ApexBrasil). Poiché la Cina è il principale partner commerciale del Brasile, registrando un record di $ 150,5 miliardi di scambi bilaterali nel 2022, è ovvio che l’accordo deriva da esigenze legate al forte impulso del commercio bilaterale tra i due paesi. Ma ancora più importante, dal punto di vista del sistema monetario globale, la mossa potrebbe segnare uno sviluppo significativo della tendenza alla de-dollarizzazione in tutto il mondo, poiché i paesi stanno cercando di commerciare in valute diverse dal dollaro e cercano di diversificare le loro riserve di valuta estera . Con il sistema di Bretton Woods e il sistema del petrodollaro, il dollaro si è evoluto da veicolo dominante di pagamento, regolamento e investimento a strumento di ricatto politico e coercizione. Usando come arma la propria egemonia del dollaro, gli Stati Uniti non solo possono imporre arbitrariamente sanzioni unilaterali ad altri paesi, ma possono anche raccogliere ricchezza globale ed esportare i propri rischi nel resto del mondo attraverso politiche monetarie irresponsabili. Ma ogni sistema monetario egemonico ha il suo giorno di collasso. Non è la Russia, la Cina, l’India o qualsiasi altro paese, ma gli stessi Stati Uniti a innescare l’inevitabile tendenza alla fine del dominio del dollaro, che potrebbe essere ciò di cui molti strateghi ed esperti economici americani sono preoccupati. Le radicali sanzioni statunitensi alla Russia sulla scia della crisi russo-ucraina, che non solo hanno congelato le attività estere delle istituzioni finanziarie russe, ma hanno anche interrotto il collegamento tra il sistema SWIFT e la maggior parte delle banche russe, hanno lanciato un monito al resto del il mondo sui rischi che gli Stati Uniti utilizzino il dollaro come strumento di guadagno geopolitico. Quanto più gli Stati Uniti adotteranno mezzi egemonici per raggiungere i propri scopi, tanto più la comunità internazionale sarà ansiosa di sbarazzarsi dell’eccessiva dipendenza dal dollaro. Temendo il rischio di essere trascinati in sanzioni simili in futuro dall’egemonia del dollaro, i paesi di tutto il mondo hanno cercato di sostituire il sistema SWIFT per evitare la coercizione monetaria degli Stati Uniti, e lo slancio è diventato sempre più evidente e forte. Ad esempio, in una riunione ufficiale di tutti i ministri delle finanze dell’ASEAN e dei governatori delle banche centrali iniziata martedì, in cima all’ordine del giorno ci sono le discussioni per ridurre la dipendenza dal dollaro USA, dall’euro, dallo yen e dalla sterlina britannica dalle transazioni finanziarie e passare agli accordi in valute locali, secondo l’ASEAN Briefing. A gennaio, il ministro degli Esteri sudafricano Naledi Pandor ha dichiarato in un’intervista a Sputnik che i BRICS vogliono trovare un modo per aggirare il dollaro per creare un sistema di pagamento più equo che non sia sbilanciato verso i paesi più ricchi. Anche il ministro delle finanze dell’Arabia Saudita Mohammed Al-Jadaan ha affermato a gennaio che il suo paese è aperto a discussioni sulla risoluzione del commercio di petrolio in valute diverse dal dollaro USA. Oltre a questi segnali di de-dollarizzazione, India e Russia hanno compiuto un passo importante verso transazioni diverse dal dollaro, il che potrebbe essere un incoraggiamento per i paesi che stanno prendendo in considerazione la mossa. I clienti indiani hanno pagato la maggior parte del petrolio russo in valute diverse dal dollaro, tra cui il dirham degli Emirati Arabi Uniti e più recentemente il rublo russo, ha riferito Reuters a marzo, citando diverse fonti bancarie e commerciali di petrolio. Le transazioni degli ultimi tre mesi ammontano a diverse centinaia di milioni di dollari. Un altro segnale importante degli sforzi accelerati di de-dollarizzazione è che i paesi, inclusi alcuni degli alleati degli Stati Uniti, hanno ridotto le loro riserve di debito degli Stati Uniti per diversificare le loro riserve di valuta estera. Il peso del dollaro nelle riserve di valuta estera è sceso a circa il 60%, un livello relativamente basso negli ultimi decenni, secondo i dati della composizione valutaria delle riserve di valuta estera del FMI per il terzo trimestre del 2022. Sebbene il fatto che il dollaro rimanga la valuta più utilizzata al mondo non cambierà nel prossimo futuro, anche la tendenza che sempre più paesi prenderanno in considerazione e piloteranno il commercio di valute diverse dal dollaro è immutabile. La storia ci dice che il declino dell’egemonia inizia spesso con la sua moneta.

 

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IL DIFFERENZIALE INFLAZIONISTICO MASSACRA L’EUROZONA

Ieri è uscito il dato dell’inflazione cinese, al 2.8%, ma soprattutto il dato dell’aumento dei prezzi alla produzione cinese di settembre, cresciuti di appena lo 0.9%. Nelle scorse settimane è uscito il dato dei prezzi alla produzione dell’eurozona, cresciuti del 43.3%. Il differenziale inflazionistico tra Cina ed Eurozona è lampante, siderale, a tal punto da considerare se l’eurozona regga. Non è solo dovuto alla svalutazione dell’euro sul dollaro, dato dalla fuoriuscita di capitale europei verso la Fed e Wall Street per l’aumento americano dei tassi di interesse, ma anche al fatto che, dopo la pandemia, a seguito del boom della domanda mondiale, ora affievolita, una serie di componenti nell’eurozona non si trovano. Ciò è dovuto alla politica trentennale di deindustrializzazione e delocalizzazione di siti produttivi in Asia e in altre regioni. Si aggiunga il costo del trasporto e il dato è questo. Quindi non solo un fallimento della politica monetaria della Bce, che non riesce a tener testa al dollaro, molto più della stessa Cina, anch’essa soggetta a svalutazione della propria moneta, ma un fallimento della politica economica della classe dirigente europea uscita da Maastricht. La deflazione salariale trentennale ha provocato un enorme surplus delle partite correnti, solo la Germania 2 mila miliardi, poi l’Olanda e la stessa Italia. Ora, con la guerra in corso, questo surplus è svanito, 30 anni di sacrifici e di massacri salariali invani, e questo surplus va nei lidi americani. Gli americani, senza sforzo, godono del plusvalore trentennale europeo solo brandendo l’arma della Nato e della supremazia del dollaro. Ora c’è questo differenziale inflazionistico dei prezzi alla produzione. Ieri è uscito il dato della bilancia commerciale dell’Eurozona, in deficit di circa 50 miliardi ad agosto, e non è ancora inverno. Un deficit simile l’eurozona non l’aveva mai visto. Un suicidio annunciato già 30 anni fa, ma forse 44 anni fa con lo Sme. C’è chi parla di Piano Mackinder, di distruzione dell’apparato manifatturiero tedesco attraverso il costo del gas esorbitante che porta gli industriali tedeschi a chiudere o a delocalizzare. A quanto pare resiste l’Italia, stranamente, con le sue malconce ma flessibili piccole e medie imprese: il dato di agosto della produzione industriale, cresciuta mese su mese del 2.3% nonostante fosse agosto dà da pensare. Forse il fallimento dell’eurozona in termini di politica monetaria e politica economica ci dovrebbe portare a noi italiani a pensare con la propria testa, a non subire “consigli” catastrofici di Francoforte, Berlino e Bruxelles. Loro hanno fallito, non vedo perché dobbiamo fallire anche noi. Il differenziale inflazionistico porterà ad una campagna stampa nei prossimi mesi di “invasione delle merci cinesi”, o perdita di quote di mercato mondiale: gridano al lupo al lupo per nascondere la loro ignavia, la loro ignoranza, i loro errori.

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ASIA: CARENZA DI PERSONALE O RIFIUTO DEL LAVORO?

Ieri su Telegram ho dato notizie che gli industriali italiani lamentano carenza di personale ovunque. Nelle ultime settimane l’Inps informava di un boom di dimissioni tra lavoratori italiani. Un manager mio amico, Sergio Calzolari, prendendo spunto da queste notizie, mi ha mandato un articolo di Asia Nikkei, che pubblico, sul fenomeno della Great Resignation. Sergio ha voluto dare il suo contributo, che è questo.

“Alcuni mesi fa ero a fare una passeggiata in montagna, verso una bellissima cascata sull’appennino bolognese, con il mio caro amico Roberto e sua moglie Silvia. Arrivati al rifugio, tra un bicchiere e buon cibo montanaro, discutemmo a lungo proprio del rifiuto del lavoro come manifestazione mondiale del/nel post pandemia. Tale tendenza è molto presente anche in Asia. Ovunque, dal Vietnam all’Indonesia.
Infatti, anche qua sta avvenendo quella difficoltà nel trovare manodopera, che ha ingolfato come narrazione tutte le pagine dei giornali italiani quest’estate.
Durante la nostra piacevole discussione, questa coppia di miei amici ad un certo punto mi risponde : …è la vittoria del rifiuto del lavoro come tendenza mondiale. Bisogna essere ottimisti!

Posizione molto stimolante, la loro; ma ho dei dubbi che sia proprio SOLO il rifiuto del lavoro a manifestarsi in tutta la sua potenza destabilizzante, anche se, indubbiamente, questa caratteristica esiste. Credo che, però, occorra svolgere un analisi un poco più approfondita del fenomeno. Penso, in estrema sintesi,  che il COVID abbia veramente cambiato la relazione fra l’uomo e le sue aspettative nella vita terrena reale, modificando la posizione umana nel mondo.
Aspetti vari si stanno manifestando nella ricerca del senso dell’esserci. Ritornano tutte le vecchie domande filosofiche sul senso e sui perché.

Tali fenomeni stanno avvenendo in tanti modi, ed a qualunque latitudine.

Questo contributo qua di seguito è un contributo per capire meglio, tramite un’analisi di un istituto di ricerca  molto serio. Queste nuove tendenze del mercato del lavoro asiatico mi vengono confermate da molti amici che operano un po’ in tutti i campi, e non soltanto nella ristorazione. Attualmente, da alcuni mesi, in Asia vi sono difficoltà a trovare la necessaria forza lavoro, a qualunque livello: da un livello manageriale a un livello più esecutivo. Sia aziende locali sia aziende multinazionali stanno riscontrando grandissime difficoltà, anche a prescindere dall’offerta economica. Evidentemente, c’è qualcosa di più profondo: il cambiamento nel mercato del lavoro si evince anche dalla diminuzione importante dei voli aerei da parte dei managers.  Quindi sta avvenendo una trasformazione, e questa trasformazione del mercato del lavoro si unisce alla trasformazione prodotta dai meccanismi di governo indotti dalla guerra mondiale,  nel suo ridisegnare la formamondo.

Il rifiuto del capitalismo, tramite il rifiuto del lavoro,  ed il rifiuto della guerra in Europa, ed il rifiuto del disastro climatico, probabilmente apriranno larghi spazi di azione a chi, in maniera intelligente e moderna, e senza culti passatisti di tipo ideologico, sarà in grado di darsi un programma ed un metodo razionale di lavoro nel passaggio verso il mondo multipolare.

Siamo ottimisti, come dicevano i miei compagni di montagna, basta solo una scintilla.
La prateria è veramente, ed ovunque, arida e quindi infiammabile.

Buona domenica e buona lettura

 

Qui il testo di Asia Nikkei

I sondaggi segnalano uno scontro tra le priorità del datore di lavoro e dei dipendenti dopo il COVID  Lavoratori a Singapore: i datori di lavoro asiatici sono più desiderosi di riportare le persone negli uffici rispetto alle aziende occidentali, suggerisce una ricerca. © Reuters DYLAN LOH, scrittore dello staff di Nikkei19 settembre 2022 11:00 JST SINGAPORE – L’irrequietezza si sta insinuando nella forza lavoro asiatica poiché gran parte della regione tenta di scrollarsi di dosso le precauzioni COVID-19 e ripristinare una parvenza di attività come al solito. Ricerche recenti mostrano che le aziende asiatiche sono più desiderose delle loro controparti occidentali di aprire uffici e riportare i dipendenti a tempo pieno, dopo oltre due anni di diffuso lavoro a distanza. Ma molti datori di lavoro stanno incontrando riluttanza o resistenza, con alcuni studi che dimostrano che ampie percentuali di lavoratori mancano di un sentimento di “connessione” con le loro organizzazioni e rischiano di licenziarsi. Gli esperti suggeriscono che quando i dipendenti riconsiderano le proprie priorità, i datori di lavoro potrebbero dover fare lo stesso. “Poiché la flessibilità è ora diventata il nuovo requisito standard, è fondamentale che i datori di lavoro rivalutano la loro proposta di valore per i dipendenti per affrontare le preoccupazioni chiave della forza lavoro di oggi, in particolare per quanto riguarda la retribuzione competitiva e le opportunità di crescita professionale”, ha affermato Samir Bedi, leader di consulenza per la forza lavoro per l’Associazione della regione delle nazioni del sud-est asiatico presso la società di servizi professionali EY. Un sondaggio EY pubblicato a luglio ha rilevato che il 45% degli intervistati nel sud-est asiatico ha indicato che probabilmente lascerà il lavoro nei prossimi 12 mesi. Questo è stato il risultato principalmente del desiderio di una retribuzione più elevata, migliori opportunità di carriera e maggiore flessibilità in un contesto in cui l’inflazione aumenta, un mercato del lavoro in contrazione e un aumento dei posti di lavoro che offrono lavoro flessibile, ha affermato EY. Il sondaggio ha riguardato più di 1.500 leader aziendali e oltre 17.000 dipendenti in 22 paesi. Eppure molte aziende asiatiche sembrano intenzionate a costringere i lavoratori a rientrare in ufficio. All’inizio di quest’anno, quando gli Stati Uniti La società di servizi immobiliari CBRE ha intervistato 150 società dell’Asia-Pacifico, quasi il 40% degli intervistati si aspettava che i membri del personale lavorassero completamente in loco, rispetto al 26% nel 2021. Ciò era in netto contrasto con i risultati di Stati Uniti, Europa, Medio Oriente e Africa, dove solo il 5% o meno dei lavoratori si aspetta che sia sempre in ufficio. Michelle Leung, responsabile delle risorse umane presso la società di servizi sanitari Cigna International Markets, ha evidenziato i cambiamenti radicali nel mercato del lavoro durante la pandemia. “Una delle più grandi tendenze che abbiamo visto nel 2021 è stata ‘The Great Resignation’, che ha visto le dimissioni in tutto il mondo raggiungere il massimo storico”, ha affermato Leung. “Tuttavia, un altro fenomeno è stato ‘The Great Reshuffle’, che si riferisce a un’ampia fascia di lavoratori che riconfigurano le proprie carriere e si concentrano su lavori che si adattano meglio alle proprie esigenze personali”. Leung ha affermato che è “chiaro che una serie di fattori stanno guidando l’insoddisfazione e l’irrequietezza generali”. Le aziende, ha proseguito, dovranno “tenere il passo con le aspettative dei nuovi dipendenti e adottare un approccio più olistico ai tipi di benefici che forniscono”.  La stessa ricerca di Cigna ha scoperto che gli espatriati non sono immuni dall’insoddisfazione e dal disagio che si diffondono nella forza lavoro asiatica. Il benessere di quasi 12.000 persone in Cina, Giappone, Singapore, India e Australia ha rilevato che lo stress da espatriato ha raggiunto il massimo storico, con quasi tutti gli intervistati che avvertono sintomi di burnout e rivalutano le priorità di vita e di lavoro per una maggiore flessibilità, o per essere più vicino alla famiglia e agli amici. Lo studio, pubblicato a giugno, ha mostrato che la maggioranza significativa degli espatriati che lavorano in Europa e Australia erano fiduciosi che sarebbero rimasti all’estero. Lo stesso non si può dire per l’Asia, con solo il 5% di quelli in India e il 16% di quelli nella Cina continentale fiduciosi che rimarranno lì. Un’altra serie di numeri preoccupanti per i datori di lavoro è stata rilasciata a maggio dalla società di consulenza Accenture. Il suo sondaggio su circa 5.000 lavoratori e 1.000 dirigenti di alto livello in una serie di paesi ha rilevato che in luoghi come Singapore, India, Cina e Giappone, meno del 40% degli intervistati si sentiva molto connesso ai propri colleghi e alle aziende. Si potrebbe presumere che questo sia stato il risultato di interruzioni della pandemia e mesi o anni di lavoro a distanza. Ma uno sguardo più attento ai dati mostra che coloro che hanno lavorato in loco si sono sentiti meno connessi, rispetto ai loro colleghi che lavorano in remoto o ibridi. “Il presupposto comune è che la posizione in loco equivalga alla connessione. Non è necessariamente vero”, ha detto a Nikkei Asia Anoop Sagoo, chief operating officer di Accenture per i mercati in crescita. Ha proseguito affermando che “sebbene le organizzazioni possano considerare un ambiente d’ufficio come un ambiente che stimola la creatività e l’innovazione grazie alle interazioni faccia a faccia”, il sondaggio ha indicato che molti dipendenti ritengono che non soddisfi le loro esigenze. “Parte del motivo per cui così tanti lavoratori, specialmente quelli in ufficio a tempo pieno, sono disconnessi è dovuto al sentirsi ignorati dalla leadership e dall’alta dirigenza”, ha aggiunto. Lo studio ha anche rilevato che tra i dipendenti che sono in grado di lavorare da remoto, oltre il 90% ha affermato di poter essere produttivo ovunque.

 

Majority of surveyed Southeast Asia (SEA) employees prefer not to return to pre-COVID-19 ways of working

From Singapore to Japan, workers get restless as offices call – Nikkei Asia

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LA DISTRUZIONE DEL CONTINENTE EUROPEO

Ora si parla di guerra valutaria mondiale, con epicentro l’euro. Una storia iniziata negli anni sessanta, quando il Generale De Gaulle volle che ritornasse indietro l’oro francese detenuto in Usa. C’era la guerra del Vietnam, burro e cannoni era il credo americano, che smentiva il detto di Bismark secondo cui tutt’e due era impossibile ottenerli. La protesta giovanile americana infiammava gli Usa, il Vietnam si rivelò una trappola. Finché nel 1971 Nixon disancorò l’oro dal dollaro, d’ora in poi il problema del dollaro, dissero, sarà un problema vostro. Nel frattempo, in ambito CEE, sin dalla metà degli anni sessanta si preparava un assetto monetario continentale, sfociato nel Piano Werner del 1972. Gli Usa lo affossarono con la guerra del Kippur e la crisi petrolifera, facendo nascere il mercato dei petrodollari. Ma in ambito europeo si continuava a discutere, c’era l’asse Francia Germania che voleva risolvere una volta per tutte il problema dell’esorbitante privilegio del dollaro. In tutto l’ambito occidentale il movimento operaio nel frattempo alzò la testa, le rivendicazioni e le lotte erano massicce, in Italia vigeva lo slogan “Vogliamo tutto!”. La dirigenza occidentale non sapeva come far fronte fino a quando con Reagan e Volcker si avviò una feroce stretta monetaria, seguita in ambito europeo, che distrusse sia il movimento operaio sia l’assetto industriale. Con il dollaro forte una parte dell’apparato industriale europeo, tramite l’export led, sopravvisse fino al 1992, quando, con il Trattato di Maastricht si posero le basi dell’euro. Guido Carli, nelle sue memorie scriveva che d’ora in poi l’euro sarebbe stata una valuta riconosciuta a livello internazionale, in un ambito più vasto dello stesso Marco. Per edificare tale assetto si avviò una feroce deflazione salariale, l’asse era centrato sulla stabilità dei prezzi e non sulla massima occupazione. La nascita coincise con lo smantellamento iniziale dello Sme ,a seguito della riunificazione tedesca e del vertiginoso aumento dei tassi di interesse della Bundesbank: come con la Fed, anche questa banca centrale prosgiugò i capitali continentali che si stabilirono in Germania, al fine di finanziare la riunificazione. L’Italia crollò, non si riprese da allora, il 25% dell’apparato industriale distrutto, privatizzazioni, smantellamento di enormi complessi industriali pubblici, fine della Prima Repubblica. Sono passati 30 anni, e 41 dalla stretta di Volcker: allora c’erano la Persia e l’Afghanistan, ora si è soffiato, tramite la Nato, il fuoco sul conflitto ad est. La storica liasion dell’asse tedesco-russo, che ha fatto la fortuna della Germania, si spezza, gas, petrolio materie prime con aumenti vertiginosi. In più la stretta di Powell copia la stretta della Bundesbank del 1992, questa volta il lido è il dollaro. Il dollaro forte provocherà la distruzione di quel che resta del capitale industriale americano, escluso il complesso militare industriale, tramite l’enorme deficit della bilancia commerciale, delle partite correnti e dell’esplosione del debito estero. Contemporaneamente, la guerra in corso, provocherà la distruzione di una parte, quel che è rimasta dopo le delocalizzazioni, dell’apparato industriale europeo. Sembra che gli Usa vogliano dire agli europei: se devo crollare io, dovete crollare anche voi, un abbraccio suicida infernale. Intanto il mondo, in altre parti, continua ad andare avanti, presto ci dimenticherà.

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IL DOLLARO FORTE NON DOVREBBE DIVENTARE UN’ARMA AFFILATA PER TAGLIARE IL MONDO

Pubblico questo interessantissimo articolo uscito ieri dal sito cinese, autorevolissimo e voce della classe dirigente cinese, Global Times. Leggetelo, in poche righe la storia degli ultimi 70 anni di dominio americano. Articoli del genere non escono in Occidente da decenni, coperti dalla propaganda pro Washington di tutti i media. Un fumo negli occhi che acceca innanzitutto le popolazioni occidentali, ma il cui dominio è ben presente al resto del mondo. La serietà di questo articolo, in termini di storia economica, lascia intendere che l’Accademia cinese è ben fatta, a differenza di quella occidentale. Il sole sorge ad Oriente, ma ormai anche la cultura.

 

 

Martedì e mercoledì la Federal Reserve degli Stati Uniti terrà una nuova riunione politica, con la decisione sulla crescita dei tassi di interesse in primo piano. È ampiamente previsto che la Fed realizzerà almeno un altro aumento dei tassi di interesse di 75 punti base per domare l’inflazione. Ciò potrebbe aumentare ulteriormente il valore del dollaro USA rispetto ad altre valute, che è al suo massimo da 20 anni. Spinto dagli aggressivi rialzi dei tassi da parte della Fed, il dollaro USA è visto come “che sta vivendo un rally irripetibile”. Per molti paesi del mondo, questo potrebbe essere l’inizio di un altro incubo. L’incontro sarà testimone della quinta volta che la Fed alzerà i tassi di interesse. La ragione diretta è alleviare l’elevata pressione dell’inflazione negli Stati Uniti. Ma se le persone cercano la causa principale, questa è una conseguenza inevitabile della stampa di denaro cieca e illimitata degli Stati Uniti per mantenere temporaneamente la “prosperità”. In altre parole, di fronte ai problemi profondi esposti dalla crisi finanziaria del 2008, Washington è stata impotente, e anche riluttante, a risolverli. Invece, è stato estremamente miope coprire la crisi e ingraziarsi Wall Street, approfittando dell’egemonia del dollaro USA per trattare tranquillamente la crisi come se scaricasse acque reflue, prosciugandole nel mondo. Un dollaro USA super forte e la caduta di altre valute, in una certa misura, alleggeriranno l’inflazione cocente nell’economia statunitense, ma il mondo dovrà pagarla, cosa che viene spesso definita “quando gli Stati Uniti sono malati, il mondo deve prendere le pillole”. La conseguente grave inflazione, recessione economica e altri problemi sono già comparsi su larga scala in molti paesi. Trentasei valute in tutto il mondo hanno perso almeno un decimo del loro valore quest’anno, con la rupia dello Sri Lanka e il peso argentino in calo di oltre il 20 per cento, da quando il dollaro si è rafforzato. Ciò non solo ha peggiorato le già deboli economie di Europa e Giappone, ma ha anche costretto un gran numero di paesi in via di sviluppo a ingoiare le pillole amare della recessione economica causata dall’inflazione importata. Innumerevoli famiglie sono state impoverite durante la notte. Questa è una situazione molto anormale che non dovrebbe verificarsi, ma è la crudele verità dietro il “contenimento dell’inflazione” statunitense. In effetti, dalla fine della seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti hanno utilizzato più volte l’egemonia del dollaro per effettuare “saccheggi finanziari” o “crisi delle esportazioni” contro altri paesi. Come dice un’espressione molto popolare in Occidente, gli Stati Uniti godono senza lacrime dei privilegi esorbitanti creati dal dollaro e dal deficit, e hanno usato la nota cartacea senza valore per saccheggiare le risorse e le fabbriche di altre nazioni. Ogni ciclo di apprezzamento del dollaro negli ultimi decenni è stato accompagnato da ricordi estremamente brutti: la crisi del debito latinoamericano è scoppiata nel primo round, il Giappone ha sofferto dei “due decenni persi” durante il secondo round e la crisi finanziaria asiatica si è verificata durante il terzo. In particolare nella crisi asiatica, che è ancora fresca nella memoria di molte persone, più di 100 milioni di persone della classe media in Asia sono cadute in povertà, secondo le stime della Banca Mondiale. Il dollaro rafforzato, più e più volte, taglia il mondo come una lama affilata. Pertanto, mentre le élite politiche di Washington si vantano del “mito del sistema americano” e si prendono il merito di aver “alleviato la crisi”, migliaia di famiglie povere in tutto il mondo ne vengono calpestate. Non sono ignari di questo, ma scelgono comunque collettivamente di essere indifferenti e arroganti, come se questo fosse il privilegio di cui dovrebbe godere l'”egemone”. Come disse l’ex segretario al Tesoro degli Stati Uniti John Connally negli anni ’70, “Il dollaro è la nostra valuta, ma è un tuo problema”. Oggi il dollaro è ancora una volta il problema del mondo. In un certo senso, è difficile credere che la “prosperità” degli Stati Uniti sia pulita e morale. Tuttavia, la crisi non può essere coperta per sempre. Washington continua a posare mine ma non le rimuove mai, cosa che alla fine farà esplodere gli stessi Stati Uniti. L’incompetenza dei decisori finanziari statunitensi è stata messa in luce dai successivi rialzi dei tassi di interesse che hanno contribuito all’anormale apprezzamento del dollaro statunitense allo scopo di disinnescare la grave inflazione. Per gli stessi Stati Uniti, ciò che aumenterà di conseguenza sono il costo del finanziamento aziendale, la pressione sui residenti a rimborsare i loro prestiti e il prezzo della produzione da esportazione, tra gli altri. Nel frattempo, la credibilità che il dollaro USA ha come valuta globale viene continuamente esaurita dalla politica statunitense del “mendicante del vicino”. Ora l’ansia e l’insicurezza portate dal dollaro USA nel mondo ha preannunciato l’inizio del declino della sua egemonia – riguardo all’insaziabile sfruttamento di Washington, Europa, Asia, Medio Oriente e altre regioni hanno esplorato la strada della “de-dollarizzazione”, portando all’inevitabile diversificazione del sistema monetario internazionale. Il modo migliore per frenare l’egemonia furiosa è praticare il vero multilateralismo. Che si trattasse della crisi finanziaria asiatica nel 1997 o della crisi finanziaria globale del 2008, il mondo sembrava essere inciampato più di una volta nella stessa pietra, che, tuttavia, non è più quella ferma. L’instabilità e la fragilità dei mercati finanziari internazionali sono tornate ad essere importanti. È proprio in questi momenti che la comunità internazionale dovrebbe essere più determinata a cooperare e costruire un sistema finanziario internazionale multilaterale affidabile, sistemico e di lungo termine. Questo non può aspettare.

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LA GUERRA DI RAPINA DEGLI USA ALLA RUSSIA (E ALL’EUROPA)

 

 

Pubblico questo eccezionale editoriale di China Daily di oggi. Non c’è niente da aggiungere, solo che trovano conferme tutte le tesi messe sul piatto in queste ultime settimane sul blog. La chiarezza, la profondità di analisi pongono questo editoriale ad un livello che nei media italiani non si vedono da decenni. La traduzione forse non sarà delle migliori, ma dà l’idea. Vi invito a leggerlo e, possibilmente, a condividerlo. Ne vale la pena. Buona lettura.US wages economic war to maintain global supremacy – Opinion – Chinadaily.com.cn

 

Gli Stati Uniti intraprendono una guerra economica per mantenere la supremazia globale Di Zhang Yugui | chinadaily.com.cn

Gli Stati Uniti sono l’unica superpotenza al mondo in grado di creare conflitti regionali o di condurre guerre unilateralmente. Nel conflitto Russia-Ucraina, l’obiettivo esplicito degli Stati Uniti è quello di tagliare il legame economico tra Russia ed Europa, paralizzare il canale di contatto economico estero della Russia, spezzare l’ancora di salvezza finanziaria internazionale della Russia, ottenere profitti in eccesso sul mercato paneuropeo con costi inferiori e guidare il flusso di capitale globale verso gli Stati Uniti. Ma il suo obiettivo strategico di fondo è quello di approfondire la dipendenza di altri paesi dall’ordine economico e finanziario guidato dagli Stati Uniti e prolungare il ciclo di egemonia del dollaro USA. Come tutti sappiamo, sebbene siano ancora la più grande economia del mondo, gli Stati Uniti non sono più potenti come una volta. Nel 1945 rappresentava il 45 per cento dell’economia globale e il 59 per cento delle riserve auree mondiali e, 77 anni dopo, rimane la più grande economia mondiale e il maggiore detentore di riserve auree globali, ma è diventata una superpotenza piena di debiti. economia. Secondo i dati diffusi dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti il ​​1° febbraio, il debito nazionale degli Stati Uniti ha superato per la prima volta i 30 trilioni di dollari, raggiungendo un livello record, e il 15 marzo ha raggiunto i 30,3 trilioni di dollari, il che significa che è stato generato un debito aggiuntivo di 300 miliardi di dollari. solo un mese e mezzo. D’altra parte, l’indice dei prezzi al consumo è aumentato del 7,9% su base annua a febbraio, il livello più alto dal 1982. Ciò ha portato la Federal Reserve ad avviare un ciclo di rialzi dei tassi di interesse il 16 marzo. Il piano di salvataggio economico da 1,9 trilioni di dollari e la sua proposta “Build Back Better World” da 2,59 trilioni di dollari, sono entrambi programmi basati sul disavanzo che creeranno aspettative di inflazione significative e oneri del debito. Il governo degli Stati Uniti oggi ha bisogno di più soldi che mai. In questo contesto, l’amministrazione Biden ha completamente ritirato le truppe statunitensi dall’Afghanistan sotto forti pressioni, ponendo formalmente fine alla presenza militare statunitense nel Paese dopo 20 anni. Oltre al cambiamento strategico, un’importante considerazione economica della mossa è liberarsi del peso della guerra afgana che ha consumato in media 50 miliardi di dollari all’anno. Chiunque abbia familiarità con gli affari degli Stati Uniti sa che la guerra è un grande affare. Infatti, poco dopo il ritiro militare dall’Afghanistan, il 10 novembre gli Stati Uniti hanno firmato una carta aggiornata per la cooperazione strategica USA-Ucraina, approfondendo la cooperazione bilaterale nei settori della politica, della sicurezza, della difesa, dello sviluppo, dell’economia, dell’energia, dell’istruzione e della cultura, e vincolare l’Ucraina al gioco di scacchi strategico geopolitico degli Stati Uniti. In un recente articolo per The Economist, John Mearsheimer, professore di scienze politiche all’Università di Chicago, ha sottolineato che la mossa è stata una delle micce che ha innescato la crisi Russia-Ucraina. Il complesso militare-industriale e i conglomerati finanziari statunitensi devono essere stati molto eccitati quando è iniziata la guerra. Infatti, sulla scia della crisi, la Germania ha deciso di acquistare jet da combattimento americani e ha annunciato un budget speciale di 100 miliardi di euro in più per accelerare la sua modernizzazione della difesa. Si prevede che una parte significativa della massiccia spesa andrà a giganteschi appaltatori come Lockheed Martin, Raytheon, General Dynamics, Boeing e Northrop Grumman. Dopo lo scoppio del conflitto Russia-Ucraina, gli Stati Uniti hanno immediatamente avviato la loro macchina egemonica istituzionalizzata per strangolare gli interessi economici e finanziari della Russia. In primo luogo si è unito ai principali alleati per imporre sanzioni economiche e finanziarie alla Russia per paralizzare i suoi legami economici esterni, interrompere l’ancora di salvezza finanziaria internazionale della Russia e aprire la strada a una “rapina legale” a basso costo di beni russi. Poco dopo il conflitto, gli Stati Uniti e i paesi del G7 hanno escluso alcune banche russe dalla Società per le telecomunicazioni finanziarie interbancarie mondiali e hanno congelato le attività della banca centrale russa e vietato le transazioni con essa. Sono state inoltre poste restrizioni alla capacità della Russia di condurre transazioni commerciali in valute comuni di valuta estera. Successivamente, la Russia è stata costretta a chiudere il mercato azionario e le attività all’estero e le società quotate sono state saccheggiate dai baroni finanziari globali. Ad esempio, Sberbank, quotata a Londra, è stata costretta a chiudere una posizione il 2 marzo, con i prezzi delle azioni che sono crollati del 95% a $ 0,045 per azione dal suo picco di $ 21,63, una perdita di $ 110 miliardi di valore di mercato in un solo giorno lasciandola con soli $ 243 milioni. Allo stesso tempo, un gruppo segreto di istituzioni finanziarie di Wall Street, esenti da sanzioni, ha acquistato quasi il 40 percento della banca con uno sconto di appena 0,02 sul patrimonio netto, con meno di 100 milioni di dollari. Ciò significa che i magnati finanziari di Wall Street potrebbero guadagnare centinaia di miliardi di dollari se le sanzioni venissero revocate.

In secondo luogo, gli Stati Uniti hanno cercato di tagliare il legame economico tra Russia ed Europa per intensificare la dipendenza economica dell’Europa dagli Stati Uniti. Da quando le sanzioni sono entrate in vigore, le ricevute di deposito globali delle società russe sono crollate di oltre il 95% prima della sospensione delle negoziazioni e gli investitori globali in società quotate al di fuori della Russia, la maggior parte delle quali istituzioni finanziarie europee, hanno subito enormi perdite. Il capitale finanziario statunitense e britannico ha successivamente preso parte a un giro di caccia all’affare. Le aziende europee che operano in Russia hanno perso più di 100 miliardi di dollari di valore di mercato nell’ultimo mese. Inoltre, il governo tedesco ha sospeso l’approvazione per il progetto del gasdotto Nord Stream 2 e gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno vietato le importazioni di petrolio russo. L’incertezza sull’offerta futura ha portato all’impennata dei prezzi del petrolio e del gas nel mercato internazionale, aumentando le sofferenze dei cittadini europei. Mentre paesi come la Germania e la Francia erano intrappolati tra il tentativo di porre fine alla loro dipendenza dall’energia russa e l’adozione di misure per attutire il colpo dei prezzi elevati dell’energia, gli Stati Uniti hanno lanciato un’azione congiunta “mirata a rafforzare la sicurezza energetica europea e ridurre la dipendenza dell’Europa dal petrolio russo e gas” apparentemente per alleviare le preoccupazioni dell’Europa. Ma in realtà, ha colto l’occasione per esportare gas naturale liquefatto americano in Europa a un prezzo elevato. Secondo Reuters, le spedizioni di gas naturale liquefatto degli esportatori statunitensi in Europa hanno raggiunto livelli record per tre mesi consecutivi, con prezzi in aumento di oltre 10 volte rispetto a un anno fa. In terzo luogo, gli Stati Uniti hanno continuato a creare tensioni nel mercato finanziario internazionale ea incoraggiare il flusso di capitali internazionali dall’Europa agli Stati Uniti attraverso aumenti dei tassi di interesse. Dopo il conflitto Russia-Ucraina, gli Stati Uniti hanno lanciato feroci sanzioni finanziarie per congelare le riserve valutarie della banca centrale russa da 300 miliardi di dollari, provocando l’immediato dimezzamento del tasso di cambio del rublo rispetto al dollaro e l’impennata del tasso di inflazione. La banca centrale russa è stata costretta ad aumentare il tasso di interesse al 20%. Allo stesso tempo, le tre principali agenzie di rating, a seguito di una serie di bruschi downgrade del rating creditizio delle società russe, hanno recentemente cancellato il rating creditizio del debito sovrano russo e di tutte le società in risposta al quarto round di sanzioni dell’Unione Europea contro la Russia . Ciò equivale al blocco diretto del canale di finanziamento del governo russo e delle imprese sul mercato finanziario internazionale. È stato anche in questo momento che gli Stati Uniti hanno avviato il ciclo di aumenti dei tassi di interesse con il pretesto di combattere l’inflazione e hanno rivelato che avrebbero ridotto drasticamente il bilancio della Fed. In un momento di incertezza sui mercati globali, gli aumenti dei tassi della Fed segnalano chiaramente la fiducia degli Stati Uniti nella dinamica di crescita endogena del suo sistema economico e inviano un forte messaggio alle altre economie che gli Stati Uniti ancora dominano. Pur promuovendo la stabilità del mercato finanziario statunitense, il flusso accelerato di capitali globali verso gli USA prolungherà ulteriormente il ciclo dell’egemonia del dollaro USA. L’autore è preside della School of Economics and Finance della Shanghai International Studies University. L’articolo è stato pubblicato per la prima volta sul Guangming Daily.

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G7 + VERSUS BRICS +

Pubblico il bel editoriale dell’economista Guido Salerno Aletta, che ringrazio, uscito ieri su Teleborsa. Da quando è nato il blog, si è parlato di Usa, Ue, Cina, Russia, ecc. Ora l’economista siciliano mette le carte in tavola: popolazione, ricchezza, posizione finanziaria netta, avanzo commerciale dei due blocchi, che erano in fieri da 15 anni ma che ormai si sono palesati con il conflitto ucraino. Buona lettura.

 

G7+ contro BRICS+ | Teleborsa.it

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FINE DEL DOLLAR STANDARD

Pubblico qui di seguito altri tre contributi rispetto al dibattito suscitato dall’editoriale di Guido Salerno Aletta sulla de-dollarizzazione, una filosofa, un consulente d’azienda e un imprenditore. Oggi su Italia Oggi la bestemmia della de-dollarizzazione ha avuto spazio presso un economista che scriveva esattamente queste cose. Lo scontro tra potenze non so dove porterà, i tre contributi cercano di fornire un quadro della situazione. Non mi soffermo sulle tematiche militari, non  è il mio campo, cerco di capire gli effetti socio-economici di tutto ciò. Di certo un mondo, iniziato con la fine degli accordi di Bretton Woods, sta per finire, l’asset inflation basata sul dollaro e pompata per 50 anni lascia il campo ad altre soluzioni. Mi chiedo, le confische avvenute per la Banca centrale russa o di miliardari russi nelle piazze anglosassoni ed europee, che effetti avrà? Siamo sicuri che in giro per il mondo chi ha denaro abbia ancora fiducia nel sistema finanziario occidentale? Anche queste sono domande da porsi. I contributi sono lunghi, vi chiedo pazienza, sono efficacissimi, basta avere un pò di pazienza e trarrete le vostre conclusioni, magari con commenti. Vi ringrazio dell’attenzione e vi auguro buon wwek end.

Filosofa

Quarant’anni fa, il capitalismo americano fuggì dal lavoro, avviando l’esportazione di questa noiosa fonte di potere sociale in Cina (noi pensiamo sempre a Thatcher e Reagan, ma la vera svolta storica furono gli accordi diplomatici fra Carter e Deng Xiao Ping nel 1978), e rifugiandosi nel “paradiso della rendita”. Quello che si è sviluppato da allora negli USA assomiglia di più a ciò che David Graeber in “Bullshit Jobs” descrive  come “feudalesimo manageriale” che al capitalismo produttivo a cui siamo abituati a pensare: un sistema in cui i profitti non derivano dalla produzione, ma dalla rendita – non solo la rendita del capitalismo finanziario del settore FIRE, ma anche la rendita delle posizioni oligopolistiche supportate dallo stato del settore petrolifero e minerario e del complesso militare industriale.
Siccome il potere nascerà pure dalla canna del fucile, ma soprattutto e sul lungo periodo nasce dal lavoro produttivo, questo sistema sta assicurando agli USA un inesorabile declino. L’unica carta rimasta in mano agli USA è, appunto, la canna del fucile NATO, ed è questa la carta che si sono giocati con le provocazioni delle esercitazioni militari ai confini della Russia e persino nella teoricamente ancora neutrale Ucraina (https://sicurezzainternazionale.luiss.it/2021/07/07/usa-ucraina-polonia-lituania-annunciano-le-esercitazioni-militari-three-swords/ ): è chiaro che, come dice l’economista americano Michael Hudson, fino al 24 marzo il problema per gli strateghi americani non era la minaccia rappresentata da Russia e Cina, ma l’assenza di tale minaccia, e il fatto che in assenza di tale minaccia non c’è nessun bisogno per gli alleati di sacrificare i propri interessi commerciali e finanziari e di rinunciare al gas russo.

“Embedded” è una  parola che ho imparato ai tempi della Guerra del Golfo, che indica i giornalisti che le truppe si portano dietro per il lavoro di propaganda.

La vera vittima delle sanzioni e della guerra è certamente l’Europa, e l’unica vera domanda è come mai le oligarchie europee abbiano accettato così prontamente di schierarsi con la NATO e contro gli interessi dell’Europa, ma paradossalmente, e forse al di là  di quello che gli strateghi USA avevano previsto (Wikileaks ci ha insegnato che non si tratta necessariamente di strateghi intelligenti), la vittima delle sanzioni potrebbe essere proprio l’impero americano, con il rafforzamento delle alternative cinesi al sistema dominato dagli USA del FMI e della Banca Mondiale e la sostituzione del Cross-Border International Payments System (CIPS) cinese allo SWIFT. Inoltre, in un mondo (quello occidentale) dominato dalla rendita finanziaria la confisca americana delle riserve monetarie russe, che segue la confisca di quelle afgane, colpisce al cuore il fondamento stesso del Dollar Standard, la fiducia che i crediti in dollari saranno esigibili.

La guerra crea una nuova cortina di ferro, senza dubbio, ma in questo nuovo bipolarismo il potere, quello vero e non quello che nasce dalla canna del fucile, sta tutto dall’altra parte del muro.

Riferimenti:

Michael Hudson – America’s real adversaries are its European and other allies – Brave New Europe, 16/02/2022 https://braveneweurope.com/michael-hudson-americas-real-adversaries-are-its-european-and-other-allies

Michael Hudson – America Defeats Germany for the Third Time in a Century – Brave New Europe , 28/02/2022 https://braveneweurope.com/michael-hudson-america-defeats-germany-for-the-third-time-in-a-century

Un consulente d’azienda

La prima crisi economica globale, generata dalla cartolarizzazione dei crediti legati ai mutui sub prime, ha mostrato chiaramente i limiti di un sistema finanziario globale basato su una moneta nazionale. Il dollaro. Ma non basta sostituire il dollaro con un’altra moneta nazionale. Sarebbe la stessa cosa. Poiché quando un moneta esce dalla giurisdizione dei confini dello Stato emittente, diviene poco più di una promessa di pagamento… Il futuro è nella block Chain e nelle cripto.
Già nel 2009 la Cina aveva cercato di scardinare l’attuale sistema dei pagamenti internazionali. Tuttavia senza riuscirci. La crisi Ucraina, le scelte geopolitiche precedenti e conseguenti il conflitto rischiano di anticipare l’avvento del secolo cinese. Infatti, allo stato, la Cina pare l’unico player globale ad uscire rafforzato dall’innaturale alleanza sino russa. Purtroppo anche in questa occasione l’UE ha perso l’occasione di mostrare un peso politico degno della propria storia e delle proprie potenzialità, limitandosi a far proprie le ragioni dello Zio Sam.

Un imprenditore

La De dollarizzazione è iniziata
La visione di quanto sta accadendo a livello mondiale, europeo e nazionale non può prescindere da un attenta valutazione su quanto sta accadendo negli USA, questi si trovano in una condizione finanziaria senza precedenti “tetto del debito federale, arrivato alla cifra record di circa 28500 miliardi di dollari. Persino Jamie Dimon, attuale amministratore delegato di JPMorgan Chase, la più grande banca al mondo, ha espresso timori quanto all’evento “potenzialmente
catastrofico” di una eventuale insolvenza creditizia da parte degli Usa. Inoltre, un portavoce di Morgan Stanley ha avvertito la possibilità di un default del credito statunitense”. https://www.orizzontipolitici.it/gli-usa-a-rischio-default-il-problema-del-debito-americano/ Gli USA hanno necessità di attrarre investitori per sostenere il debito pubblico oltre a mantenere alti i livelli produttivi a garanzia della sostenibilità del debito stesso. Questi due elementi si stanno verificando entrambi, si pensi al Canada dove il conferimento dei poteri speciali al premier per sopprimere le manifestazioni sulle restrizioni COVID ha generato
un’ondata di paura che ha portato l’immediato trasferimento negli USA di 500 Miliardi a dimostrazione che l’instabilità genera vantaggi indotti, stessa cosa potrebbe iniziare ad avvenire (o forse è già iniziata) anche in Europa con l’instabilità venutasi a creare le cui conseguenze si acuiranno nelle prossime offerte di titoli di stato che inizieranno a dover riconoscere tassi di interesse sempre più attraenti.
Rispetto ai livelli produttivi con le congiunture favorevoli create sono ripartiti settori che i grafici di borsa davano per moribondi, con il covid è ripartita l’industria della farmaceutica, con il conflitto in Europa è ripartito il richiamo agli stati a maggiori investimenti nel settore bellico e quindi di conseguenza si iniziano a commercializzare le produzioni belliche favorendo lo svuotamento dei mega depositi pieni fino all’orlo, si sono aperti nuovi mercati per il settore del gas Americano con
il GNL, si apriranno enormi praterie per il settore grano e cereali in genere venendo a mancare le forniture Russe e Ucraine. Gli USA hanno conquistato forzatamente il mercato Europeo chiudendo il fronte forniture Russo, l’Europa è stata annessa come mercato per andare a dare sfogo al sistema produttivo americano.
L’Europa, un entità destinata a dissolversi, le troppe contraddizioni che la compongono, emergeranno sempre più vistosamente, l’Europa si impoverirà rapidamente e cresceranno le tensioni sociali oggi rinviate con i vari sostentamenti che i vari stati hanno creato (https://
www.openpolis.it/il-reddito-di-cittadinanza-e-i-sussidi-nel-resto-deuropa/). È caduta la neutralità storica della Svizzera generando fughe di capitali ancora non quantificate… la prossima sarà
l’Olanda che ha creato in Europa un paradiso fiscale a tutti gli effetti. Tutto a vantaggio del Delaware e del mercato USA, come avvenne per Panama. In tanti lo ignorano, ma i governanti Europei per disincentivare proteste e contestazioni hanno accelerato il progetto dell’identità digitale …. Sarà lo strumento di controllo delle masse contro l’insurrezione dei popoli?
La de dollarizzazione è lontana, prima dovrà implodere l’Europa e a quel punto gli USA che sono già pronti nel mondo Crypto riusciranno a ultimare l’avvicinamento e l’alfabetizzazione dei cittadini Americani a questo nuovo tipo di moneta. Emblematica fu la risposta di Biden all’annuncio di Draghi che l’Europa avrebbe creato un proprio Euro digitale…. Biden rispose “superato esistono già le Stabil Coin”.
Le Stabil Coin sono Crypto valute il cui valore è espresso in dollari ed è un valore stabile nel rapporto 1/1 (1 stabil Coin = 1 Dollaro USA). Con questa relativamente nuova moneta si è data stabilità al prodotto Crypto per renderlo utilizzabile nella vita quotidiana. In America, ma come in tutti i paesi del mondo le Cryptovalute vengono già utilizzate come metodo di pagamento, non il conosciuto Bitcoin che è instabile in termini di apprezzamento di valore ma le stabil coin.
A mio avviso questo paradigma si concluderà quando verrà distrutto il tessuto industriale del centro Europa, sarà completato il saccheggio mantenendo in vita una guerra che coinvolgerà l’Europa fino a portarla a fine paradigma allo scioglimento facendola ritornare un entità geografica e non politica dove opportunisticamente gli USA privilegeranno rapporti, con quegli stati a loro necessari (Italia e Francia – Mediterraneo) (Romania e Polonia area cuscinetto con la Russia) per il resto buona fortuna a chi rimarrà fuori dagli interessi Americani.
L’unica variabile è rappresentata dall’atteggiamento del blocco (Cina, India, Russia) rispetto a questo paradigma del nuovo mondo… un paradigma probabilmente destinato a subire un brusco arresto a Novembre quando Trump potrebbe vincere le elezioni, a quel punto avendo una mentalità anche imprenditoriale capirebbe, come ha già capito che gli USA non sono pronti industrialmente a sostituire le forniture asiatiche nel breve periodo e quindi rischierebbero
realmente il default e forse anche la guerra civile, il blocco produttivo mondiale Cina, India e Russia hanno in mano la bomba atomica del terzo millennio “L’INFLAZIONE”.

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BENVENUTI NEL NUOVO MONDO

Tre giorni fa ho ospitato sul blog l’intervento dell’economista Guido Salerno Aletta sullla de-dollarizzazione. Articolo molto letto, secondo i canoni del mio piccolo blog, e che ha acceso un dibattito tra diverse persone su whattupp e con il telefono. Ho ritenuto perciò opportuno chiedere loro un contributo. I primi tre li pubblico oggi, probabilmente ce ne saranno altri. Il fine è aprire un dibattito anche tra voi lettori, che potete dire la vostra nella finestra dei commenti. E’ un articolo lungo, vi prego di prestare pazienza e attenzione. Ne vale la pena. Ecco i contributi.

1)Roberto Sassi, filosofo e saggista: “DUELLO&TRIELLO

La guerra senza limiti comprende esiti frastagliati…La competizione interimperialistica, in un mondo multipolare, è un triello alla Sergio Leone, non un duello alla John Ford (Gattei docet). Nel duello vince chi spara per primo.Nel triello, chi spara per primo muore (cf. Il buono, il brutto e il cattivo). Questa situazione mette nell’angolo gli USA, che sono ancora la maggiore potenza militare mondiale. Per uscire dall’angolo, gli USA vogliono:

Costringere l’UE nella morsa atlantica

Bloccare la via della seta

Tornare al duello est-ovest
Così si capiscono 8 anni di temporeggiamento russo e la posizione defilata della Cina.
Lo scambio USA- UE prevede il riarmo tedesco. Una volta ottenuto, l’UE si è lanciata in prima linea, dopo un’apparente perplessità iniziale.
La balcanizzazione dell’Europa orientale è ormai cosa fatta.
Ma il futuro non è scritto…
Filippo Violi, scrittore e analista:La posta in gioco: All-in

Nell’ultimo quinquennio il rapporto tra Mosca e Pechino si è andato sempre più consolidando, specie attraverso accordi commerciali (energetici, alimentari, militari, logistici) di grande respiro, cosa che ha sempre preoccupato Washington, soprattutto l’influenza che le due grandi potenze messe insieme avrebbero potuto un giorno avere in Europa, qualora non si fosse posto un freno serio a questa avanzata. La guerra che si combatte oggi in Ucraina, più sul fronte della diplomazia che con le armi, e che va avanti da oltre 8 anni, assume per Washington un carattere di notevole importanza per le sorti dell’intera nazione, pena la perdita del controllo dell’egemonia del dollaro sul resto del mondo. Pertanto bloccare l’avanzata lungo le due direttrici d’intervento nord – sud, staccare l’Europa dagli interessi strategici congiunti sino-russi e drenare più capitali possibili nella borsa di Wall Street, rappresentano i reali motivi bellici portati avanti dal Pentagono. Tutto questo ha come fine ultimo quello di bloccare lo schema congiunto sino-russo di de-dollarizzazione cha va avanti in modo silente da oltre un decennio e che è stato lasciato volutamente inosservato dai media e dagli stessi analisti occidentali.

Il biglietto verde essendo diventata una moneta fiat (proprio a partire dalla fine degli accordi di Bretton Woods), il cui valore è legato solo al peso specifico del terrore che l’apparato industriale militare (di cui si serve) riesce ad incutere nel mondo, più che al valore intrinseco di moneta-merce, gode pertanto di una fiducia non derivante dalle reali fondamenta di un’economia in salute, ma da una politica interventista ed espansionista che si è andata consolidando nell’ultimo mezzo secolo.

La nuova pianificazione militare del Deep State ha ripreso vigore proprio a partire dalla cacciata di Trump e il richiamo dei Democratici al potere, bocciando il suo progetto “American First” basato su una prospettiva di medio e lungo termine, orientato a ricostruire tutto un apparato industriale manfatturiero andato distrutto già a partire dagli anni ’70 del secolo scorso con il processo di delocalizzazione. Il rischio che il dollaro cominciasse a perdere peso e fiducia a vantaggio dello Yuan e delle due potenze antagoniste era troppo grande. L’allarme è scattato nell’aprile del 2019 dopo lo scontro Xi Jinping e Trump sui dazi commerciali e la smobilitazione in un solo mese di oltre 70 miliardi di dollari di Treusary Bond da parte del governo di Pechino.

Nell’ultimo biennio, specie con l’avvento dei democratici alla Casa Bianca, l’obiettivo strategico è stato proprio quello d’invertire questa rotta: un dollaro che sta perdendo sempre più  fiducia e consistenza, un debito pubblico che si aggira intorno ai 30 trilioni di dollari (dati Dipartimento del Tesoro Usa) e  una posizione debitoria finanziaria netta con l’estero di circa 11 mila miliardi di dollari, tutti segnali precari di un’incertezza crescente, di volatilità e di terrore tra gli stessi operatori finanziari. A ciò si aggiunge un divario sempre più oneroso da pagare in termini di benessere tra finanza ed economia reale.

Rimettere in moto l’apparato industriale militare era l’unica soluzione possibile da adottare, l’unica carta da giocare. Sul tavolo della diplomazia agli americani non restava altro che fare all-in, spingendo e soffiando a più non posso sul grosso focolaio di guerra già attivo nel cuore dell’Eurasia. La novità è che dall’altra parte del tavolo questa volta Putin, con il consenso e soprattutto con lo scudo economico-commerciale di Pechino, ha deciso di andare a vedere.

Sergio Calzolari “Spatto”, manager:

Le Oligarchie, il gatto, ed i Numeri 4 e 8.

 

Innanzitutto voglio ringraziare il BLOG per ospitare queste riflessioni a più voci. È molto importante soprattutto in un momento in cui avviene la costruzione simbolica del nemico interno con ampio utilizzo di metodiche studiate dal grande Lotman per la guerra nella semiosfera.

In premessa voglio chiarire che non mi è mai piaciuto il ne’-nè e non ho mai fatto parte della cultura vigliacca del ne’nè.

Con Dante ho sempre disprezzato gli ignavi.

Quindi, voglio dire che non sono affatto equidistante nei miei giudizi: c’è chi ha torto storicamente e chi ha ragione. E non serve a tal proposito l’analisi soltanto da un punto di vista antisistema. Risulta sufficiente il pensiero classico conservatore. A tal proposito si legga ultima intervista a https://www.newyorker.com/news/q-and-a/why-john-mearsheimer-blames-the-us-for-the-crisis-in-ukraine che riprende le analisi del suo famoso Why the Ukraine Crisis Is the  West’s Fault The  Liberal  Delusions  That  Provoked  Putin, testo scritto nel settembre 2014. Ma il non essere nel giudizio equidistante,  non significa parlare come un libro dei sogni scritto per giunta da noi stessi. Anzi, il ragionamento emotivo non deve toccare l’analisi, per cui i punti che presenterò saranno in forma problematica; è meglio presentare delle problematiche aperte piuttosto che delle problematiche chiuse.

Per costruire un pensiero che sia all’altezza della sfida portata avanti dalle oligarchie della Tecnica e della Moneta abbiamo la necessità di far transitare in un terreno eterodosso tutte le nostre riflessioni. A proposito dell’azione delle oligarchie, per inciso, invito a confrontarsi con uno scritto di questi giorni di Hudson. Non si tratta di complottismi, ma di analisi circa gli strateghi del capitale agenti nel conflitto contemporaneo.

America Defeats Germany for the Third Time in a Century

Elenco come bullets i punti del mio ragionamento.

  1. Il tema della de-dollarizzazione attraversa da tempo il dibattito nella teoria. Anche fra il pensiero liberista più stretto. Basta vedere la pagina dell’istituto Mises. Bisogna imparare a ragionare e studiare a 360 gradi.
  2. Di fatto, se avvenisse la divisione del mondo delle relazioni commerciali in due blocchi non comunicanti, occorrerebbe capire che quasi tutte le transazioni internazionali avvengono in USD o EUR o YPJ e non in valute diverse.

Conosco perfettamente le obiezioni e le ricerche che mostrano il calo dell’utilizzo del dollaro. Ma sono analisi  fatte dentro insiemi relazionali statici, fatte quindi in un contesto precedente. Oggi non possiamo essere sicuri come reagiranno soggettivamente i molti attori economici e la combinazione dei servomeccanismi di sistema nel nuovo contesto in movimento. Voglio sottolineare che, in un mondo multipolare, la astrazione determinata di una tendenza deve avere presente la molteplicità delle possibilità e le mosse e le contromosse dei vari agenti che non sono affatto fra loro alleati strategici di lungo periodo. Anzi…il contrario: essendo portatori di interessi oggettivamente confliggenti. A tal proposito dobbiamo capire che siamo in presenza ormai da tempo di diversi capitalismi con diversa dominante interna nelle varie formazioni economico sociali. Ha fatto molti danni il continuare a ragionare di capitalismo come se ancora ci fosse il capitalismo proprietario borghese studiato da Marx in Inghilterra 150 anni fa.

Il capitalismo americano del 900 era già assai diverso nelle sue componenti principali. Oggi abbiamo diverse tipologie capitalistiche (con variegate e diverse configurazioni soggettive strategiche all’interno) che si dispiegano nella concorrenza multipolare del processo di valorizzazione che (ripeto a scanso di equivoci) NON è mai soltanto di merce ma di valore. La tendenza al policentrismo è un processo lungo e come tale va studiato, non è la realtà del mondo attuale, e per svolgersi essa ha bisogno di tempo, come nel periodo di fine 800, con la decadenza inglese che si concluse di fatto tramite la seconda guerra mondiale. Epperò voglio anche subito sgombrare il terreno teorico da fantasie “campiste socialiste”, in quanto semplicemente non esistono se non nella mente di chi le pensa per farsi cullare dalla nostalgia ansiolitica.

  1. La Russia ha già azzerato i suoi investimenti ufficiali in titoli del Tesoro Usa: mentre – seguo i dati Aletta- nell’ottobre 2017 ammontavano a 102 miliardi di dollari, nel dicembre 2018 erano già scesi a 13,2 miliardi, per poi scomparire. La Cina ha fatto pressappoco lo stesso: dal record di 1.316 miliardi di dollari del novembre 2013 è scesa a 1.072 nel dicembre 2020.

Ora faccio un link ad uno scritto dove sono chiare le  percentuali in valore. https://www.safe.gov.cn/en/2021/1231/1913.html

A questo punto la domanda è: come porti verso zero oltre 1000 miliardi di dollari in una situazione di guerra economica come questa e nella quale ti puoi beccare la sanzione del congelamento di lungo periodo? La Russia ha zero. La Russia infatti può procedere. Ma la Cina con molta maggiore difficoltà. Prego prestare molta attenzione alla diminuzione in percentuale del prestito usd ed alla sua velocità temporale di effettuazione.

Queste due dinamiche corrispondono ad analisi di trade-off differenti che presuppongono a loro volta scenari geopolitici in sviluppo anch’essi differenti. Occorre sempre guardare gli elementi della funzione nel suo svolgimento temporale oggettivo e mai solo il Verbo.

  1. Abbiamo per cui una conseguenza logica ed oggettiva.

Ma come facciamo ad essere così sicuri che la Cina si allei nel lungo periodo con la Russia se esse hanno interessi divergenti? Soltanto per Taiwan? Forse. Ma io non ne sarei tanto convinto.

  1. Un discorso sono i titoli di debito, di credito, le riserve monetarie…un altro discorso sono le transazioni day by day degli affari. Se i due blocchi non sono comunicanti la transazione deve avere l’accordo del venditore del primo blocco a ricevere una valuta che abbia un aggancio al suo sistema monetario di riferimento. Altrimenti stiamo parlando di conchiglie o di baratto.

Mi sembra proprio che vada enfatizzata la differenza dei due piani: le transazioni commerciali ed i titoli di debito pubblico. Se la Cina farà fatica a dedollarizzarsi sul debito, sulle transazioni, invece, sarà un problema per tutti, perché nessuno accetterebbe Yuan o rubli o loro strani equivalenti temporanei in un mondo bipolare. Anzi, l’effetto vero sarebbe di creare un mercato nero di dollari e euro, con un valore di scambio molto piu’ svantaggioso per i cittadini del blocco Russia/Cina (ammesso e non concesso che questa divisione si creasse).

  1. Infine avremo sempre il problema che i due sistemi si devono legare comunque ad un equivalente generale. Non credo che l’oro possa essere il solo ed il principale. Una interessante possibilità mi sembrano le criptovalute.

Sulle criptovalute ci sono due piani. Il primo piano e’ la possibilita’ per Russia e Cina di creare un sistema finanziario alternativo e competitivo basato sulle criptovalute come strumento di scambio all’interno del blocco. Ed in qualche modo collegato all’altro blocco. L’altro piano e’ che le criptovalute, invece, per loro natura fattuale, sfuggendo al controllo delle autorita’ monetarie, potrebbero configurarsi come uno o LO strumento finanziario che viaggia attraverso i due blocchi, consentendo transazioni commerciali che sfuggano al controllo delle autorita’ (ricordiamo il Di Caprio in Blood Diamond… il mercato nero e’ la vittoria del libero mercato contro la regolamentazione statale). In questa ipotesi, ci sarebbero anche grosse perdite fiscali per gli stati, perche’ l’economia reale del commercio riuscirebbe a bypassare i controlli. E su questa provocazione per adesso mi fermo. Concludo con una citazione di Alan R. Holmes ( …realtà non teoria!), che fu uno dei più potenti uomini della nazione americana, lavorando per 33 anni presso la Federal Reserve Bank of New York, per la quale dal 1965 al 1979 divenne manager del Federal Reserve System Open Market Account. In tale ruolo egli fu il reale responsible per la creazione di moneta negli United States.

” in the real world bank extend credit, creating deposit in the process, and look for the reserves later”.

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DOLORE ECONOMICO IN ARRIVO IN EUROPA

Pubblico un articolo apparso oggi su China Daily sull’impatto economico del conflitto ucraino per l’Ue. Il quadro che l’analista cinese dà è devastante. Vi invito a non vedere tv o leggere giornali, siamo da 30 anni debolissimi perché abbiamo distrutto il mercato interno e andiamo avanti grazie all’export, non avendo materie prime. L’analista cinese sottilmente lo sottolinea tra le righe, non mette il coltello nella piaga, forse per rispetto o diplomazia, ma ha un quadro preciso della situazione. Ieri l’economista Guido Salerno Aletta postava su fb questa sua nota: “L’Occidente, Usa ed Ue, è il vero Comecon… una economia chiusa, di sottosviluppo.Gli Usa hanno un debito estero netto di 13 mila miliardi di dollari. Importano a debito, non producono altro che servizi, dipendono dalla Cina per tutta la manifattura.L’Europa non ha indipendenza energetica e sopravvive solo con l’export verso Usa, Cina Russia.I Brics sono economie complementari, che non hanno bisogno né del dollaro né dell’euro. Hanno materie prime, terra, manifattura, popolazione e capacità di consumo”. 

Queste parole non le troverete in nessun media europeo, tutto taciuto. So di imprenditori preoccupatissimi, di analisti altrettanto, ma stanno in silenzio, non vogliono esporsi, attendono eventi, ad esempio le Mid Term americane. Ieri all’Onu Cina e India si sono astenuti sulla risoluzione di deplorazione alla Russia. Manca il Brasile (per i Brics), ma lì c’è Bolsonaro. Ma si è astenuto anche il Pakistan, quattro giorni fa ha siglato un accordo con la Russia per un gasdotto. Un mondo che emerge, un altro mondo che sprofonda. A subirne le conseguenze sono le popolazioni, europee, e con questo intendo anche ucraine e russe. L’imperialismo occidentale non vuole passare la mano, o perlomeno, convivere con altri attori che ormai sono fortissimi. Un cane rabbioso, perciò pericoloso. Ma leggiamo cosa pensano in Cina della nostra economia. Buona lettura.

Dolore economico in arrivo per l’Europa Di CHEN YINGQUN | Quotidiano cinese

Secondo gli analisti, l’economia europea potrebbe sopportare il peso maggiore degli effetti di ricaduta della crisi ucraina sotto forma di prezzi dell’energia ancora più elevati e riduzione della fiducia delle imprese. Tian Dewen, vicedirettore dell’Istituto di studi europei presso l’Accademia cinese delle scienze sociali, ha affermato che il mondo è un villaggio globale in cui i paesi sono economicamente interdipendenti e qualsiasi crisi che si verifica può influenzare la vita delle persone ovunque. Un impatto immediato della crisi ucraina è il colpo alla ripresa economica dell’Europa sullo sfondo della pandemia di COVID-19. “L’impatto di un conflitto o di uno scontro a fuoco tra Russia e Ucraina è destinato a propagarsi in tutta Europa e oltre, con effetti a catena sull’economia globale”, ha affermato Tian. La Russia è il terzo produttore mondiale di petrolio e uno dei principali esportatori mondiali di gas naturale, mentre l’Ucraina è il principale esportatore alimentare mondiale. 

La Russia rappresenta circa il 40% delle importazioni di gas naturale nell’Unione Europea e circa il 30% delle sue importazioni di greggio, secondo Eurostat, l’agenzia statistica del blocco. L’UE e gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni alle maggiori banche russe e alle sue élite e hanno congelato i beni della banca centrale detenuti fuori dal Paese. Hanno anche agito per rimuovere alcune banche russe da SWIFT, il sistema di pagamento utilizzato per la maggior parte delle transazioni finanziarie internazionali. Tian ha affermato che i problemi energetici riguarderanno direttamente i paesi europei, data la dipendenza di molti di loro dalle forniture russe. L’Ucraina è un importante snodo di transito per il petrolio e il gas russo. Austria, Italia e Slovacchia importano gas naturale dalla Russia, trasportato principalmente attraverso l’Ucraina. Parte del gas naturale fornito dalla Russia raggiunge anche la Germania e la Polonia attraverso l’Ucraina. I prezzi dell’energia sono aumentati vertiginosamente nell’ultimo anno in Europa e la crisi ucraina peggiorerà la situazione, ha affermato Tian. “Per molti paesi, è difficile trovare soluzioni energetiche alternative a breve termine”, ha affermato. Tian ha affermato che una caratteristica dell’economia dell’UE è che, per la maggior parte, le sue materie prime vengono fornite dall’esterno del blocco e si concentrano le imprese locali ad alta intensità di capitale e tecnologia. Inoltre, i suoi mercati non hanno slancio di crescita e molti dei prodotti della regione devono essere venduti al di fuori dell’Europa. “Ecco perché l’incertezza nell’economia mondiale avrà un impatto maggiore sull’economia dell’UE”, ha affermato Tian. “L’impennata dei prezzi dell’energia e delle materie prime e la carenza di forniture, così come le catene di approvvigionamento globali che non si sono completamente riprese dalla pandemia di COVID-19, sono tutti fattori negativi per la ripresa dell’economia europea”. Fiducia aziendale: Tian ha affermato che gli investitori e il capitale in genere evitano l’esposizione ai conflitti e l’incertezza danneggerà la fiducia e i consumi delle imprese. Ciò avrebbe un grande impatto sull’economia europea, ha aggiunto lo studioso. Chen Fengying, ricercatore senior sull’economia mondiale presso il China Institutes of Contemporary International Relations, ha affermato che, considerando la dipendenza dell’UE dall’energia russa, ci sono indicazioni che i paesi occidentali potrebbero non toccare il settore energetico nelle loro azioni contro Mosca. Ma il conflitto Russia-Ucraina alimenterà ulteriormente l’inflazione in Europa. A parte le bollette energetiche, i prezzi del cibo sembrano destinati a salire, ha aggiunto Chen. Secondo la società di consulenza londinese Capital Economics, Russia e Ucraina rappresentano insieme dal 25 al 30% delle esportazioni globali di grano e circa l’80% delle spedizioni globali di semi di girasole. Chen ha affermato che molti paesi stanno già pagando prezzi più alti a causa del conflitto. All’interno dell’UE, è probabile che la Germania ne risenta di più. La sua economia sta crescendo più lentamente rispetto a molti altri paesi dell’UE. La Germania si attiene a un piano per abbandonare l’energia nucleare entro quest’anno e ha fatto affidamento sull’energia russa. Ma il 22 febbraio il Paese ha annunciato che avrebbe sospeso la certificazione del gasdotto Nord Stream 2, che vale circa 11 miliardi di dollari. Chen ha affermato che se il conflitto in Ucraina si allenterà presto, ci sono motivi di ottimismo sul fatto che i suoi effetti economici diminuiranno gradualmente.