Categorie
Finanza

PROCESSO BOLOGNA, PROPAGANDA E RIFORME NELL’ISTRUZIONE PUBBLICA

Finalmente il blog si occupa dell’istruzione, o meglio, della sua distruzione, grazie al contributo di una cara amica. Ho sorelle e amiche insegnanti, amici che lavorano nella scuola come Ata o come bidelli, ho sempre ritenuto che l’istruzione, assieme alla sanità, fosse il caposaldo del salario sociale di classe e il cui smantellamento, iniziato negli anni novanta, ha portato un degrado pazzesco nel Paese. Un crimine contro le nuove generazioni. Qui una testimonianza.

Mirella Cané

Mio figlio ha 16 anni e il prossimo a.s. frequenterà il terzo anno di Liceo scientifico…. se il Liceo a cui è iscritto riuscirà a formare le terze classi, secondo le indicazioni del ministro dell’istruzione Bianchi, e cioè con il criterio di dividere e accorpare le classi per ridurne il numero totale, così da ridurre anche il personale docente e ATA. Gli studenti per classe devono essere almeno 28/30….

Alla luce di questo momento così “alto” nella strategia che il Ministero dell’istruzione (MIUR) ha adottato pensando alla formazione culturale di milioni di studenti, ci dobbiamo porre delle domande e comprendere perché – e quando – è iniziato il lavoro di smantellamento dell’organizzazione scolastica italiana, e che ha portato a minare le basi per la formazione e la cultura di milioni di ragazzi italiani.

La condizione critica in cui versa oggi l’istruzione in Italia parte da lontano, almeno dalla fine degli anni 90 del secolo scorso.

Possiamo identificare l’origine di questo processo da un incontro avvenuto a Bologna nel 1999, incontro promosso dai ministri della pubblica istruzione d’Italia, Germania, Francia e Regno Unito e che è stato chiamato il Processo di Bologna.

L’obiettivo ufficiale e propagandato era di realizzare uno Spazio di formazione comune europeo o Spazio d’educazione Europeo entro il 2025, che uniformasse i titoli di studio tra i diversi paesi europei, che permettesse il libero movimento all’interno della comunità europea di insegnanti e studenti del mondo accademico e dell’istruzione superiore al fine di trovare più facilmente lavoro all’interno del mercato comune europeo.

Ricordo quel periodo: negli anni Novanta ero studentessa della facoltà di Scienze Politiche dell’Alma Mater Studiorum di Bologna, mi sono laureata e mi sono rimaste impresse le immagini, trasmesse dalla televisione, del crollo del muro di Berlino e del mondo sovietico, oltre che dei bombardamenti della Nato su Belgrado e su Baghdad, e ricordo come i politici italiani (in primis Romano Prodi, mio concittadino, oltre che titolare di una cattedra nella Facoltà di Scienze Politiche, ma assente giustificato perchè impegnato nel processo di eropeizzazione forzata dell’Italia.

Politici e media in quel periodo proclamavano i valori europeisti come l’abbattimento delle frontiere, la libera circolazione di uomini e merci nel vecchio continente, l’introduzione della moneta unica europea, la divisione del lavoro a livello europeo e mondiale, insomma stavano dando vita e forma al nuovo mondo politico economico e finanziario noto ora con il nome di globalizzazione ed io non me ne stavo accorgendo….

Il Processo di Bologna fu un evento di portata storica, che segna una “rivoluzione” e stravolge il sistema della pubblica istruzione in Italia, nei contenuti dei programmi di studio, nelle finalità pedagogiche e di formazione culturale e professionale del sistema scolastico italiano. Questa “rivoluzione” riguarda tutto l’ordinamento scolastico, ma investe soprattutto la formazione universitaria e quella secondaria di secondo grado.

Da questo momento si susseguono una serie di riforme che tendono all’applicazione delle linee guida formulate dal Processo di Bologna, ma sviluppate e articolate anno dopo anno, incontro dopo incontro, tra i paesi membri di questo Processo, che crescono di numero, e ogni volta si incontrano in città diverse, in nazioni diverse, e ogni volta aggiungono nuove linee guida che gli Stati aderenti sono invitati a seguire per realizzare gli obiettivi prefissati. Per inciso, oggi i paesi aderenti sono quasi 50. Ne citiamo alcuni, giusto per assaporare l’eterogeneità o il globalismo del Processo: oltre ai Paesi promotori Francia, Regno Unito, Germania e Italia, si sono aggiunti via via, Montenegro, Ucraina, Moldavia, Azerbaigian, Paesi baltici, Paesi dell’est Europa, etc. etc… Ne faceva parte anche la Federazione Russa che ha annunciato il suo ritiro nell’Aprile 2022.

Quali sono state le tappe attraverso cui i vari governi italiani che si sono succeduti negli ultimi 20 anni sono riusciti a raggiungere gli obiettivi imposti e condivisi con la classe politica europea globalista

  • 1997 Si parte con la riforma del ministro della pubblica istruzione Luigi Berlinguer, quello che è stato pioniere del Processo di Bologna del 1999. Questa riforma non è mai stata attuata per questioni di crisi di governo, ma di fatto rappresenta lo spartiacque ideologico nella formazione scolastica italiana. Berlinguer annulla il principio fondamentale su cui poggiava il sistema formativo italiano fino a quel momento, l’esistenza cioè di due percorsi: il processo di formazione culturale e quello di formazione professionale. La riforma Berlinguer riguarda soprattutto l’università, vennero riformati i corsi di studio universitari, con l’introduzione del “sistema del 3+2” ovvero la creazione della laurea triennalee della laurea specialistica. Altre novità che vengono introdotte nel sistema e che resteranno: il credito formativo, l’esame di maturità riformato e l’introduzione del voto in centesimi
  • 2003 Riforma Moratti che, con alcune aggiunte, integrazioni e modifiche della successiva riforma Gelmini (2008) rappresenta l’ordinamento scolastico italiano tuttora attivo. Si è trattato di una riforma completa, dalla scuola d’infanzia all’università ma, l’elemento secondo me fondamentale, riguarda la riforma dei programmi ministeriali, che subiscono un cambiamento drastico per quanto riguarda lo studio delle discipline storia, geografia, scienze.

Ritengo fondamentale soffermarmi su questo punto. Vediamo il programma di storia nella scuola primaria ad esempio:

1 anno: Avviamento alla disciplina

2 anno: Concezione del tempo in generale e del proprio

3 anno: Studio dalla Preistoria alla scoperta della scrittura

4 anno: Studio delle civiltà antiche

5 anno: Studio della civiltà greca, dei popoli italici, della civiltà romana

 

Mio figlio, cioè, terminato il secondo anno di Liceo, a 16 anni è arrivato ai Romani, da quando ha iniziato la scuola a 6 anni ha studiato sempre e soltanto i Sumeri, gli antichi popoli della Mesopotamia, l’Antico Egitto, l’Antica Grecia e l’Impero Romano. Dai titoli di testo della terza Liceo si evince che arriverà fino al Medioevo…. Non sono a conoscenza dell’obiettivo per l’ultimo anno di Liceo, staremo a vedere…

  • Altre importanti novità introdotte dalla Moratti e che sono ormai “patrimonio” della struttura organizzativa della scuola italiana:
  • Abolizione del tempo prolungato, sia per la scuola primaria che la scuola secondaria di primo grado
  • Introduzione dell’alternanza scuola – lavoro nella scuola secondaria

 

  • 2008 Riforma Gelmini:

 

 

 

Da wikipedia; 12/7/2022 “Autonomia finanziaria e didattica, processo di Bologna e seguente riforma del 3+2, percorso a ipsilon, legge 270, riforma Gelmini nelle sua varie forme: dietro a queste denominazioni neutre si nascondono privatizzazione dell’università, tagli selvaggi al finanziamento statale, aumento delle tasse studentesche, smantellamento del diritto allo studio, blocchi agli accessi ai diversi livelli di laurea, svilimento della didattica.”

 

Categorie
Finanza

DEMOCRAZIE E IMPERIALISMO SONO INCOMPATIBILI

Eccellente post di Nevio Gambula, attore e commediografo.

 

Amo viaggiare, ed ho viaggiato tanto (e viaggerò ancora). Di ogni paese ricordo tutto, il paesaggio, le città, gli incontri; dall’Ecuador agli Emirati Arabi, ricordo ogni singola persona con cui ho conversato. Il mondo, anche quello che non ho visto, è ricco di significati, differenziato in quanto a culture, variegato; eppure, in ogni luogo ho incontrato un’unica specie, interessante e bella. Nel mondo può darsi che tutto complotti contro di essa, ma essa è, in fondo, un’unica magnificenza. È per questo che non riuscirò mai ad abituarmi al pensiero che esista l’imperialismo. Nulla è più insensato della volontà di una parte della specie umana di dominarne un’altra.
Ma l’imperialismo esiste, fa parte della storia attuale dell’umanità. I suoi sforzi sono chiari: così come in passato, con rinnovata tecnologia, mira a un unico scopo, a guadagnare e possedere, cioè a sottrarre qualcosa a una parte dell’umanità a vantaggio di un’altra, più potente economicamente e meglio armata. Tutta l’umanità è corrotta da esso, tutto il mondo sta sotto il suo dominio. È pura ipocrisia negarne l’esistenza, o anche nominarlo solo in relazione alle azioni di paesi autocratici e mai per le politiche di paesi che fanno parte di quell’insieme variegato che chiamiamo Occidente. In realtà, la lacerazione è più profonda quando la vocazione imperiale appartiene a paesi che fanno professione di valori universali, giacché non esiste dimensione più distante dalla libertà e dalla democrazia dell’imperialismo.
L’umanità rimane una, benché la sua esistenza si moltiplichi in forme diverse; ma il suo destino non è la sua unificazione, bensì la sua disgregazione ad opera di forze materiali che non riesce a controllare. L’imperialismo è, per così dire, l’ossatura tecnico-finanziaria di queste forze, il protagonista quasi assoluto della scena globale. La sua astuzia è tale da impedire alla democrazia di controllarlo e persino, talvolta, di spingerla a praticare in suo nome politiche di carattere sostanzialmente criminale, come se fossero il prezzo da pagare per mantenere in vita un intero sistema. L’aspetto sconcertante di questi paesi: che essi si comportano come le autocrazie che vogliono combattere, con le loro invasioni, e le loro guerre, e le loro violazioni del diritto internazionale, e i loro crimini contro l’umanità. Così, l’imperialismo diviene la più completa forma di negazione della democrazia.
Gli Stati Uniti, per esempio. Nulla è più terribile della stupida provocazione di questi giorni contro la Cina; d’improvviso l’umanità assiste, suo malgrado, all’apertura di un altro fronte di guerra, potenzialmente più catastrofico di quello in Ucraina. La mia sensazione è che nell’amministrazione americana ci siano forze che spingono per una guerra contro la Cina; stanno talmente tramando in quella direzione, facendo della Cina il simbolo di ogni male, che non avranno problemi a creare il casus belli. Si può davvero credere che lo facciano per difendere la democrazia? Un ingenuo può crederci, forse; ma chiunque abbia un minimo di conoscenze storiche, anche solo sommarie, arriverà presto a sospettare che si tratti di altro. Il significato più profondo del loro comportamento provocatorio sta nel fatto che gli Stati Uniti vogliono preservare la loro egemonia globale, e quella di Taiwan è un’area strategica fondamentale per il controllo del Pacifico. Imperialismo, nient’altro che imperialismo.
In molti dei paesi che ho visitato, anche in quelli più simili al nostro, la politica estera americana non gode di tante simpatie. In Ecuador, per esempio; ricordo la conversazione con un indio del luogo, a Cuenca. «C’è un punto in cui l’umanità dovrà dire basta», mi disse; «se non riuscirà a fermare la politica di potenza statunitense, non potrà che soccombere». Aveva ragione. Per l’umanità, non c’è niente di più pericoloso quanto la politica internazionale degli Stati Uniti; lavorano per affermare il loro egoismo di nazione, si adoperano per difendere i loro interessi, e perciò coltivano la destabilizzazione, l’ingerenza, la guerra. Di quante prove abbiamo ancora bisogno per ammetterlo?
Io amo molto della cultura americana, e adoro New York, che considero una delle città più belle al mondo. Non vi è alcun dubbio sul fatto che si tratti di un paese da cui dipende il destino del mondo, nel bene e nel male. Ricordo molto bene cosa mi disse l’addetto dell’agenzia di viaggi dove acquistai i biglietti aerei per andare a New York: «Gli Stati Uniti sono l’universo». Anche in questo caso, il mio interlocutore aveva ragione. Ma ogni universo ha i suoi buchi neri. Al di là di ciò che appare, e delle eccellenze che conservano comunque un aspetto progressista, c’è una società fondata sull’egoismo (l’interesse personale come misura di ogni successo) e sulla concorrenza (il fare di ogni cosa mercato e di ogni altro un nemico), e dunque sulla sopraffazione, sulla disgregazione sociale (e razziale), sulla diseguaglianza, sulla povertà – e sulla violenza, giacché gli Stati Uniti sono un paese dannatamente violento. A pensarci bene, c’è qualcosa di tremendo nella metafora degli Stati Uniti come “universo”. La sua universalizzazione riguarda il suo lato peggiore, quello che toglie respiro alle tendenze egualitarie dell’umanità. Ciò che gli Stati Uniti “esportano” principalmente non è l’eccellenza medica o tecnologica, bensì l’idea che i propri interessi di nazione debbano prevalere su quelli delle altre nazioni. In ciò sta la loro pericolosità, che è poi la pericolosità propria di ogni imperialismo: l’imposizione forzata della propria egemonia è la negazione più efficace, e perciò stesso spaventosa, delle aspirazioni di libertà e democrazia dei popoli.
Troppo piccolo è il mondo, e troppo fragile è la specie umana. Io continuo a pensare che l’umanità dovrebbe alimentare la propria vocazione alla condivisione e al rispetto delle differenze, per sviluppare qualcosa di diverso dalla politica di potenza e imperiale. Non è facile, tutt’altro. Ma è già qualcosa pensarci, pensare un’alternativa e liquidare, prima di tutto in se stessi, ciò che esprime tolleranza verso il lato peggiore della società occidentale. Si deve saper pensare, e dirlo a piena voce, che la democrazia è incompatibile con l’imperialismo.
<img class=”j1lvzwm4″ role=”presentation” src=”data:;base64, ” width=”18″ height=”18″ />
Categorie
Finanza

“IL MARE A PIETRALATA”. LIBRO DI POESIA DI CLAUDIO ORLANDI

Pubblico qui una serie di recensioni del libro dell’amico Claudio. Stamane mi ha mandato una poesia. Ne sono rimasto così impressionato che gli ho chiesto di darmi delle recensioni per il mio blog. Lui gentilissimo, e ora ho il piacere di pubblicarle. Come frammenti. Come deve essere la poesia. Buona lettura.

 

Il mare a Pietralata
25 settembre 2021
Recensione di Alessandro Hellman
Claudio Orlandi e l’altrove nel quotidiano Il mare a Pietralata: 30 anni di poesia in un libro Ha atteso 30 anni Claudio Orlandi, voce carismatica dei Pane, prima di affidare alle pagine di un libro le sue poesie e le sue liriche per canzone. “Il mare a Pietralata” offre un saggio della scrittura affilata, psicotica e visionaria dell’autore, capace di implacabile crudezza e inattese tenerezze, di desolazioni riarse e improvvise fioriture. Slegata dalle costrizioni di una narrazione sequenziale, e dunque aperta all’intuizione che crea squarci nel reale e scopre nervi e organi interni, quella di Orlandi è una poesia del presente e dell’altrove, messi in contatto dalla violenza eruttiva di un’emozione, una poesia di ferite aperte e lente guarigioni, di morte e resurrezione, in un universo in cui tutto è sensibile e tutto è possibile, anche il mare a Pietralata. Alessandro Hellmann – Settembre 2021

06 agosto 2021
Il Mare a Pietralata: la poesia esce dai laboratori
Ecco un libro diverso. Finalmente, mi verrebbe da dire. Personalmente, non ne posso più di: tanta poesia di laboratorio, clinica, nucleare, ingegneristica, linguistico-vegetativa; di tanti “geniali” rilievi geopoetici intorno all’assenza dello Spirito, il senso, il corpo (bastaaaaaaaa), ecc. ecc. ecc. ecc.. Ad ogni modo, ho avuto la fortuna di leggere questo “Mare a Pietralata” un mesetto fa e ne sono stato molto colpito.. Mi ha lasciato una strana sensazione di benessere, appagamento… a tratti mi sono sentito proprio bene. Potevo finalmente sentirmi un lettore deresponsabilizzato, privo di colpe. Sarà per il mare, mi viene da dire. E forse è così. Ma probabilmente la risposta sta nella particolare natura di questi testi, una natura che si potrebbe dire “vocale”: sono poesie che si (mi) lasciano ascoltare, sentire. Una “poesia buona”. Posso stare tranquillo. Nessuna urgenza di fare un mondo (per poi farne il senso e/o il nonsenso), mi basta accompagnarne l’apparire. Si entra nell’ascolto e si è contemporanei all’autore. Piccolo stupore: essere al lato dell’autore (un passo indietro chissà, ché la pagina è fina, ma taglia). Insomma, un’esperienza di lettura diversa, una specie di cerimonia, ecco, Cosa c`e in questo libro? Difficile da dire: poesia in circolo, in cerchio (o in un chiostro o un centro, privato, civile…), e il circolo di sé stesso, del proprio tempo, le parole della memoria, la disciplina dell’amore, della morte, riunioni di animali, pesci, alberi, mele, molte noci.., E canzoni chiaro (Orlandi è la voce – oltre cha autore dei testi – del gruppo Pane da moltissimi anni). Insomma, una bell’episodio editoriale questo libro, complimenti a TIC edizioni, La prima lettura è stata proprio un viaggio. La seconda poi si fa “ad occhi chiusi”. Tanto non ci si perde. Il mare è grande e orienta..

Recensione di M. Lodoli
23 luglio 2021
O dentro o fuori! Questa ormai sembra essere l’unica logica nel mondo dello spettacolo e dell’arte, una sorta di darwinismo spietato che lascia pochissimo spazio a quella che una volta si chiamava “cultura alternativa! Per chi ha successo ci sono come sempre tappeti rossi, interviste, contratti e applausi, mentre per chi rimane per scelta e vocazione fuori dal circo non c’è più neanche un briciolo di attenzione. Eppure esistono ancora artisti ostinati che poeticamente continuano a creare sul margine, senza pretendere nulla, orgogliosi della loro irriducibile diversità. Claudio Orlandi, voce del gruppo musicale “Pane”, è uno di questi perenni esiliati, quasi un reperto storico dell’underground romano. Per anni ha suonato e cantato in piccoli club, registrato dischi pressoché introvabili, prodotto musiche e testi a volte quasi irritanti per il loro anacronismo: e ancora tiene duro, ancora canta e suona e scrive. E ora pubblica un libro “Il mare a Pietralata”, che contiene i testi delle sue canzoni e molte poesie inedite. Scrive nella poesia “Lode al 211”(l’autobus): “Parte dal nulla/ osserva il secondo fiume di Roma/ ma forse il primo per inquinamento in Europa/ si innerva sulla via/ collega Nomentana e Tiburtina/ affronta buche ciclopiche/ per pochi spicci e pochi passeggeri/ tutti rigorosamente residenti a Pietroburgo./ Poi affoga nella Magna Tiburtina/ tra piccole forme umane di borghesia/ quindi in stazione/ dove il mondo sfreccia ad alta velocità/ E’ un eroe. Passa poco”. Ecco, una periferia romano-pietroburghese, abitata da anime pure e dimenticate, attratte dall’assoluto e divorate dalla miseria. “La grande poesia risiede al quinto piano”, scrive Orlandi, in palazzoni anonimi, mille miglia distanti dalle luci abbaglianti della fortuna e del successo. Quasi nessuno se ne accorge, nessuno ascolta: “Tutti si tengono a distanza da un cartello con su scritto/ attenzione si scivola” Marco Lodoli – La Repubblica, 21 giugno 2021.

Categorie
Finanza

IL DECLINO DELL’EUROPA NEL MONDO E IN ASIA

Vi sottopongo un articolo uscito il 20 luglio su Asia Nikkei, quotidiano giapponese, da parte di un analista di una merchant bank anglosassone. Non commento, dico solo di fare voi le considerazioni. Buona lettura.

Articolo di Asia Nikkei, quotidiano giapponese: “La discesa dell’Europa nell’irrilevanza in Asia
Le forze naturali che spostano il continente dalla regione sono sempre più potentiWilliam Bratton
20 luglio 2022 17:00 JST

l’Europa sta diventando nient’altro che un piccolo attore in Asia. ©
William Bratton è l’autore di “China’s Rise, Asia’s Decline”. In precedenza è stato a capo della ricerca azionaria Asia-Pacifico presso HSBC.

La rilevanza economica, finanziaria e politica dell’Europa in Asia è in rapida contrazione.

Nonostante tutta la spavalderia proveniente da tutta Europa, e dalla stessa Unione Europea, sulla necessità di mantenere l’influenza in Asia, la realtà è che le forze naturali che spostano l’influenza europea dalla regione sono sempre più potenti e radicate. L’Europa viene costantemente spostata ai margini della politica, dell’economia e della finanza asiatica, un processo che accelererà la balcanizzazione dell’economia globale.

In una certa misura, questa crescente irrilevanza è autoinflitta. In termini di panorama politico della regione, ad esempio, è ora dolorosamente ovvio che i leader europei ricevono pochissimi favori internamente per l’adozione o la promozione di un orizzonte internazionale oltre i confini del continente, come recentemente dimostrato nel Regno Unito. e Francia.

La defenestrazione non dignitosa del primo ministro britannico Johnson Boris e l’effettiva sterilizzazione del presidente Emmanuel Macron da parte dell’elettorato francese sono arrivate nonostante i tentativi di presentarsi come statisti globali che operano al di sopra della mischia della meschina politica interna. Sebbene ragioni molto diverse spieghino i fallimenti di entrambi gli uomini, il fatto che non siano riusciti a sfuggire alla brutale aspirazione delle priorità domestiche è un segnale di avvertimento per i paesi asiatici che guardano alle potenze europee come potenziali partner per la sicurezza.

Dopotutto, se è vero che gli elettori europei sono sempre stati di natura parrocchiale, questa caratteristica sembra essersi accentuata negli ultimi decenni.

Ciò deriva in primo luogo da un’opinione sempre più diffusa all’interno di numerosi circoli politici, in particolare a sinistra, secondo cui l’Europa non ha il diritto di affermarsi a livello globale date le complicazioni percepite e attuali della storia.

Emmanuel Macron, a sinistra, e Boris Johnson a Roma nell’ottobre 2021: Il fatto che non siano riusciti a sfuggire alla brutale aspirazione delle priorità domestiche è un segnale di avvertimento per i paesi asiatici che guardano alle potenze europee come potenziali partner per la sicurezza. © AP
Un altro fattore, forse più profondo, è che le questioni interne dell’Europa, sia sociali che economiche, sono ora così sostanziali da sopraffare qualsiasi aspirazione internazionale, in particolare quelle che soddisfano i bisogni di paesi lontani.

Infatti, anche se c’era un desiderio e una volontà fondamentali di svolgere un ruolo globale, anche in Asia, la scomoda realtà è che l’Europa non ha più la forza economica per sostenere la forza necessaria per esercitare tale rilevanza.

Non solo le economie europee oggi sono sotto stress, ma anche le loro prospettive si stanno deteriorando.

L’enfasi politica pervasiva sulla ridistribuzione della ricchezza invece che sulla creazione apparentemente di ricchezza ha portato a distorsioni strutturali che sono sia negative che aggravanti, con troppe risorse ora allocate allo stato e altre funzioni meno produttive. Di conseguenza, le economie della regione sono sempre più stagnanti, come dimostrano gli scarsi miglioramenti del prodotto interno lordo pro capite nell’ultimo decennio.

Questa ridotta performance economica ha, a sua volta, contribuito all’attuale pessimo stato delle capacità di difesa della regione. Quando i paesi europei hanno dovuto fare scelte difficili sull’allocazione di risorse sempre più scarse, la spesa per le forze armate e gli aiuti esteri si sono rivelati facili bersagli.

Nonostante l’entusiasmo per l’aumento degli stanziamenti per la difesa in risposta all’aggressione russa in Ucraina, questi affronteranno solo in parte il sottoinvestimento multidecennale nelle forze armate del continente. Non cambieranno materialmente la portata globale di questi eserciti, né la loro capacità di contribuire all’evoluzione dell’equilibrio di potere dell’Asia.

Ma mentre i suddetti fattori sono tutti interni all’Europa, lo spostamento della regione dall’Asia è anche determinato da cambiamenti naturali, sebbene drammatici e potenti, nella geografia dell’economia globale.

Nell’immediato periodo successivo alla Guerra Fredda, le economie dell’Europa occidentale rappresentavano un terzo del PIL mondiale. Oggi rappresentano meno di un quinto e nei prossimi cinque anni la loro quota diminuirà ulteriormente poiché l’economia globale continua a inclinarsi lontano dal continente.

Al contrario, il Fondo monetario internazionale prevede che l’economia cinese supererà quella dell’Europa occidentale nel 2023 e sarà più grande di quasi il 20% entro il 2027.

Dato questo relativo declino, non sorprende che l’importanza dell’Europa per il commercio mondiale, la finanza e l’innovazione tecnologica stia diminuendo. I paesi dell’Europa occidentale rappresentavano il 40% di tutto il commercio mondiale all’inizio del secolo, ma oggi solo il 30%, di cui la maggior parte è intraregionale.
Gli stessi paesi hanno generato quasi tre quarti degli investimenti diretti esteri globali in uscita nel 2000, ma solo il 28% nel 2021. E in termini di progresso tecnologico, la quota di brevetti globali concessi a entità europee è scesa da più di un quarto nel 2000 a meno di un quinto attualmente.

Questa perdita di influenza è particolarmente marcata in Asia. I paesi, le aziende e le istituzioni europee vengono emarginati, se non completamente esclusi, poiché i sistemi economici e finanziari, le dipendenze tecnologiche e le strutture politiche dell’Asia diventano tutti di natura più regionale e più incentrati sulla Cina.

Ciò è molto evidente nella rilevanza in declino dell’Europa come partner commerciale per i paesi asiatici. La sua quota nel commercio di merci dell’Asia orientale e sudorientale, esclusa la Cina, è diminuita di oltre un terzo negli ultimi due decenni, dal 16% a solo il 10%. E l’anno scorso, i paesi dell’Europa occidentale sono stati la destinazione di meno di un decimo delle esportazioni di Malesia, Singapore, Corea del Sud e Taiwan.

Né è solo il commercio in cui è evidente la crescente marginalizzazione economica dell’Europa in Asia. Nella finanza, ad esempio, le banche d’affari e commerciali europee stanno perdendo quote di mercato a favore di banche locali sempre più competitive e capaci. Allo stesso tempo, gli standard tecnologici e le dipendenze della regione sono ora definiti più dalle decisioni prese a Pechino che nelle capitali europee.

In breve, l’Europa non sta diventando altro che un piccolo attore in Asia. Alcuni in Europa potrebbero lamentarsi di questa perdita, ma questa dinamica è una funzione sia della politica interna europea sia delle forze inesorabili che stanno rimodellando l’economia globale dell’influenza. Nessuno di questi è probabile che venga interrotto o annullato.

Pertanto, i paesi asiatici che sperano che le nazioni europee possano fungere da contrappeso alla crescente potenza della Cina sono destinati a rimanere delusi. Forse ancora più importante, lo spostamento dell’Europa dall’Asia sarà la prima rottura sostanziale mentre il mondo si frammenta in tre distinti blocchi regionali economici e politici.

Categorie
Finanza

RECENSIONE ALLA SECONDA EDIZIONE DEL LIBRO PIANO CONTRO MERCATO

Su consiglio di amici, a fine dicembre, grazie a mia moglie che cura sito e pagina telegram, ho aperto un canale su questo social. Per me era una  novità, abituato a facebook. Scrivendo per Lantidiplomatico, sono entrati circa 1300 lettori, molti giovani, molti sconosciuti, gran parte non presenti nella mia pagina facebook. E così ho un nuovo pubblico, ci lavoro molto, lo tengo aggiornato finché posso, dati i miei impegni di lavoro, ma devo dire che i contatti sono interessanti, mi arricchiscono. Certo ci sono divergenze, ma non blocco nessuno, li lascio parlare. Meglio dialogare anche duramente, su un social, che vedere tv. Un contatto ha preso la seconda edizione ed in due giorni ha divorato il libro. E’ calabrese e impiegato pubblico come me, coetaneo, come a dire che non tutto della mia generazione è perso. Ha fatto una recensione, che pubblico, altre verranno. Buona lettura.

 

“Piano Contro Mercato” il libro di Pasquale Cicalese giunto ormai alla seconda edizione, è un’opera da leggere, un must per comprendere le dinamiche degli equilibri socio politici economici internazionali che hanno interessato ed interessano anche e soprattutto l’Italia. Non conosco Pasquale di persona ma lo sto apprezzando per le sue idee per il suo impegno ed anche per il fatto che è calabrese come me della mia stessa età ed impiegato pubblico al mio pari. Credo che leggere il libro di Pasquale è importante e bisognerebbe far ripartire il paese basandosi sulle riflessioni che dai suoi scritti traspaiono e che si sono rivelate corrette ex post. Infatti Pasquale contrappone l’analisi delle teorie del libero mercato adottate nell’ovest del mondo a quelle della pianificazione statale (tipiche dei socialismi) ed adottate nell’est (Cina ad esempio) analizzando gli effetti sulle economie degli Stati. In alcuni punti del libro egli evidenzia come un mix di libero mercato e pianificazione con intervento dello stato, così come attuato in Italia dopo la seconda guerra mondiale fino agli anni ’80 del secolo scorso, sia stata una combinazione favorevole per lo sviluppo dell’economia dello Stato e del benessere sociale. Questo concetto, di fatto, è stato copiato dalla Cina sin dagli inizi del nuovo secolo e non si può nascondere che sia stato un elemento di fondamentale importanza per la crescita di questa potenza mondiale che ancora molti credono non pienamente sviluppata. Spero che questo libro possa essere letto, magari anche in parte perché in ogni punto in cui si apre esiste un paragrafo pregno di concetti importanti, dicevo possa essere letto dalle nuove generazioni che poco conoscono delle dinamiche economiche italiane e mondiali, affinché possano consolidare una seppur minima coscienza economica oggi per prendere le opportune contromisure domani. Luigi Maria Pugliese.

Categorie
Finanza

IN MERITO AI REFERENDUM SULLA GIUSTIZIA

Pubblico qui di seguito un intervento di un lettore circa i referendum del 12 giugno sulla giustizia. Graditi commenti, critiche e condivisioni. Buona lettura.

“Chi scrive ha un’impostazione distaccata e lineare del problema giustizia in Italia: non sono iscritto, né milito in un qualsiasi partito politico, quindi, osservo e ragiono in modo autonomo, lontano da interessi di qualsiasi natura.

Il 12 giugno 2022 gli italiani saranno chiamati alle urne per esprimersi sui c.d. cinque referendum sulla “giustizia”.

L’elettore ha una grandissima difficoltà a comprendere (e quindi a decidere) il merito dei quesiti referendari e la portata di simili decisioni; sono numerose le segnalazioni in merito e, lascio ai siti istituzionali e agli organi d’informazione il doveroso chiarimento; a me interessa affrontare il nocciolo del problema “giustizia” nell’ottica dei referendum e in quella de iure condendo della c.d. “riforma Cartabia”; di seguito indico l’indirizzo della “Gazzetta Ufficiale” relativa alla legge delega L. n. 134/2021 in www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/2021/10/04/237/sg/pdf

I quesiti referendari – tutti molto tecnici – verteranno su 1. La separazione delle carriere dei magistrati, 2. La riforma del Consiglio Superiore della magistratura, 3. La valutazione dei magistrati, 4. La custodia cautelare, 5. La legge Severino. Il testo dei quesiti si trova a questo indirizzo: https://dait.interno.gov.it/elezioni/speciale-referendum

Ricordo che l’istituto del referendum è previsto dalla Costituzione in vigore dal 1948 precisamente dall’art. 75, comma 1 che recita: “È indetto referendum popolare per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.”

Il 12 giugno 2022 gli italiani dovranno scegliere se abrogare parzialmente da una parte, la legislazione che regola le carriere dei magistrati (separazione e valutazione), l’organo di autogoverno dell’ordinamento giudiziario mentre i rimanenti due quesiti riguardano i limiti alla carcerazione preventiva e la legge c.d. “Severino” che determina l’automatismo dell’interdizione dai pubblici uffici di amministratori e sindaci, lasciando ai giudici la facoltà di decidere caso per caso.

I cinque referendum sulla giustizia sono stati promossi dalla Lega e dai Radicali ha con lo scopo specifico di fare-qualcosa-subito per la giustizia italiana, nella sua accezione più lata e vasta del termine.

Tutta, o almeno, una buona parte delle questioni espresse nei quesiti referendari sono oggetto di una riforma della giustizia, detta anche “riforma Cartabia”; questa proposta legislativa dovrebbe – almeno a detta dei suoi sostenitori – rendere inutili i quesiti referendari, ma al momento in cui scrivo, 29/5/2022, prevedo che sarà impossibile che detta riforma sia approvata; quindi, il 12 giugno occorre andare alle urne per dire ai quesiti referendari.

Chi scrive ha sottoscritto la richiesta dei referendum e, quindi, il 12 giugno 2022, andrò a votare Sì alla abrogazione delle leggi di cui ai quesiti referendari; tuttavia, sono scettico che, qualora si pervenisse al quorum elettorale (maggioranza del cinquanta per cento più uno), le cose cambierebbero per l’effetto dei referendum stessi.

In realtà, a mio parere, nemmeno la c.d. “riforma Cartabia” potrà cambiare a fondo e significativamente il sistema della giustizia in Italia per questi motivi.

  1. Il primo problema è seminale e strutturale, ossia come è stato concepito, sviluppato e istituito l’ordinamento giudiziario nella Costituzione stessa.
  2. Da ciò deriva la ragione occulta e manifesta della funzione giurisdizionale nel seno dell’intero ordinamento statale italiano; infatti, a ben guardare, l’ordinamento giudiziario italiano oltre alla funzione stessa immediata, quella della amministrazione della giustizia, ne possedeva un’altra più intima e mediata, quella di fornire una stabilità all’intero sistema costituzionale che, data la sua natura parlamentare, necessitava di un sostegno stabile e duraturo. Stessa cosa si dica della funzione del Presidente della Repubblica. È un dato di fatto che, nel corso degli ultimi trent’anni, in seguito al crollo del sistema dei partiti del 1992, gli unici organismi costituzionali che – senza entrare nel merito – hanno mantenuto una certa dose di stabilità sono la “magistratura” (in senso giornalistico) e il Presidente della Repubblica.
  3. Ciò detto sommariamente, si comprende che, anche gli auspicati esiti positivi dei referendum del 12 giugno, o della “riforma Cartabia” siano destinati a incidere marginalmente sullo stato di diritto in Italia.
  4. Forse l’unico intervento auspicato ed effettivo è quello che riguarda l’art. 274 del codice di procedura penale sulle misure cautelari: se vincesse il sarebbe eliminata l’ultima parte dell’art 274 cpp, ossia la possibilità -per i reati meno gravi- di motivare la misura cautelare (andare in prigione) per il pericolo di reiterazione del reato (ripetizione del reato) cosa che, purtroppo, di fatto, accade spesso per imporre –prima di una sentenza definitiva– una limitazione della libertà personale, determinando gravi distorsioni e un abuso dello strumento processuale nel caso in cui la persona non sia effettivamente pericolosa.
  5. I cinque quesiti referendari devono vincere il giorno 12 giugno perché sono una speranza di iniziare un processo lungo e complesso di revisione della Costituzione e dei codici vigenti (civile, penale e procedura civile e penale) che mettano l’Italia e gli italiani nel pieno del XXI secolo: la società italiana è totalmente differente da quella del 1/1/1948, data dell’entrata in vigore della Costituzione, e, di conseguenza, lo sono anche i giudici inquirenti e giudicanti. Solo un intervento complessivo e sistemico sulla Legge Fondamentale e, a caduta diretta sui codici, potrebbe cambiare davvero il sistema “giustizia”!

 

In sintesi e in conclusione: occorre votare il giorno 12 giugno; occorre una visione d’insieme e organica per affrontare la complessità dei tempi attuali; occorre agire senza condizionamenti alcuni, senza che “qualcuno-ce-lo-chieda” in nome di qualsiasi alto ideale o banale fandonia che sia; occorre essere liberi per alleviare (risolvere è un verbo per i teoremi che lascio ai matematici) le tensioni del vivere civile che – da sempre – sono fonte di scontro e che gli uomini s’illudono di definire con l’espressione amministrazione della giustizia.”

Avv. Mario Umberto Morini

Avvocato del Foro d’Isernia

Patrocinante in Cassazione

Categorie
Finanza Italia

LA FEROCIA DI CLASSE DEI PADRONI DELL’OCCIDENTE

Mi ha colpito la notizia della colf del miliardario Vacchi, bolognese, sottoposta a umiliazioni, offese e anche bottigliate se non ballava su Tik Tok. Costui è seguito da milioni di fan, evidentemente il popolo italiano sogna di essere ricco come lui e lo imita. Da qui le frustrazioni di massa  che colpiscono gran parte della gente, spesso sfogati nelle mura domestiche dove a farne le spese sono le donne e i figli. Una società impazzita, scollegata. Eppure non era così negli anni settanta. C’è chi dice che in quel periodo i padroni avevano paura, mentre negli ultimi decenni ad aver paura sono i salariati. E’ un capitalismo feroce, senza pietà, i cui  pilastri hanno origine negli anni settanta, quando iniziò la guerra al salario in tutto l’Occidente, Usa, Germania, Inghilterra, Italia, Australia ecc . Il campo occidentale, si scelse, doveva basarsi su bassi salari e pervenire ad un assetto feudale dove i salariati diventavano servi dei ricchi e quasi schiavi. Si tornava, negli ultimi decenni, al dominio assoluto dei salariati, a cui si tolsero istruzione, salario diretto e salario globale di classe Questo assetto viene perseguito negli ultimi anni, anche grazie alla pandemia, dove si sperimenta un controllo poliziesco della popolazione. Un capitale, quello occidentale senza pietà, nel mentre in Cina puntano sul collegamento degli assetti economici e sociali, sull’istruzione di massa per arrivare ad una società progredita, loro che venivano dalla miseria di massa. Il punto è la scelta del campo occidentale, alla metà degli anni settanta, di guerra al salario per assetti feudali, un ritorno indietro di 5-600 anni. Non ha più da dire l’Occidente, per questo promuove guerre guerreggiate, guerra economica, guerra finanziaria, guerre sociali. Un toro ferito, impazzito, che è pericoloso. Manca la coscienza di classe di tutto ciò, se non in ambiti minoritari, nel mentre milioni di persone ammirano le gesta schiavizzanti di Vacchi.

Categorie
Finanza

NUOVO PACCO PER CHI VIVE DI SALARI

Oggi Il sole 24 ore pubblica una proposta di un tavolo di concertazione trilaterale Governo-Confindustria e Confederali, una nuova politica dei redditi che “affronti” lo scenario inflazionistico corrente. Come al solito ai padroni non si chiede quasi nulla, tutto è addebitato allo Stato, alla fiscalità generale. Evidentemente a Roma si preparano alla nuova strategia della Bce di contenere ulteriormente i salari per affrontate l’inflazione importata. La guerra pagata dai salariati, sia nel reddito nominale, sia nei prezzi energetici – bollette- sia nel carrello della spesa. Mazziati tre volte. Una politica iniziata con i sacrifici chiesti ai salariati nella seconda metà degli anni settanta e mai più finita. Quasi 50 anni di guerra al salario per difendere i livelli di profittabilità venuti meno sin dagli anni sessanta sia mediante la lotta di classe dei salariati, sia per la modifica della composizione organica del capitale (più capitale morto rispetto a capitale vivo). Si fronteggia in tal modo la stessa competizione capitalistica con altre realtà economiche in ascesa, che sembrano inarrestabili, e si mantiene un alto profilo di rendita finanziaria visto che i profitti industriali per la quasi totalità si riversano lì. I confederali si preparano ad un nuovo pacco verso la classe dei salariati, fiancheggiatori della guerra di classe condotta dai capitalisti da decenni in questo paese. Si addossa tutto al cuneo fiscale venendo meno qualsiasi disponibilità di aumenti salariali diretti da parte delle associazioni di categoria. Cuneo fiscale che, se venisse ridotto, essendo fiscalità pubblica, verrebbe compensato da tagli sociali o di servizi, già al minimo storico, aggravati da blocco turn over da decenni. Una storia triste per il nostro Paese, che sembra non abbia mai fine. C’è la letargia della classe lavoratrice, nessuno si muove o si organizza, quasi tutti passivi e che hanno rinunciato a qualsiasi lotta. Ma senza di essa non c’è modernità, anche culturale, oltre che socio-economica. Gli anni sessanta e settanta furono anni duri, ma fervidi sotto questi punti di vista. Ora da 40 anni, dal divorzio Tesoro- Banca d’Italia, siamo nella melma, colpiti dalla deflazione salariale e dal taglio del salario sociale. Una volta si diceva: “vogliamo tutto”. Ora è il padronato a dirlo e a riprendersi ciò che aveva parzialmente concesso, ritornando ad assetti ottocenteschi. Ci vorrebbe un Proust, un Balzac per capire questi decenni. Ma non ce li abbiamo. Triste sorte.

Categorie
Finanza

PUTIN, IL COMUNI…CATORE

 
 
 
 
 
 
 
 
 
MojoMay 15, 2022
Andrea Brodi
 

Riportiamo uno degli ultimi post del Segretario Generale del Partito Comunista della Federazione Russia Gennady Zyuganov.

IL NOME DI ZYUGANOV È VIETATO

Di recente, su molti computer delle scuole è stato installato un programma speciale che blocca l’accesso a “informazioni indesiderate” e vieta la connessione a reti Internet di terze parti. Come puoi vedere da questo video, il nome del leader del Partito Comunista della Federazione Russa, Gennady Andreyevich Zyuganov, era nell’elenco delle “informazioni indesiderabili”. Allo stesso modo, non puoi visitare il sito del quotidiano “Pravda”. Ad esempio, le informazioni su Putin e sul compianto Zhirinovsky possono essere trovate abbastanza tranquillamente. Durante la lotta alle minacce esterne, le autorità continuano ostinatamente a non ascoltare i milioni di elettori che hanno sostenuto il Partito Comunista nelle elezioni e fanno guerra ai comunisti, vietando ora anche l’accesso a informazioni alternative e veritiere sulla situazione nel paese agli scolari e sul futuro della Russia. Il nostro paese continua a scivolare costantemente in una distopia!

Post originale

 https://t.me/zyuganov_gennady/556

Il comunicato del segretario Gennady Zyuganov del Partito Comunista della Federazione Russa, può essere utile per ribadire alcune contraddizioni tutte interne al territorio russo e che spesso, anche per evidente isolamento linguistico, sfuggono a tanti compagni che in buona fede si muovono polarizzati su certe posizioni tenendo conto della sola politica estera perpetrata del governo di Putin; compiendo lo stesso errore di taluni compagni che provano il debole per la cosiddetta barricata. La notizia riportata dal segretario del Partito Comunista, seconda forza del parlamento russo, non oscura il ruolo della Russia in chiave antimperialista nello scacchiere mondiale. La Russia in questo momento mette in dubbio lecitamente la politica aggressiva del dollaro e l’imposizione delle politiche monetarie statunitensi sulle economie del mondo di quei paesi fino ad oggi subalterni, ricchi di materie prime, ma che non vogliono svendersi al sistema delle multinazionali né essere condannate alla servitù del dollaro, con le regole del dollaro. Si può dire che la Russia in questo momento è la capostipite, il rappresentante politico bellico, di quel folto gruppo di paesi (la maggioranza del mondo) che hanno deciso, grazie a rinnovati rapporti di forza, di alzare il capo e mettere in dubbio il giogo statunitense. Tra questi paesi troviamo anche la Cina, un paese complesso che negli ultimi anni si è ritagliato il ruolo di produttore modiale che ha garantito il benessere dell’occidente fino ad oggi. La Cina si è resa protagonista di uno sforzo collettivo che ha portato una trasformazione straordinaria nel paese, come testimoniano i milioni di persone uscite dalla soglia della povertà assoluta negli ultimi anni, questo processo verrà sostenuto soprattutto sulla soddifazione della domanda interna. Un risultato che promuove la Cina come candidato a futuro detentore della bussula mondiale, scalzando un occidente che sa ormai di rancido. La Cina, così come la Russia, è stata utile al capitale finanziario fin quando serviva sfruttarne il ruolo da gregario, ma i rapporti di forza ora sono cambiati. Sopratutto a confronto degli Stati Uniti e alla loro situazione economica che potremmo definire folle; sorretta solo da un enorme debito reso possibile dall’imposizione della propria moneta sul mondo, un paradosso di una economia che gli USA riescono a mantenere sostenibile solo perchè presidiata da un apparato militare senza scrupoli.

Ciò detto, questo non significa prendere ad esempio il sistema politico su cui si basa la leadership di Putin, non significa esserne portatori di lodi e non significa vedere in Putin una sorta di novello Lenin. Posto che, alla luce delle dichiarazioni pubbliche, il leader russo pare essere di gran lunga il più moderato di altri cosiddetti falchi russi, non servirebbe neanche puntualizzare che pensare alla Russia come un paese anche vagamente socialista sarebbe un esercizio assurdo oltre che pericoloso. A maggior ragione, alla luce di quanto denunciato dal segretario Gennady Zyuganov che si vede censurato pur rappresentando la seconda forza politica in parlamento, il monito è sempre lo stesso: non cadere nella trappola della polarizzazione. Così come non cedere all’immenso fascino esercitato dalla restaurazione dei nostri simboli durante i recenti scontri armati, ricordandosi di tirare una linea di demarcazione netta tra la lotta di classe e la nostalgia. Né cedere a quella che purtroppo, per certi tratti, appare una strumentalizzazione della grande guerra patriottica, che è la motivazione bellica ideologica (parallela a quella economica entrambe necessarie in ogni guerra) fornita indirettamente in un piatto d’argento dagli StatiUniti con la testa di ponte ucraina, condizionata dalle drammatiche politiche nazionaliste che segnano il passo e dimostrano quanto il capitale statunitense sia oggi un animale ferito e rabbioso. Quella del governo di Putin è un’operazione per serrare le fila del popolo russo, rivendicare le conquiste storiche e stringersi intorno alla propria classe dirigente in un momento critico, un’operazione che però sembra essere indirizzata anche oltre “cortina di ferro”. Non dimentichiamoci che proprio quei mass-media spinti da logiche capitaliste sono, prima ancora che dei divulgatori, i creatori su vasta scala di questo particolare sentimento, quasi del tutto sconosciuto fino alla modernità e che oggi è diventato pervasivo e ingombrante: la nostalgia, manipolata da un secolo di cinema e mezzo secolo di televisione per riempire quel vuoto immenso di valori che si è portato via il regime consumistico degli ultimi 20 anni.

Questa operazione capiamo bene sia anche funzionale per le sorti del conflitto e per la sua buona riuscita, così come non mettiamo in dubbio l’intelligenza del popolo russo nel riconoscere la sottile linea rossa che divide il significato storico patriottico della falce e martello dal significato politico, teorico e soprattutto pratico. Così come non mettiamo in dubbio che agitare il vessillo rosso provoca il terrore, non ironicamente, negli occhi dei padroni dell’ordine unipolare. Ciò detto però, è bene essere consapevoli che questa operazione di comunicazione da parte del governo di Putin, corroborata dalle contraddizioni della politica interna russa che non scopriamo certo ora, non è troppo dissimile dal cosiddetto “greenwashing“: la strategia di comunicazione finalizzata a costruire un’immagine di sé ingannevolmente positiva, in questo caso, sotto il profilo dell’impatto capitalista piuttosto che ambientale. La denuncia del segretario Zyuganov è lì a ricordarcelo.

Inoltre, i compagni del Partito Comunista della Federazione Russa ci hanno provato con la recente proposta di restaurare come bandiera nazionale di Russia quella che fu dell’Unione Sovietica. Questa, che ai più è sembrata solo una nota di colore, è stata una mozione presentata con il solo scopo di legittimare l’inclusione dei territori del Donbass perché la zona originariamente, prima della dissoluzione, era sotto il controllo politico dell’URSS; il Donbass ne è stato sottratto ingiustamente, tenendo conto dei confini amministrativi voluti da Lenin (per bilanciare il PIL dell’Ucraina grazie alle industrie di carbone) e non quelli politici che appunto comprendevano il Donbass nell’Unione Sovietica. La mozione ha un valore politico provocatorio perché in contrasto con l’idea che si sta facendo largo che vede la Russia approfittare degli attuali rapporti di forza bellici per voler espandersi sulla linea sud, che va dalla Crimea fino ad Odessa per ricongiungersi alla Transinistria, a ragione o a torto, molto ben oltre il Donbass. Questi territori erano di fatto originari della RSS Ucraina e non dell’URSS, l’azione del Partito Comunista nella proposta della bandiera è un tentativo di rimarcare l’approvazione dell’operazione speciale e l’annessione dei territori limitatamente al Donbass e le repubbliche popolari che hanno subito l’aggressione ucraina dal 2014. La Russia ha di recente lamentato atti terroristici di intimidazione in Transinistria contro la popolazione russofona e denunciato il tentativo di un probabile attacco ad un arsenale sovietico di enormi dimensioni (in realtà è molto più modesto di quanto fatto credere), la paternità di questi atti terroristici non è ancora stata chiarita a fondo, ma chiunque capisce che il pretesto, che in questo caso si regge su episodi deboli rispetto la crisi in Donbass, fornisce l’occasione alla Russia per prendersi tutto lo sbocco sul mare (stiamo imparando a conoscere quanto sia strategico per un paese considerato il granaio europeo) e isolando ciò che rimarrà dell’Ucraina. A ciò si aggiunge anche l’Isola dei Serpenti, conquistata fin da subito dalla marina russa e rivendicata di recente dalle forze Ucraine che poi si è rivelata una fake news. L’isola è un piccolissimo lembo di terra a 35km dalla costa Ucraina, di enorme importanza strategica per il controllo delle rotte navali (e fin qui si potrebbe giustificare una presa temporanea per motivi bellici), ma soprattutto perché ricca di giacimenti di petrolio e gas naturale scoperti negli anni ottanta, così importanti tanto da generare un contenzioso tra Ucraina e Romania risolto in favore dei primi solo nel 2009. Va detto che l’annessione de facto di questi territori è un po’ diverso dagli obbiettivi inizialmente posti limitatamente al riconoscimento del Donbass, la demilitarizzazione dell’Ucraina e la denazificazione. Aggiungiamo che senz’altro si è arrivati a questo scenario anche con la complicità di Stati Uniti e Nato e la loro ostinazione bellicista sulla pelle del popolo ucraino, prima influenzando la condotta riguardo agli accordi di Minsk palesemente violati e successivamente negando ogni accordo a operazione speciale russa inziata.

Non è imprudente immaginarsi che la tenuta di un paese come la Russia, in questo momento, passi anche da un patto tra l’oligarchia e la politica; due entità che non parrebbero l’una subordinata alla seconda come invece avviene palesemente in occidente (nella fattispecie nel nostro paese). Il governo di Putin in questo momento sta raccogliendo i frutti politici dell’operazione speciale, il largo consenso della popolazione ad una campagna bellica che pare procedere come sperato, in aggiuta portata avanti per lo più con un vecchio arsenale di epoca sovietica (solo qualche giorno fa si sono visti una decina di carriarmato di ultima generazione) e un conseguente e cospicuo riarmo dovuto al bottino in armi ottenuto sul campo di battaglia sottratto alle forze ucraine (comprese moderne armi NATO). E si può dire lo stesso per le cosiddette oligarchie: in primis l’Europa ha completamente perso la guerra del gas accettando lo schema per il pagamento in rubli proposto dalla Russia, che allo stesso tempo ha aumentato le esportazioni verso i paesi alleati del BRICS (Cina e India in testa); questo, dopo un momento di stallo dovuto alla speculazione delle sanzioni occidentali, ha dato linfa alla moneta nazionale russa che sta letteralmente galoppando, i dati sulla bilancia commerciale russa sono straordinarie ed inequivocabili, se pur probabilmente temporanei. Infine a conflitto concluso, molte società russe potranno essere coinvolte alla ricostruzione dei territori che verranno annessi, in un modo o nell’altro, sotto l’influenza russa o nella Russia stessa; questo vale anche per le risorse che vi si trovano. In soldoni: le società che mettono le mani su questo tesoretto ricavato dalla guerra non sono pubbliche e purtroppo non garantiranno una redistribuzione al popolo russo come ci piacerebbe che accadesse per il benessere dei cittadini. Pur non negando l’attacco subito dalla Russia messa spalle al muro dalla mano statunitense in un processo che si è voluto e preparato negando di proposito la diplomazia per quasi 10 anni, avere un paese strategico al centro dell’Europa come l’Ucraina, in uno stato di coma economico finanziario a causa del procrastinarsi della guerra, con la possibilità di provocare una metastasi di instabilità (con le conseguenze tragiche sulla catena di approvvigionamento alimentare che pagheranno i popoli più esposti), è uno scenario che torna utile senz’altro agli Stati Uniti (con la rottura del complesso industriale tedesco non più legato a Mosca), ma anche alla Russia che si troverà come cuscinetto non più l’Unione Europea, ma decine di schegge impazzite e la possibilità di allargare la propria sfera di influenza.

Se la Russia di Putin è sotto minaccia, noi siamo ormai supini al giogo statunitense di Unione Europea e NATO, con la complicità della borghesia europea e una classe politica intaccabile quanto inetta, abbiamo un problema molto più grande e non lo si risolve facendo l’occhiolino a Putin, ma formulando una politica che non si faccia trasportare dal vento dell’emotività o della morale, orientata ai nostri bisogni, primo tra tutti la descalation e la pace tra i popoli. Il nostro obbiettivo è una Italia neutrale autodeterminata, che non è subordinata ad uno o l’altro volere potenzialmente imperialista, ma tiene uguali rapporti sullo stesso piano. Una Italia che conduce il tavolo delle trattative diplomatiche, un ruolo che coincide perfettamente con la nostra tradizione.

Con tutti i presupposti pacifici possibili è evidente che davanti ad un tentativo del genere, il potere costituito riverserà tutta il suo potenziale violento per detonare il dissenso e il furor di popolo. Non abbiamo idea del nemico che abbiamo in casa, farsi intrigare da questo o quello subendo il fascino esterofilo certo non aiuta, è la nostra dignità di popolo che dobbiamo recupere. Il richiamo all’analisi e a non cedere alla polarizzazione è d’obbligo, ma è anche un’enorme prova di forza alla quale il popolo italiano si presenta con un grosso deficit da colmare ed un vuoto da riempire. Questa tendenza alla polarizzazione becera, che indirettamente soffia sul fuoco dell’escalation, è altresì stimolata dai cosiddetti social appartenenti agli Stati Uniti, dove l’opera di comunicazione politica rimane limitata ad un consumo di dati e lascia troppo spesso spazio al retaggio culturale imposto dal capitale, dove rischiano di trovare linfa vitale desideri di riscatto di una esistenza tradita che trova sfogo in modo reazionario. Appare evidente che i social sono le vere armi di distruzione delle masse, quelle che dovremmo temere, che oltre a soddisfare l’obbiettivo della divisione in individui sono una potentissima macchina di profitto alimentata dai cittadini e che da luogo ad un binomio micidiale. Di questi meccanismi se ne serve il capitale e non fa differenza la bandiera sotto la quale opera.

Categorie
Finanza

IL PAROSSISMO DEL MODO DI PRODUZIONE CAPITALISTICO

Stamane ho pubblicato sulla pagina telegram pianocontromercato un estratto di un articolo del People’s Daily sull’economista americano Stephen Roach, profondo conoscitore della Cina (qui di seguito). Nelle ultime settimane sto notando che gli iscritti alla pagina fanno commenti molto interessanti. Oggi voglio pubblicare nuovamente il commento della Signora Alex -X che gentilmente mi ha autorizzato. Guido Salerno Aletta, avendola già letta precedentemente sul blog, ritiene la signora una persona acuta. Anche con questo commento si conferma ed è per questo che lo voglio pubblicare a margine di Roach. Buona lettura.

DA PEOPLE’S DAILY DI OGGI: “L’ex presidente di Morgan Stanley Asia ha anche avvertito che le relazioni USA-Cina sono andate di male in peggio, il che avrà serie conseguenze per la stabilità mondiale e la crescita globale se il conflitto dovesse continuare.L’attuale approccio alla risoluzione dei conflitti, che può essere esaminato al meglio attraverso il cosiddetto accordo commerciale di Fase Uno raggiunto tra Stati Uniti e Cina nel gennaio del 2020, è un approccio fallito. .Guarda i vantaggi di opportunità di crescita ampliate.Alcuni politici ed esperti statunitensi ritengono che tagliare i legami con la Cina sarebbe vantaggioso per gli Stati Uniti. Alla domanda su queste affermazioni, Roach ha affermato che una mossa verso il disaccoppiamento tra Stati Uniti e Cina è “una ricetta per il disastro per gli Stati Uniti e la Cina”. Negli ultimi 40 anni, gli Stati Uniti e la Cina hanno costruito “una relazione profonda e forte”, ma in questo momento sono sorte pressioni politiche che hanno avuto un grave impatto sulla relazione, ha affermato Roach. Ha spiegato che l’alto livello delle tariffe imposte dagli Stati Uniti, con tariffe reciproche imposte dalla Cina sui prodotti statunitensi, è negativo per entrambi i paesi. “Dobbiamo riconoscere che l’attuale quadro di escalation tariffaria e sanzioni su tecnologia e altre società è controproducente”, ha affermato Roach.
“Sia gli Stati Uniti che la Cina sono fortemente integrati con il resto del mondo”, ha affermato. “Non puoi affrontare questi squilibri paese per paese”, ha detto Roach, che è un economista di formazione. “Se vuoi ripristinare un maggiore equilibrio, noi in America dobbiamo risparmiare di più e tu in Cina devi risparmiare di meno e questo sarà un passo molto importante per risolvere gli squilibri commerciali”. Tuttavia, ha sottolineato che “l’idea di migliorare le nostre relazioni restringendo uno squilibrio commerciale bilaterale non è solo controproducente, ma perde la reale opportunità che dobbiamo cogliere”.Il modo migliore per garantire maggiori opportunità di crescita tra Stati Uniti e Cina, ha raccomandato, è di “tornare a negoziare un nuovo trattato bilaterale di investimento, qualcosa su cui eravamo molto vicini al raggiungimento di un accordo prima che Donald Trump fosse eletto presidente [nel novembre 2016] ]”.”Dobbiamo guardare alla crescita piuttosto che tentare di correggere uno squilibrio commerciale multilaterale concentrandoci in modo errato su deficit o eccedenze commerciali bilaterali”, ha aggiunto Roach. “Abbiamo sbagliato approccio. E abbiamo bisogno di un nuovo approccio”.Spostati dalla sfiducia verso una relazione più fiduciosaLa prima e altamente consequenziale raccomandazione di Roach è di trovare aree di reciproco interesse in cui le due parti possano iniziare a spostarsi da un clima di sfiducia verso una relazione più fiduciosa tra i due paesi. Ha evidenziato tre aree in particolare che offrono opportunità per ricostruire la fiducia: il cambiamento climatico, la politica sanitaria globale e la sicurezza informatica.L’anno scorso, i due paesi hanno rilasciato la loro Cina-USA Dichiarazione congiunta di Glasgow sul miglioramento dell’azione per il clima negli anni 2020, che mirava ad affrontare meglio le emissioni di gas serra e i cambiamenti climatici.La seconda area su cui Roach ha proposto di concentrarsi sulle due parti è la salute globale. “Continua a esserci una grande animosità tra Stati Uniti e Cina sulle questioni relative alle fonti del COVID-19″. Ha aggiunto che le due parti non sono riuscite ad andare oltre e ad abbracciare gli sforzi collaborativi nelle pratiche globali di prevenzione della salute e delle malattie.“Per definizione, questa pandemia non è un problema cinese. Non è un problema degli Stati Uniti. Non è un problema per nessun paese..In un mondo così altamente interconnesso, e dato l’altissimo livello di trasmissibilità delle più recenti varianti di COVID-19, l’economista ha fortemente esortato le nazioni a riunirsi e condividere le migliori pratiche in termini di salute pubblica e sviluppo scientifico.”

Commento della Signora Alex X: “E intanto le élite continuano i loro sporchi interessi.

Come dice il professor Malanga la spazzatura non va eliminata “postuma” va NON creata a monte e prendo ad esempio questo assunto, per dire che andrebbe metaforicamente applicato in TUTTI i settori citati nell’interessante post di Pasquale, che evidenzia i punti cardine del nuovo regime globalista:

– Consumismo ipertrofico che rovina l’ambiente, per poi fingere di salvarlo con strategie di marketing che ti fanno credere di scegliere nuovi stili di vita già scelti invece da chi detiene le fonti energetiche basilari, da propinare a scapito del popolo e a favore dei loro nuovo guadagni.

– Le pandemie scaturite da esperimenti voluti, l’innesco delle stesse e relative gestioni già pianificate sulla lunga distanza che creano popolazioni di eterni finti “in cura” e mai guariti.

– L’abuso della tecnologia per il controllo totale delle menti e delle vite nella ricerca parossistica del “consumatore” perfetto e del cittadino modello.

Su tutte queste cose si trovano d’accordo e al contempo si contrastano le grandi potenze: soldi e potere, laddove il soldo è completamene svuotato del suo valore “reale” di scambio economico e il potere è diventato un delirio assoluto di una “dittatura esistenziale” dove lo Stato agisce sui cittadini come un genitore abusante: “se non stai attento, come ti ho fatto, ti disfo”…