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PERCHE’ IL POS

di Andrea Brodi

 

La vicenda del POS superficialmente è servita ad innescare la solita gazzarra reazionaria del nemico interno. È di nuovo il turno degli artigiani, imprese familiari, generazionali di chi si indebita per l’acquisto dei mezzi di produzione e altre attività con un flusso di cassa in entrata nella media dei 60€. Caccia all’evasore. Nonostante gli evasori totali ammontino a 19 milioni di italiani, si è scelto di far ricadere tutte le colpe su un milione e mezzo di lavoratori artigiani autonomi, già colpiti da quasi 3 anni di politiche restrittive che ne hanno liquidato la classe. Colpevoli dei 99 miliardi di evasione fiscale (tendenzialmente in diminuzione dal 2017) a fronte di una pressione fiscale mai così alta nel nostro paese che si attesta al 42%, nel mentre la demolizione progressiva del salario sociale, nonostante l’Italia sia stata in avanzo primario positivo (entrate pubbliche maggiori delle uscite) per 10 anni, grazie a manovre lacrime e sangue, fino al 2020.

Oggi le contraddizioni del pensiero dominante coesistono nell’orgia della dissonanza cognitiva, così dopo la caccia all’evasore, scrollando le news, vedremo incensare la ragazza basso salariata e priva di prospettiva futura, che grazie alle presunte libertà concesse in campo consumistico (le uniche concesse) rinunciando ai diritti sociali, se ne ha le capacità, integra la sua paga da fame vendendosi su Onlyfans, che fattura 4 miliardi di dollari (versati al fisco inglese dove ha la sede) estraendo valore dalla messa in vendita di feticci digitali, ottenuti dai corpi delle classi popolari. Un lavoro che chiunque può iniziare a fare aprendo una partita IVA con imposta fissa al 15% sotto i 65000€, proprio quella flat-tax che secondo il MEF è responsabile del coefficiente di propensione all’evasione, ovvero la tendenza a dichiarare meno per rientrare nei minimi; un dato che aumenterebbe la stima dell’evasione fiscale di circa 23 miliardi. Ma non v’è logica, la contraddizione è contingenza. È è il solito gioco utile a dividere le masse e a distogliere l’attenzione da chi, a prescindere dall’ipocrisia delle mazzette europee, è il primo responsabile del saccheggio del futuro. Le multinazionali o le grandi oligarchie: fanno bei affari in Italia grazie a precedenti attività di lobbing che hanno spianato la strada politicamente influenzando gli apparati di governo nazionali ed europei, favorendo l’estrazione di pluvalore assoluto dal lavoro grazie alla deflazione salariale ottenuta grazie alla legittimazione del precariato (che non ha portato quella maggiore flessibilità nell’offerta di lavoro che avrebbe aumentato l’occupazione in Italia, la tesi è stata smentita sin dal 2004 dai rapporti Ocse sull’occupazione e ha trovato una serie di conferme nell’elaborazione dei dati forniti dall’Isfol). Non paghi, multinazionali e i grandi gruppi, spostano la sede legale all’estero per pagare le tasse sui dividendi e altri profitti nei paradisi fiscali. È proprio l’elusione fiscale che negli ultimi 3 anni potrebbe aver determinato un saccheggio molto più oneroso. Non lo sappiamo. Gli ultimi dati si riferiscono al 2018, da quell’anno i profitti per le grandi aziende hi-tech, digitali ecc sono letteralmente esplosi dopo la pandemia. L’elusione fiscale è una pratica possibile solo per chi detiene abbastanza capitale per poterne finanziare la fattibilità; né un operaio, né un artigiano hanno alcuna possibilità di decidere di eludere il fisco spostando le proprie ricchezze in un paradiso fiscale. L’elusione è una pratica di classe che consiste nella sottrazione assoluta di danaro a scopo di accumulazione; non solo direttamente dalle casse dello stato per mezzo delle imposte, ma anche dalla economia reale sommersa. Questo saccheggio e le politiche ultraliberiste, annientano il salario sociale di classe, l’insieme di servizi pubblici (sanità, trasporti, cultura, scuola) alla persona e alla collettività che, a carico dello stato, integrano il salario aumentandone il potere di acquisto.

Ma allora perché tanta bagarre sul POS? È politica. Il governo Meloni, cosciente del fatto che una larga fetta di classe media in fase di proletarizzazione si sta radicalizzando in posizioni sempre più a sinistra, decide bene di dare in pasto una carota elettorale dopo anni di bastonate, ma sono briciole e propaganda, per altro non riuscita. Ed è pericoloso. Dall’altra parte c’è l’UE dei lobbisti, ossessionata dalla lotta al contante come unica causa dell’evasione fiscale; ma che medico è quello che per guarire una infezione a un dito decide di tagliare tutto il braccio? Con l’attuale governo neoliberista totalitario, privare i cittadini del danaro contate significa vincolare ad un istituto bancario privato la capacità materiale di fare acquisti. Per 5 milioni di poveri assoluti che vivono di lavori saltuari e in nero, significa arretramento verso gli inferi della dignità già calpestata e di fatto l’inaugurazione di un feudalesimo digitale. Non solo questo. In UE, a differenza della nostra classe dirigente, hanno ben chiaro a quale mulino tirare l’acqua e l’idea di società di classe che stanno andando a modellare.

Prendo spunto dalle parole di Guido Salerno Aletta in uno dei suoi ultimi interventi. Le banche basano sempre meno la propria attività redditizia sul credito; dunque, la principale attività che svolgono è la gestione della liquidità. Per la banca la gestione del contante (lo spostamento di danaro fisico da una filiale all’altra) è un costo dato dalla presenza di un cassiere che mette la sua responsabilità nei movimenti di cassa, un lavoro che le banche non vogliono più fare perché poco redditizio. Al contrario, su ogni transazione digitale, ma soprattutto le piccole transazioni che sono ovviamente sono tantissime, c’è una vera e propria estrazione di valore da parte di chi gestisce le carte di credito e tutta la movimentazione di danaro. In assenza di una attività creditizia, il danaro dunque non frutta più alle banche perché viene prestato, ma per la transazione digitale che opera su una struttura che ha dei costi di gestione centralizzati rispetto ad un cassiere fisico che opera in una filiale fisica. Quando inviamo un pagamento digitale, anche per esempio quando versiamo i tributi allo stato alla pubblica amministrazione, la transazione ha un costo che è a carico del cittadino; prima dell’avvento dei pagamenti digitalizzati i versamenti fatti allo stato non erano soggetti al pagamento di una fee, ovvero una quota che il fornitore di un servizio richiede al cliente per il suo utilizzo. Già da anni abbiamo assimilato l’idea che il ritiro del proprio danaro da uno sportello ATM deve sottostare al pagamento di una quota se lo sportello è in un circuito estraneo da quello dove il nostro conto risiede, 1€ per le spese di transazione se si ritira 100€, equivale all’1% sul danaro nostro che abbiamo ritirato. Questo è il modo attraverso cui le banche fanno profitto e ciò vale anche per l’industria digitale. Vale per i social, che da oasi libera e gratuita si stanno trasformando in fornitori di servizi che generano giganteschi profitti sulle transazioni. Pensiamo per esempio a PayPal, che basa sulla transazione il principale cuore dei suoi profitti. Tutto il sistema socioeconomico dell’industria digitale ha come principale intento quello di massimizzare i profitti rispetto il vecchio paradigma, si capisce bene che i profitti sono mostruosi considerando gli investimenti messi a confronto con una economia basata su investimenti squisitamente reali. La circolazione del danaro prelevando una tassa sulla transazione è il principale metodo attraverso cui si fanno i soldi ed è proprio questo il motivo per il quale la commissione europea sta spingendo sulla digitalizzazione assoluta del danaro, perché offre uno sbocco a tutte le multinazionali dell’industria digitale per poter generare profitti.

Da qui cosa che consegue? Dal punto di vista politico è naturale che questo sistema può creare le basi per un nuovo feudalesimo e un corporativismo in chiave digitale che si desta nei periodi di crisi sistemica per fini non più di conservazione nazionale ma del modello di sistema di sfruttamento (nel corporativismo fascista, l’individuo esprimeva e realizza tutto sé stesso nella comunità statale; l’unità indivisibile della personalità umana conduceva necessariamente a dare una qualifica morale e politica a ogni determinazione economica). Infarcendo la polpetta avvelenata con ideologie da quattro soldi, chiunque non seguirà i precetti consumistici per il bene del sistema, verrà ricattato con lo spegnimento della sua identità economica digitale. Questa tendenza invero è stata già intravista in periodi più recenti durante la pandemia e in chiave scientista.

A stretto giro di posta, con lo sbocco aperto sulle transazioni, il capitale avrà uno strumento con il quale potrà massimizzare ancora di più i profitti, diminuendo le perdite. Di conseguenza, sarà naturale che la digitalizzazione porterà al controllo di chi la subisce. Un rapporto economico, soldi in cambio di merce, crea un rapporto sociale tra i soggetti che effettuano la transazione, digitalizzare questo aspetto significa quantizzare il rapporto sociale che se ne determina di conseguenza, nell’aspetto pratico significa associare un valore discreto ad ogni caratteristica sviscerabile dalla merce che viene acquistata. Dal punto di vista economico ciò produce una ulteriore merce che l’utente di fatto regala, ovvero le decine di caratteristiche intrinseche alla merce in oggetto, dati che, se iscritte in un database popolato nel tempo, riescono a tracciare un profilo che descrive gli usi e le consuetudini di ogni aspetto della vita dell’utente. Questa, che in gergo viene chiamata profilazione, è la principale fonte di profitto delle cosiddette società che si occupano della raccolta dati e permetterà a chi ne entra in possesso di pianificare in anticipo i bisogni di ogni utente. Si potrebbe pensare che la profilazione dell’utente possa dare vita ad un database che se pilotato dal giusto algoritmo possa addirittura dare vita ad una intelligenza artificiale senziente utile per chi lo usa. Purtroppo, parafrasando Marx, tutto questo non farà altro che generare ulteriore alienazione, che è quel processo che estranea un essere umano da ciò che fa fino al punto di non riconoscersi in sé stesso, in questo caso riconoscersi nella sua natura umana, perché non sarà l’algoritmo a diventare umano, ma saremo noi che inizieremo a ragionare come un algoritmo. Anche perché l’attuale sviluppo digitale è basato su un calcolo binario, se pur eseguito a velocità superiori a quelle umane, l’unico modo per far diventare gli algoritmi di intelligenza artificiale più intelligenti degli esseri umani è rendendo più stupidi questi ultimi, favorendo in loro una coscienza binaria, come in effetti sta già accadendo da un po’.

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UN GESTORE PATRIMONIALE: IN ATTO PROCESSO DI CONCENTRAZIONE

Telefono lunedì scorso ad un caro amico. Non ci sentiamo da un pò, lui problemi familiari e stress da lavoro, io preso dalle mie cose. Ci conosciamo dai tempi dell’Università, lui frequentava Economia e Commercio. Abbiamo condiviso nell”ultimo anno che sono stato a Bologna la stanza assieme, assieme abbiamo fatto lavori saltuari. Io poi andai via. Ci sentimmo dopo decenni, come se non fossero mai passati. Lui dopo la laurea andò a Milano, lavori in una società di consulenza primaria poi presso una struttura finanziaria di gestione patrimoniale. Per questo stette a lungo a Lussemburgo, girando l’Europa e incontrando moltissimi industriali. Lui mi ha sempre detto che gli industriali italiani hanno patrimoni personali, spesso all’estero, tra i più cospicui del mondo. Non li stima molto, sostiene che paghino bassi salari e hanno una mentalità medioevale: Cucinelli è un’eccezione, ma all’estero Cucinelli è la norma. Gli chiedo il profilo del risparmiatore italiano. Sostiene che è molto conservativo, fa bassa leva, prende pochi rischi, a differenza degli anglosassoni. Dice che c’è tanto risparmio, ma per lo più concentrato, anche se ci sono risparmi ereditati da decenni e una percentuale di rendita molto elevata in rapporto al Pil. Gli domando del settore manifatturiero. Lui risponde che c’è poco da fare, con questi prezzi energetici è difficile avere margini. Poi mi parla di Milano. Lui vede un processo di concentrazione, sia dal lato industriale, sia dal lato del capitale commerciale. Su quest’ultimo nota che a Milano chiudono bar, ristoranti, alberghi gestiti da piccoli imprenditori e aprono catene: magari il vecchio gestore, che prima aveva un guadagno netto di 4 mila euro, ora fa il dipendente a 1500, la differenza di margine se la prende la grande impresa che fa pure economia di scala. Stessa cosa nel settore manifatturiero. Nota che i piccoli, a seguito della pandemia, siano tartassati di gabelle, avvisi, pagamenti che li stanno stroncando. Sostiene che li vogliono eliminare, toglierli dalla piazza. Finisce qui la conversazione. Oggi leggo che si sta cercando di bloccare gli avvisi di pagamento, forse sta diventando una seria questione sociale e qualcuno a Roma cerca di porre rimedio. Parliamo di noi, della fu sinistra, di come siano ancorati ad un mondo che non c’è più. Lui, gestore patrimoniale, mi dice: chiamami domani, ti racconto altre cose. A presto.

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NEL DIFFERENZIALE INFLAZIONISTICO L’ITALIA ERODE QUOTE DI MERCATO NELL’EUROZONA

A gennaio feci un pezzo sul differenziale inflazionistico Cina- Usa-Europa, sostenendo che la bassa inflazione cinese, e prezzi alla produzione minori rispetto ai concorrenti, grazie all’ammasso durante la pandemia di materie prime allora con prezzo basso, avrebbe dato una chance forte al paese asiatico nel mercato mondiale. Poi è intervenuto il lockdown delle metropoli cinesi, finito in questi giorni, ma per prepararsi alla seconda parte dell’anno hanno varato misure fiscali per le Pmi dell’ordine di 400 miliardi. Ora però nessuno sta considerando l’inflazione nell’eurozona, in diversi paesi del Nord Europa è notevolmente più alta che in Italia. Ciò porterà, a meno che il paese leader la Germania voglia innescare una guerra del debito, il sistema produttivo italiano, dopo decenni, ad erodere quote di mercato nell’eurozona. Ma non solo: anche negli Usa, dove l’inflazione è pari all’8,9%, il sistema produttivo italiano si sta avvantaggiando. Certo, rispetto al resto del mondo la situazione si complica, ma la gran parte delle esportazioni italiane sono indirizzate nel blocco dell’eurozona e nel blocco nordamericano. Chiaro segno di questo la rilevazione ieri dell’Istat che ha portato il Pil del primo trimestre allo 0.1%, dunque la recessione si allontana nonostante la guerra. La ferocia con cui la classe dominante si arrocca nel blocco salariale italiano serve loro, come competitività di prezzo, a conquistare i mercati di questi due blocchi. I segni che si intravedono nel Nord Europa sono di crescita salariale, per cui, pensa il padronato, il differenziale inflazionistico italiano con l’eurozona si amplierà. Ciò porterà ad aumentare timidamente nei prossimi mesi il surplus delle partite correnti, o perlomeno a non riportarlo in territorio negativo. La stessa posizione finanziaria netta estera verrebbe difesa, ecco lo scudo di Visco. Il tasso di profitto delle imprese industriali si posizionerebbe a livelli medio-alti, inferiore agli scorsi anni ma pur sempre positivo. E’ grazie alla classe operaia che succederà questo, per la quale si pensa nuovamente a bonus e sostegni minimi fiscali governativi, per difendere la pace sociale. Ma la ciccia, la gran ciccia, se la prenderanno, attraverso il differenziale inflazionistico, gli industriali.  Così da 42 anni.

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NELLA FEROCIA DI CLASSE L’ITALIA E’ UNICA IN OCCIDENTE

Ieri, dopo aver ascoltato l’intervista che ho rilasciato a Lantidiplomatico, mi ha telefonato dall’Olanda un mio caro amico crotonese (siamo cresciuti assieme). Lui lavora in una fabbrica per conto di Bosch. Ricordavamo quando sedicenni siamo andati a lavorare in un ristorante, in cucina. Lui mi ricordava che in un mese prese 1 milione e sette e forse un milione e nove. A Crotone. Gli chiedo com’è il rapporto di lavoro in Olanda, lui mi dice che si intravvedono le prime crepe, soprattutto per il caro vita – alloggi (dove c’è stata una forte speculazione) e spese alimentari. Gli chiedo come viene vista da lui, che lavora in Olanda, l’Italia. Mi dice che nei rapporti di lavoro gli ricorda un pò il Terzo Mondo, prima al sud ma ora in ogni parte. Mi racconta di un suo amico salito su dopo aver lavorato in Sicilia in un ristorante, regolare, ma poi, al pagamento, dimezzato rispetto alla busta paga. Mi dice che tanti stanno emigrando, tanti ne incontra in Olanda, da noi rimangono per certi lavori i migranti che vengono presi in giro dagli imprenditori. Mi dice che tra poco l’Italia si svuoterà. La guerra di classe c’è in tutto l’Occidente, ma da noi è spietata, al limite del concetto di vita da vivere. Un’amica romana ieri mi ha mandato su whattupp un articolo da Dagospia (in realtà Repubblica) dove si sosteneva che le disuguaglianze da noi sono ai massimi livelli. Ho studiato il fascismo, soprattutto gli anni dal 1933 in poi (IRI). Negli anni venti il capitale era spietato come adesso, ma negli anni trenta timidamente l’economia era verso un nuovo assetto, bloccato dall’avventura bellica, di cui si riprese il modello nel dopoguerra. Ma un Bonomi non me lo sono mai ricordato, una Confindustria così feroce supera gli Anni Venti. Proprio come allora c’era una classe politica prona ad essa, essa stessa feroce. Mussolini solo nel 1933 si accorse che aveva a che fare con quelli che lui definì “coglioni”. E come allora, ora non ci pensano a fare investimenti per aumentare la produttività e fare il salto tecnologico, tutto si basa sullo schiavismo salariale, tranne alcune figure medio-alte. Molti hanno visto il grafico secondo cui in 30 anni i salari italiani, unicum in Ue, sono addirittura diminuiti, per non parlare dei salari reali. Elon Musk qualche giorno fa ha scritto che se continua così l’andamento demografico nostro, l’Italia scompare. Milioni emigrano all’estero, chi resta non può mettere su famiglia. Classe dominante, l’hai fatto tu quest’orrore. La storia un giorno ti chiederà un bilancio e un conto.

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NIENTE DI NUOVO DAL FRONTE OCCIDENTALE

Perché tutti i politici, tutti i finanzieri, tutti gli industriali dicono all’unisono: non allontaniamoci dall’Occidente? Perché l’Occidente da 50 anni garantisce alla classe dominante privilegi impensabili fino alla metà degli anni settanta. Hanno scelto di tornare indietro nella storia, vedono altri paesi che invece, chi con fatica, chi con intelligenza, progrediscono verso assetti socio economici improntati alla modernità. La stessa Russia, solo dopo la guerra, ha deciso questa linea e si indirizza verso Est e verso quei 150 paesi che non hanno votato le sanzioni. L’Occidente si arrocca per non perdere la sua ferocia di classe, fatta di deflazione salariale, di mercantilismo e di armamenti, che ha portato una classe minoritaria a godere di grandi ricchezze e grandi privilegi. La traduzione “politica” di questa scelta è frutto dei rapporti di classe instaurati negli ultimi 50 anni, fanno in modo che la classe lavoratrice non rialzi la testa, non permette ad essa nessuna minima rivendicazione. Un ritorno ad assetti feudali dove vige anche la servitù, locale, indigena o straniera. Un suicidio collettivo che porta l’Occidente a declinare sempre più. Solo il progresso, organico, di tutte le classi, permette l’accumulazione capitalistica ,e non già la sola tecnologia, e ciò implica istruzione di massa a tutti i livelli, salario sociale e plusvalore relativo. Quando i politici dicono di non allontanarsi dall’Occidente, in questo caso la Meloni con Salvini, vogliono proprio dire questo: manteniamo assetti di dominio feudali, altrimenti gente come noi non ha senso ed è finita. Tutta la classe dominante si aggrappa a questo contesto come nella corte di Versailles. La classe lavoratrice, nella storia, visto questi assetti, deve conoscere la fame per organizzarsi, altrimenti, come negli ultimi decenni, è letargia. Fame che coinvolge ormai, tantissima gente, come ho riportano ieri nel racconto del Dottor Armenante. Il livello di povertà estrema, di disperazione è massimo proprio nel centro nevralgico del sistema occidentale, gli Usa, dove vi è una sottile guerra civile, fatta di sparatorie, eroina, alcol, emarginazione, senza fissa dimora. Questo modello lo si vuole portare anche da noi, ma gli italiani sono fan della Ferragni e magari vengono dall’emarginazione dell’estrema periferia. Niente di nuovo dal fronte occidentale.

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QUEL CHE DIO MI DA’

In questi ultimi due anni all’Inail ho fatto amicizia con un medico, volontaria cattolica in varie associazioni. Un anno fa le regalai il mio libro, vuole anche la seconda edizione .Ieri mi ha messo in contatto con un volontario di Cava. Oggi l’ho intervistato. Ma stamane, quasi alla pausa, lei mi ha regalato un libro del volontario, che si chiama Antonio Armenante dal titolo “Anche Dio lavora – e noi gli mettiamo i contributi”, editore areablu- Cava de Tirreni. Mi ha fatto la dedica scrivendo: “A Pasquale, cercatore di senso, di verità e giustizia”. Francamente non capii la dedica. Oggi ho intervistato Armenante, ne è uscito un pezzo. Casualmente mi sono messo a leggere il libro, pensavo fosse di pensieri cristiani, invece è uno straordinario spaccato di vita di strada con i senza fissa dimora, con immigrati, con gente disperata tra le più varie. Sono dialoghi tra lui e questa gente emarginata da tutti, che incontrano un cristiano che li aiuta, assieme ad altri. Nel blog ho intervistato una volontaria laica che sta a Milano, mi raccontava della povertà della piccola borghesia. Questo invece è come se fosse un disco di Fabrizio De Andre’, mi viene in mente Smisurata Preghiera, il suo testamento. Non so cosa abbia trovato in me questa amica, so solo che mi ha fatto un dono stupendo che mi arricchisce molto. Procuratevelo. La ringrazio. Leggendolo mi è venuto in mente Pasolini e la sua perduta gente, che lui amava molto. Buona lettura.

Quello che Dio mi da’

 

Ho incontrato Tan varie volte alla mensa dei poveri e per strada. Non avevo avuto però mai l’occasione di intavolare un dialogo. Eppure sentivo istintivamente che quell’uomo minuto, sulla sessantina, con pochi capelli bianchi, il volto magrissimo, ma attraversato da un’espressione di serenità e dignità incredibile, portava con sé una grande lezione di vita.

Se ne stava a mangiare al solito posto, al solito tavolo, col suo solito silenzio.  Ringraziava a modo suo del cibo, portandosi la mano destra sul cuore. Poi, appena finito di mangiare, ripulito e consegnato il vassoio per il lavaggio, issava lo zaino blu sulle spalle (suo cuscino e suo armadio, come mi disse una volta) e zitto zitto, con discrezione, quasi a non voler dare fastidio, andava via.

Una domenica mattina d’inverno, molto fredda, alle cinque ero in strada, nei posti dove sapevo che dormivano i senza fissa dimora. Dopo un giro in una casupola fatiscente e abbandonata, dove sapevo che dormivano dei rumeni, che però non trovai, mi avviai sul lungomare  a piedi  per recarmi prima sotto il ponte dove passa il fiume e poi alla stazione.

Vidi uscire Tan, avvolto  in una coperta, da sotto una barca capovolta, lì posta sopra due assi sul lastrico prima della sabbia. Lo chiamai. Si girò verso di me. Si tolse la coperta, l’arrotolò, la depose in una busta di plastica, prese lo zaino, mi venne incontro. Lo salutai. Rimase per un attimo pensieroso. Poi, portandosi la mano al cuore, disse nel suo discreto italiano: “Oh! tu stai a mensa a darci una mano. Grazie a tutti voi!”

Gli chiesi di venire con me al bar. Regalandomi un sorriso enorme che rese il suo viso splendente, mi disse che era onorato. Si ristorò con un the caldo e un cornetto esclamando: ”Vita sembra rinascere! Ha fatto molto freddo stanotte”. Poi, mi fece capire che voleva andare.

“Tan, quando possiamo vederci? Vorrei parlare un po’ di più con te”. Mi guardò fisso e rispose: ”Sì, Antonio, qualche altro giorno, dopo mensa”.

I giorni successivi però non venne a mensa. La cosa mi creò pensiero perché non mancava mai. Sperai che non gli fosse successo niente, anche perché queste “pietre di scarto” spesso all’improvviso spariscono.

Era ormai venerdì e di Tan ancora niente. Neanche alla mensa era venuto. L’indomani, mi trovavo nei pressi del rione dove si trova la mensa. Erano le sette del mattino. La notte aveva quasi diluviato. Ero appena sceso dalla macchina quando vidi spuntare Tan. Era bagnato fradicio. Camminava con quel suo zaino, quasi a fatica. Gli corsi incontro. Era talmente inzuppato d’acqua dalla testa ai piedi che i panni gli si erano incollati addosso ed i pochi capelli erano diventati tutt’uno. Gli levai lo zaino dalle spalle. Al che si mise la mano sul cuore, mi ringraziò per il gesto e con affanno mi disse: ”Ora devo andare dai missionari per chiedere se hanno altro pantalone, scarpe, maglia e se posso lavarmi e asciugare”.

Gli offrii qualcosa di caldo al bar. Non volle entrare perché aveva paura di bagnare per terra. Gli portai un cappuccino caldo e una brioche. Li consumò velocemente. Lo vidi sorridere. Non mancò di ringraziarmi portandosi la mano sul cuore. Il centro dei missionari distava appena una centinaia di metri da quel bar, per cui volle continuare ad andare a piedi. Lo accompagnai.

Dopo un’ora, sorridente, rivestito da capo a piedi, uscì.

Salì in macchina e ci avviammo. Ci fermammo nel Parco Pinocchio, che lui raggiungeva ogni pomeriggio quando il tempo lo permetteva. Il sole faceva luccicare le foglie ancora bagnate. Dalla loro patina  lucente si levavano “coriandoli “di riflessi che sembravano rincorrersi e giocare come i bambini che, intanto, erano cominciati ad arrivare. In macchina non avevamo quasi parlato. Gli avevo rivolto solo qualche frase di circostanza: ”Come ti senti? Ma non potevi ripararti da qualche parte? Vuoi prendere qualche altra cosa?” Egli puntualmente  rispondeva ”tutto bene”, per poi tacere.

Ci sedemmo su una panchina. Dopo qualche minuto di silenzio, gli chiesi: ”Tan, ma come hai fatto a bagnarti così?” Rispose abbozzando un sorriso: ”Venivo a piedi, perché sotto barca ora freddo. Ogni giorno, alle quattro di mattina, vado a Salerno. Stamattina è cominciato a piovere  tanto, tanto. Io ho continuato a camminare. Su strada difficile trovare riparo.”

Rimasi alquanto interdetto. Egli seguitò: ”Antonio, mia storia longa, longa e difficile”.

Lo interruppi: ”Ma dove dormi?”

“Estate all’aperto in terra sotto un muro non lontano dal Cimitero. Ora autunno ancora lì, sotto capanna di lamiera più lontana. Lì io sto tranquillo. In stazioni o parchi o su mare, non tranquillo. Vengono mbriachi che pure vivere per strada. A volte picchiano per vedere se hai soldi. Quando sono da soli sono bravi. Anche loro tanti problemi. In gruppo e bevuto però fanno paura. Poi altre volte viene polizia: prendono tutti, così sono ordini. Io ho girato e trovato questo luogo tranquillo. Nessuno sa. Ogni tanto, lontano su strada passa macchina e poi morti vogliono stare anche loro tranquilli, come me, aggiunse ridendo. Così ogni mattino, alla stessa ora vado a Salerno. Cammino, non mi stanco. Mi piace silenzio.”

Con il volto che s’illuminava, aggiunse: ”Sto con Dio. Osservo luce che esce, uccelli volare e loro mi accompagnano. Molta gioia. Dopo vengo a mensa. Vengo in questo parco bello a godere se è bello tempo, se no vado sotto porticati. Poi a quattro e mezza mi avvio di nuovo a piedi. Due ore e mezzo di cammino e sono sotto muro, casa mia. Mi basta. Quando mi sento stanco, dormo a Salerno. Cerco per notte luogo solitario. Se invece ho soldi, io prendo pullman. Io non cerco. Mi basta pranzo di mensa, insieme panino per la sera. Poi ho tutto, perché ho vita e Dio.”

S’interruppe, mentre io rimanevo sempre più stupefatto. Ruppi il suo silenzio e gli chiesi: ”Tan, ma da quando sei in Italia? Di dove sei? Perché sei qui?” Mi guardò e con un sorriso dolce e amaro, con la sua sottile voce mi rispose: ”Mia storia longa, longa  e dura, Antonio. Io vivo in Italia da quindici anni. Io andato via non per lavoro. Lì tiravo avanti, come dite voi. Prima buon paese gente non cattiva. Poi, guerra civile e tutti più cattivi.”

”Perché sei andato via? Hai famiglia lì?”

Con voce esile mi rispose: ”Guerra civile tremenda. Gente si uccideva per niente. Tanti bambini morivano. Io non potevo sopportare. Non sapevo tenere bocca chiusa. Io non sopporto ingiustizia e violenza. Uccidere è sempre ingiustizia. Uccidere così è ancora più brutto, brutto. Io non potevo sopportare. Io vedevo e parlavo, parlavo e denunciavo. No! Io non facevo ciò per politica. Io sempre apolitico. In me ribellione per umanità. Poi io dire con bocca non cucita che Dio, Dio di tutti, non vuole guerre, uccisioni, vuole bene per tutti e gridavo che offendere Dio di vita, e che questo contro Legge. Mia bocca non poteva stare cucita.”

Si fermò a riprendere fiato, ma subito dopo seguitò: ”Cominciai ad avere minacce. In mio paese i capi di gruppi in lotta pensavano io stare con parte nemica,  per cui pericolo da tutte e due le parti per me e famiglia. Io stavo per verità e contro violenza. E poi mia religione, Islam dice non uccidere mai. Dio non è di una religione. Religione è una via, ma tu anche se aderire devi sapere che esistono altre vie e che ci deve incontrare. Ognuno deve uscire da sua tenda! Dio è uno e padre di tutti. Mia vita e vita di mia famiglia molto in pericolo. Io impotente, e mio cuore non poteva ancora sopportare. Così, per non mettere pericolo mia famiglia, ho tre figli, decisi andare via. Sono andato via, non per dimenticare ma perché dolore non mi permetteva di stare. Non era più mia nazione. A miei genitori lasciai bambini. Mia moglie era morta l’anno prima e mia madre era mamma anche per loro. Miei genitori avevano piccola attività, quindi mangiare era possibile. Ero sereno perché stavano bene, non mancava niente. Cominciai a girare, e girare perché dovevo essere “fuori, fuori “da dolore.

Dolore ti accompagna sempre, ma essere fuori ti fa ritrovare vita. Andai in Francia, dove  lavorato per qualche anno ora qui, ora là. Ma mia testa diceva sempre di cambiare, non resistere sempre stesso posto. Dovevo essere “fuori, fuori”. Così io sono andato Germania, Torino, Milano, Firenze e altre parti. Sono da 8 mesi in questa provincia”.

”Ma come ti mantenevi?”

“Antonio, quando c’erano forze io cercare il lavoro. Lavorato duro. Quando non avevo lavoro, strada. Mi arrangiavo. Ma io non posso stare ad una sola parte. Quando testa mi comanda, allora io girare. Poi ad un certo punto non avere più forza per lavoro e poi solo sfruttamento e ho preferito stare per strada e non farmi sfruttare. Così strada è diventata mia casa senza mura e tetto e il cielo mio compagno di viaggio. Ma sono contento, anche se dolore non si cancella e ti chiedi sempre perché.”

”Spiegami, Tan, per te la strada è libertà?”.

Si arrotolò una cartina con del tabacco, prima di rispondere.

”Non è libertà. Ma è tua nuova casa, che ti fa vivere. Per quelli come me, la vita ha questa casa. Ti permette respirare, mangiare, dormire, vedere gente, conoscere quelli bravi e quelli no bravi. La strada ti dà anche gioia pure se insieme dolore.”

“Tan, posso chiederti per te chi è Dio? E tu, preghi?

”Antonio, io musulmano e ho grande gioia di Islam. Dio è creatore e misericordia. La sera prego con cuore e con testa. Cuore, perché fiducia in Dio. Farà di me ciò che vuole, e io ringrazio. Testa, per aiuto ad affrontare situazioni, per me, per gente che incontro, per famiglia lontana, e anche per peccatori. Con cuore, prego essere pieno di fiducia, perché ognuno deve essere pieno.”

“Tan – incalzai – pensi che ci sia un’altra vita? Come te la immagini? E cosa pensi  di quelli che fanno del male, del loro destino?”

Si accarezzò il viso quasi a riflettere. Poi ribatté: ”lo spero. Penso vita tranquilla, felice, senza problemi di soldi, per vivere. Vita semplice e insieme. Quelli che hanno fatto male dovranno pagare. Bilancia di Dio misurerà cose giuste.”

“Se in questo momento dovessi mandare un messaggio al mondo cosa diresti?“

”Pace, pace e non uccidete e sfruttate. Pulisci tua casa dentro e sarai pulito. Anche religioni devono essere pulite. Se ognuno pulisce sua casa, pulirà anche fuori. Se si fa questo, la vita ha più luce.”

Sentivo che gli faceva bene parlare, che il suo volto diventava più sereno.

”Gesù chi è per te?”

”Messaggero e profeta”, mi rispose deciso.

“Che ti aspetti dalla vita che ancora devi vivere? Hai paura della morte?”

“Sogno vivere tranquillo, non dare fastidio a nessuno, rispettare gente. Insomma, quello che non voglio che gli altri facciano a me, io non devo fare ad altri.” Tacque, poi aggiunse: “Sì! Ho paura della morte”.

“Come scomparsa?”

”Non come mia scomparsa. Voglio morire tranquillo, pulito dentro. Ma se non succede, mi fa paura. Io accetto tutto quello che Dio mi dà. Anch’io sto ricevendo. Ti pare niente vita?”

Ero sconvolto, emozionato. Mi sentii piccolo piccolo.

“Tan, stai ancora dormendo lì?”

“Sì! Ho due coperte nascoste. Sto io e Signore. Prego quando voglio, dormo quando voglio, cammino quando voglio, rispetto regole mia religione. Non do fastidio. Mi lavo a fontanella. Guardo piante come vivono e mi fanno compagnia; guardo luce che come miracolo illumina, vedo uccelli volare. Poi cerco di immaginare pensieri di gente che va e viene, vivo gioia a vedere i bambini uscire di scuola. Insomma, Antonio, sono dentro  vita.”

Mi venne naturale abbracciarlo. Insieme andammo alla mensa.

Lo incontro spesso. È una gioia reciproca incontrarci. Lui nel vedermi si porta la mano al cuore.

L’altra notte ho pensato a lui moltissimo. Diluviava. Io nel mio letto caldo, Tan e gli altri chissà dove. La mattina gli ho chiesto dove avesse passato la notte. Mi ha risposto sorridendo. “Antonio, io non andato a piedi, troppa acqua e poi lì all’aperto. Non andare in stazione, perché paura. Vedi, Dio aiuta, ci pensa. Un ragazzo senegalese, cattolico, mi ha visto. Io non conoscevo lui. Mi ha fatto posto sotto sua bancarella, che è a coperto sotto un porticato. Ho dormito tranquillo e asciutto. E poi a inizio novembre si aprirà dormitorio di Missionari Saveriani e avrò un letto. Capisci quante cose ho?“

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Finanza Italia

LA FEROCIA DI CLASSE DEI PADRONI DELL’OCCIDENTE

Mi ha colpito la notizia della colf del miliardario Vacchi, bolognese, sottoposta a umiliazioni, offese e anche bottigliate se non ballava su Tik Tok. Costui è seguito da milioni di fan, evidentemente il popolo italiano sogna di essere ricco come lui e lo imita. Da qui le frustrazioni di massa  che colpiscono gran parte della gente, spesso sfogati nelle mura domestiche dove a farne le spese sono le donne e i figli. Una società impazzita, scollegata. Eppure non era così negli anni settanta. C’è chi dice che in quel periodo i padroni avevano paura, mentre negli ultimi decenni ad aver paura sono i salariati. E’ un capitalismo feroce, senza pietà, i cui  pilastri hanno origine negli anni settanta, quando iniziò la guerra al salario in tutto l’Occidente, Usa, Germania, Inghilterra, Italia, Australia ecc . Il campo occidentale, si scelse, doveva basarsi su bassi salari e pervenire ad un assetto feudale dove i salariati diventavano servi dei ricchi e quasi schiavi. Si tornava, negli ultimi decenni, al dominio assoluto dei salariati, a cui si tolsero istruzione, salario diretto e salario globale di classe Questo assetto viene perseguito negli ultimi anni, anche grazie alla pandemia, dove si sperimenta un controllo poliziesco della popolazione. Un capitale, quello occidentale senza pietà, nel mentre in Cina puntano sul collegamento degli assetti economici e sociali, sull’istruzione di massa per arrivare ad una società progredita, loro che venivano dalla miseria di massa. Il punto è la scelta del campo occidentale, alla metà degli anni settanta, di guerra al salario per assetti feudali, un ritorno indietro di 5-600 anni. Non ha più da dire l’Occidente, per questo promuove guerre guerreggiate, guerra economica, guerra finanziaria, guerre sociali. Un toro ferito, impazzito, che è pericoloso. Manca la coscienza di classe di tutto ciò, se non in ambiti minoritari, nel mentre milioni di persone ammirano le gesta schiavizzanti di Vacchi.

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Italia

UN CONSULENTE DI IMPRESA: SALTA IL SISTEMA INDUSTRIALE EUROPEO

Sempre più sto cercando di sentire la voce di operatori economici, da imprenditori a sviluppatori di aziende a consulenti aziendali. Oggi ho avuto modo di sentire un consulente aziendale che vive al nord, si occupa di assetti societari di tante imprese. E’ stato un colloquio molto cordiali, lui ha voluto sentire la mia alla luce dello scritto di stamane dal titolo Gli Usa, dopo il fronte sud, bloccano il fronte est della via della seta.

Parliamo di quel che sta succedendo, dello scenario ucraino. Lui afferma: già in questi mesi il prezzo del gas era a livelli stratosferici, l’intervento governativo per calmarlo è stato un palliativo oltretutto parziale, affatto risolutivo. Ora sarà durissima la situazione, specie se bannano la Russia dallo Swift.

Gli chiedo che effetti avrà sul sistema industriale, lui risponde che potrebbe saltare del tutto, così come quello europeo. Mi dice che per carattere non si preoccupa mai, ma questa volta è molto preoccupato, le conseguenze sono imprevedibili. Comunque vada, dice lui, l’Italia e l’Europa si indeboliranno molto, assai più che negli ultimi trent’anni.

Gli chiedo il sentore degli imprenditori, mi promette che mi farà sapere nei prossimi giorni, alla luce degli eventi degli ultimi due giorni. Per l’intanto mi fa sapere che fino ad ora, complice la propaganda massiccia, gli imprenditori sono stati con il governo ma nei prossimi due mesi, complice la tenaglia Greenpass e vicende ucraine e russe, il sentore potrebbe cambiare di colpo. Quando si vedono prezzi alle stelle, chiusure di aziende, allora l’atteggiamento potrebbe cambiare. Mi farà sapere nei prossimi giorni dai suoi clienti e ne darò conto successivamente. Ancora è presto.

Ha letto il mio articolo di stamane, lui ritiene che il fronte sud si potrebbe riaprire grazie agli americani (che controllano Gioia Tauro), facendo entrare le merci cinesi non come strumento di collaborazione, ma di controllo dei flussi commerciali. Il sud potrebbe avere un ruolo in tutto questo, visto che ormai il fronte est è chiuso.

Lo ringrazio della disponibilità e della cortesia e a risentirci con lui.

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Italia

GLI INVESTITORI ESTERI PUNTANO SULL’ITALIA

Ho avuto un colloquio con un imprenditore, un consulente aziendale che si occupa di sviluppo di aziende. Gli ho chiesto come vede la situazione negli ultimi mesi in Italia dal punto di vista imprenditoriale. Lui dichiara: ” ci sono alcuni settori economici molto dinamici, in primis l’alimentare che è da due anni che va molto forte, è un settore che traina sia a livello interno sia a livello estero. E poi il settore legato alla casa. Poi ci sono, nel mercato interno, altri settori che soffrono. Principalmente calzaturiero e abbigliamento, per via delle minori spese degli italiani, un pò per timore, un pò perché sono beni voluttuari, che possono essere rimandati. Nell’ultimo periodo c’è una forte vivacità da parte di operatori esteri che sono sbarcati in Italia e che hanno aperto molti store e piattaforme produttive”. Gli chiedo chi sono questi operatori, lui risponde: “principalmente tedeschi e polacchi. Nel nord stanno aprendo molte attività e sono molto dinamici. Anche i cinesi, ma qui c’è da dire che, sì, sono imprenditori cinesi, ma che sono riusciti ad italianizzare il brand, la qualità è migliorata e anche la gestione aziendale risente del criterio dell’italianità. Un campo dove sono molto attivi negli ultimi tempi i tedeschi sono i parchi logistici. Loro in questo settore sono presenti in tutto il mondo e ultimamente sono sbarcati in massa in Italia. Gli americani non ci sono, nel food funziona solo Mcdonald’s ,ma per il resto non sono riusciti a penetrare. Certo, l’Italia sta diventando molto attrattiva per gli operatori esteri e ciò contribuisce alla dinamicità degli affari nel Paese”. Infine gli domando quanto stanno incidendo i costi delle materie prime e dell’energia. Lui risponde: ” credo che sia necessario un intervento, i rincari stanno colpendo fortemente gli operatori economici. Non tanto i grandi, che possono trovare soluzioni, quanto gli artigiani e i piccoli imprenditori. Sono in contatto con diversi di loro che lo scorso anno hanno messo su progetti di costruzione di aziende e che ora si sono visti arrivare costi due tre volte superiori a quanto preventivato”.

L’importante testimonianza dell’imprenditore, che ringrazio, dà conto di un fenomeno che viene taciuto dai media, chissà perchè, vale a dire una forte attrattività del Paese agli investitori esteri. Lui stesso mi dice che dopo il nord sbarcheranno nel centro sud e questa è una novità. Lo ringrazio vivamente.

 

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Italia

GLI IMPRENDITORI ITALIANI, NONOSTANTE TUTTO, REGGONO

Due notizie oggi, una negativa, l’altra positiva. Iniziamo dalla prima: è vero, gennaio è sempre stato un mese difficile per il saldo commerciale italiano extra Ue, ma il dato uscito oggi dall’Istat è significativo. Vi è un deficit della bilancia commerciale pari a 4,2 miliardi di euro, il deficit energetico passa da 2 a 6 miliardi. E non era ancora scoppiata la guerra con i prezzi energetici alle stelle. Di questo passo forse ci mangiamo il surplus commerciale nel 2022, se le cose non dovessero migliorare. E’ dire però che le esportazioni a gennaio sono andate benissimo, +5,3% mese su mese e addirittura + 19% anno su anno, dopo aver superato nel 2021 il record del 2019. C’è una vivacità imprenditoriale che non viene fermata dal rincaro delle materia prime, dai costi energetici, dalle incertezze nazionali e mondiali. E’ come se fossero formiche che riescono a destreggiarsi nel mercato mondiale, anche grazie ad una classe lavoratrice preparata (gli stessi imprenditori dicono che sono tra i migliori al mondo). E’ un dato da tenere conto, nonostante le tempeste in arrivo. Significativo il +26% di esportazioni di prodotti italiani in Russia, quando già c’erano le prime tensioni. Se avessimo mantenuto in questi 30 anni l’altro caposaldo, il mercato interno, e le aziende pubbliche, capaci di dare energia e semilavorati a prezzi calmierati, l’imprenditoria italiana non la fermava nessuno. Certo ,sono contro Confindustria, perché penso che molti industriali non vi si riconoscano, è antimoderna, non al passo con i tempi. Purtuttavia c’è un fervore industriale che lascia sperare in futuro, se non altro perché difendere quel poco di capitale industriale rimasto è estremamente importante per il Paese e per la stessa classe lavoratrice. Gli operai fronteggiano i padroni, non le fabbriche, quelle le difendono. Questa vivacità è altresì rispecchiata nei dati dell’indice di fiducia delle imprese usciti oggi, c’è un fisiologico calo, ma non un crollo, le aziende reggono, nonostante tutto. Se avessimo una classe politica che riuscisse a destreggiarsi meglio nella diplomazia la situazione sarebbe migliore. Si tratta di pensare all’interesse nazionale, simil Mattei, e non fare i cagnolini degli altrui imperialismi. Ne beneficeremmo tutti.