Categorie
Italia

IL TRIONFO DELLA RENDITA

Ripropongo un mio scritto, pubblicato da La contraddizione,  del 2006 sul processo di privatizzazione delle municipalizzate, pensato circa 30 anni fa, messo in punto nel 2005 e ora attuato dal governo Draghi. Si vedrà che tutte le privatizzazioni sono a favore dell’aristocrazia finanziaria del paese e tendono all’attacco del salario sociale di classe. Siamo in guerra, come sapete, ma l’Italia è in una guerra economica da 50 anni, a partire da Piazza Fontana, volta a stroncare il movimento operaio. Ci sono riusciti e ora gli avvoltoi ne prendono i resti, come iene. Buona lettura.

 

IL TRIONFO DELLA RENDITA

la Cassa depositi e prestiti e la centralizzazione finanziaria

Pasquale Cicalese

Una massa crescente di capitali confluiva verso gli impieghi immobiliari

e soprattutto verso gli investimenti statali.

Al debito pubblico contratto direttamente dallo stato si aggiungeva

quello contratto per mezzo di enti parastatali: la Cassa depostiti e prestiti,

imprese di pubblica utilità, ecc., tutti rivolti a finanziare

i lavori pubblici dello stato e dei comuni. Lo stato, potenziando

questi organismi di credito e gli organi preposti alla raccolta del risparmio,

si avviava a divenire il più grande dei banchieri per cooperare direttamente

con l’alta banca nell’approvvigionamento di mezzi finanziari ai grandi industriali.

[Pietro Grifone, Il Capitale finanziario in Italia]

 

 

La lunga citazione di Grifone, che descriveva con queste parole la politica economica del Conte Volpi, in parallelo all’accordo di palazzo Vidoni e della Carta del lavoro del 1927, serve da sfondo ad una serie di decisioni da parte del ministero dell’economia circa il riassetto di istituzioni finanziarie quali la Cassa deposti e prestiti [Cdp] e le poste. Accanto ad esse occorrerà concentrare l’attenzione nuovamente sul federalismo fiscale e sul processo di privatizzazione delle pubbliche utilità, che nei prossimi anni avranno una forte accelerazione e il cui impatto sul salario globale di classe sarà devastante quanto e più del processo di dismissioni di imprese pubbliche dei primi anni novanta. Si vedrà come la politica economica di Tremonti prima e di Siniscalco poi, simile a quella del Conte Volpi, abbia la finalità di riappropriare lo stato della funzione di “mediatore tra il risparmio e i gruppi interessati a grossi finanziamenti industriali” [Grifone, ivi, Einaudi 1972, p.107], di attuare strategie di centralizzazione finanziaria e di consolidamento industriale nei servizi pubblici e nei monopoli naturali, con la loro successiva privatizzazione, tant’è che il Sole 24 ore definisce la Cdp come il “crocevia della politica economica del governo” [cfr. Cdp, la contesa sulla vigilanza 4.8.2004]. Con le partecipazioni acquisite, la Cdp dà la possibilità allo stato di vendere pacchetti azionari di strategiche imprese per ridurre il debito pubblico, non perdendo al contempo il controllo degli assetti azionari, visto che detiene il 70% del capitale sociale della Cdp. Sembrerebbe la solita partita di giro tipica della finanza creativa, se non fosse che il disegno strategico alla base della nuova missione della Cassa ha a che fare con il riassetto del capitale finanziario, con le dinamiche delle future “politiche industriali” dei monopoli naturali e, soprattutto, con l’estrazione di una massa di plusvalore da sottrarre al controllo degli enti locali, i quali risponderanno al relativo processo di dismissioni e della riduzione dei trasferimenti dello stato con l’abbatti­mento della già esigua “spesa sociale”.

Anzi, proprio la diminuzione dei trasferimenti dello stato agli enti locali e i conseguenti aumenti dei livelli di indebitamento costituiscono l’alibi con cui le amministrazioni locali decideranno nei prossimi anni di ridurre al di sotto del 50% la quota delle loro partecipazioni nelle municipalizzate, una modalità prevista dall’articolo 35 della Finanziaria 2003 o, ancora, aggregarsi e fondersi con altre realtà (inter)regionali. A dare questi “consigli” agli enti locali è lo stesso presidente della Cdp Salvatore Rebecchini, il quale dichiara che “la dismissione di asset strumentali all’erogazione dei servizi pubblici e l’assegnazione della gestione di tali servizi a soggetti privati costituiscono gli elementi chiave per la definizione di una strategia funzionale all’obiettivo di migliorare l’efficienza e ridimensionare l’indebitamento” [Enti locali a rischio finanziamenti, in il Sole 24 ore, 7.11.2004].

Le municipalizzate trasformate in spa sono 710 e per il 73% gli enti locali sono gli unici proprietari o sono azionisti di maggioranza (23,6%), mentre per 3,4% hanno una quota minoritaria. La finanziaria 2005 prevede sconti fiscali sulle aggregazioni e privatizzazioni di quest’universo variegato. Per le imprese quotate si tratterà di immettere nel mercato borsistico ulteriori quote azionarie, per la gioia dei rentier (non esclusi molti “Brambilla” che, memori della lezione dei Benetton, abbandoneranno i loro settori di riferimento per accodarsi al capitalismo delle bollette), in vista di un processo di fusioni e concentrazioni che costituirà, insieme allo scacchiere bancario, il leit motiv delle cronache finanziarie dell’anno in corso. Ad essere interessate a questa escalation di privatizzazioni sono circa milleseicento aziende municipalizzate dei servizi ambientali, energetici, idrici, ecc., per un valore totale che supera i 40 mrd €.

In ultimo, questo processo è un meccanismo teso all’abbattimento del salario globale di classe, soprattutto nelle zone più industrializzate del paese e che si affiancherà – in una sorte di solidarietà di classe, dal punto di vista borghese, of course – al processo regressivo degli assetti socio-economici del meridione pro­vocato dalla riforma federalista di centro-sinistra-destra. Il tutto al servizio delle grandi imprese e del capitale finanziario, che, in un’epoca di crescente sovrapproduzione, si rifugiano sempre più nella rendita, immobiliare e tariffaria. Lo strumento principale è la trasformazione in spa della Cassa depositi e prestiti, avvenuta con la legge 269 del 30 settembre 2003, lo stesso giorno della presentazione della “finanziaria” del 2004. Con questa legge si determina un notevole ampliamento degli scopi statutari dell’istituto, non più solo come la “banca” degli enti locali per i loro investimenti a tasso agevolato – la cosiddetta “gestione separata” basata sulla raccolta postale con un ammontare di mutui che superano i 50 mrd € – ma un mostro a tre teste che potrebbe essere in futuro il fulcro delle scelte strategiche a livello economico e finanziario dell’aristocrazia finanziaria, con la regia di Bankitalia, ritornata in auge, come avevamo preannunciato, e divenendo sempre più il vero dominus economico-finanziario del paese.

 

La Cassa depositi e prestiti ha tre finalità: 1) soddisfare le nuove esigenze finanziarie degli enti territoriali; 2) favorire i processi di riforma e successive concentrazione dei servizi pubblici locali, dai trasporti alla raccolta rifiuti, dall’acqua all’elettricità; 3) sostenere il finanziamento delle infrastrutture tramite la controllata al 100% di Infrastrutture spa, braccio operativo della Legge Obiettivo sulle grandi opere, nota soprattutto per il famigerato progetto del Ponte dello stretto. In ultimo, per statuto, può finanziare privati anche tramite la raccolta presso investitori istituzionali, un’ambigua formula oggetto per questo di strali da parte del capitale finanziario, visto che la sua potenza di fuoco può rappresentare una minaccia seria per le banche concorrenti, a meno che la controllino direttamente, com’è plausibile che avvenga.

Queste ultime caratteristiche fanno della nuova Cdp una vera e propria merchant bank in diretta concorrenza con il sistema bancario nazionale, tant’è che il governatore della banca d’Italia ha preteso che la Cdp rientrasse tra gli organismi finanziari soggetti alla vigilanza bancaria (sottraendolo dai poteri di indirizzo del Tesoro), una richiesta fortemente negata da Tremonti e che costituisce uno dei motivi del defestramento del commercialista di Sondrio. La posta in gioco è talmente grande che Bankitalia, come risulterà qui appresso, non qualifica la Cassa come una normale banca, ma solo come intermediario finanziario speciale non soggetto alla legge bancaria del 1993 che impedisce che una banca abbia più del 15% del capitale di un operatore non finanziario, ottenendo in cambio la vigilanza ed il controllo di stabilità. È una banca, ma è come se non la fosse, al pari di Banco Posta, indirettamente controllato dalla Cdp. Miracoli del capitale finanziario. A ciò si deve aggiungere la trasformazione della Cassa in una sorte di nuova Iri, con una contabilità separata da quello di stato, tale per cui non incide, pur essendo posseduta al 70% dal ministero dell’economia, nel conteggio dei deficit e del debito pubblico secondo i criteri Eurostat.

Infatti, una delle modalità creative dell’ex ministro Tremonti, di abbattere il rapporto deficit/pil 2004, è stata quella di conferire alla Cassa il 10% circa del pacchetto di azioni Eni ed Enel detenute in precedenza dal ministero dell’econo­mia, oltre che il conferimento alla Cdp del 35% di Poste spa, vero e proprio braccio operativo della centralizzazione finanziaria e dell’appoggio alla rendita, come risulterà più avanti. Il tutto attingendo ai conti della Cdp presso la tesoreria del ministero dell’economia, quantificati, dopo l’attribuzione delle suddette quote, nei restanti 20 mrd € e che costituiranno la massa critica delle future politiche industriali della Cdp nel settore dei monopoli naturali. Vi è però una differenza sostanziale fra Tremonti e Siniscalco circa le finalità operative della nuova Cdp, battezzata la “banca delle banche”.

Il primo aveva ideato un braccio finanziario al servizio dello stato, in concorrenza con il capitale finanziario, in vista di un’alleanza operativa con soggetti industriali del centro-nord ruotanti intorno alle pubbliche utilità in mano agli enti locali. Inoltre la Cdp, nel disegno tremontiano, doveva essere un soggetto finanziario forte, capace di accompagnare processi di consolidamento industriale nel mondo delle pmi, anche in vista del probabile restringimento del credito da parte delle banche in ottemperanza ai dettati di “Basilea 2” [cfr. nn.95 e 99] e della fine della vischiosità contabile provocata dall’adozione dei cosiddetti ias (criteri contabili stabiliti a livello internazionale) che faranno piazza pulita, a partire dal 2006, della fumosità dei bilanci delle aziende italiane. La Cdp aveva dunque, nelle intenzioni di Tremonti, la finalità di creare un vasto mercato finanziario alternativo per il mondo delle piccole e medie imprese e si affiancava alla strategia fiscale derivante dalla riforma delle aliquote e, soprattutto, dalla devoluzione. Tutto ciò al fine di creare un atterraggio morbido per quella schiera di industriali uscita sconfitta dall’elezione di Montezemolo a nuovo presidente della Confindustria, che suggellava il trionfo dell’aristocrazia finanziaria. È anche in questo senso che deve inquadrarsi l’uscita di scena del fiscalista di Sondrio, il quale ritorna sulle scene politiche non già nelle com­missioni di bilancio o economiche (su tutta, la discussione della riforma del risparmio), ma presso la Commissione affari costituzionali, dove si è decisa la riforma devolutrice, ampiamente contrastata dalla nuova Confindustria (oltreché nella dirigenza di Forza Italia).

L’ascesa di Siniscalco e il nuovo feeling tra Berlusconi e Fazio, con il primo che si inchina ai diktat del capitale finanziario (in vista di metter mano, col governo stesso, sulle future fusioni bancarie), provoca un ribaltamento della filosofia operativa della Cdp. Su suggerimento del governatore della Banca d’Italia, la Cdp diventa a tutti gli effetti una banca (anche se non rispetta la legge bancaria), con la probabile adesione nella primavera prossima all’Abi, l’associazione delle banche italiane. Ciò significa che Bankitalia eserciterà il controllo sulla sua attività; in pratica dirà la sua in merito all’acquisizione di quote delle Poste, di Eni, di Terna (detenuta al 29,9% – perché il 30% o più farebbe scattare la norma sul controllo), di Enel, di Snam Rete Gas (per la quale è prossimo l’acquisto di un’importante quota) e dell’investimento infrastrutturale dei monopoli naturali, dalla rete ferroviaria alle “pubbliche utilità” locali [sul controllo di Bankitalia si rimanda all’illuminante articolo di Massimo Mucchetti, Cassa Depositi, scudo Bankitalia ed equilibrio dei poteri in Corriere della sera, 25.9.2004]. Il passaggio consiste nel collocamento di ulteriori quote della Cdp ad “investitori istituzionali” (leggasi Fondazioni bancarie e fondi d’investimen­to) e la conseguente supervisione della Bankitalia, vale a dire tutto il contrario dei desiderata di Tremonti, che non voleva affatto il controllo di Fazio sulla sua creatura, per non subire “un commissariamento di fatto della politica economica” [cfr. Fazio conquista la Cdp, in Finanza&Mercati, 18.8.04].

A distanza di circa un anno Fazio riacquista un ruolo impensabile in qualsiasi paese a capitalismo avanzato e con una forte presenza di capitale finanziario; il tutto senza la benché minima adozione di criteri di accountability, vale a dire motivazioni pubbliche di decisioni e atti inerenti le banche e il capitale finanziario italiano in genere. La sua regia è talmente esplicita che durante la “giornata del risparmio” ha apertamente invitato l’imprenditoria italiana a tuffarsi sul settore delle pubbliche utilità dichiarando che “l’iniziativa privata può farsi carico di una quota rilevante del costo degli investimenti allorché interessino la fornitura di servizi remunerati da tariffe” [Relazione del governatore, in Bankitalia, 5.11.2004, p.13].

Si conferma in tal modo il ruolo esplicito di Bankitalia a sostegno dell’aristocrazia finanziaria, vista quale unico soggetto di una (im)proba­bile ripresa dell’accumulazione capitalistica nel paese. In ogni caso, la presa del capitale finanziario sulla “banca delle banche” in realtà era stata attuata già nella primavera del 2004 quando 65 fondazioni bancarie avevano investito un miliardo di euro nella Cdp, detenendo una quota pari al 35% del capitale sociale.

L’investimento è garantito da una serie di clausole e norme volte ad assicurare loro un rendimento minimo garantito, quantificabile dall’inflazione reale più tre punti percentuali fino al 2010 e da un diritto di recesso, a partire dal gennaio 2005, che garantisce loro la liquidità immediata delle attività acquisite. La sottoscrizione è avvenuta sotto forma di 105 milioni di azioni privilegiate, ma con diritto di voto nelle assemblee ordinarie e straordinarie (nuovo miracolo del capitale finanziario nostrano) e c’è da scommettere che nei prossimi anni la quota detenuta dalle fondazioni bancarie aumenterà considerevolmente, trasfor­mando la Cdp come il vero braccio operativo del capitale finanziario.

A concorrere verso questo nuovo assetto è la riforma degli incentivi alle imprese con la costituzione del fondo rotativo di 6 mrd € in conto interesse presso la Cdp, attivando un meccanismo moltiplicatore, vale a dire una “leva finanziaria”, di circa 250 mrd €. La posta in gioco è talmente enorme, ed in concorrenza con le banche italiane, almeno nell’iniziale disegno tremontiano, che Berlusconi, dopo le dimissioni del fiscalista di  Sondrio, ha offerto al capitale finanziario italiano, tramite la Cdp, la gestione del fondo rotativo e le pratiche istruttorie, invitandole ad aumentare la quota sociale nella Cassa[1]. La pax finanziaria è stata suggellata durante l’Assemblea dell’Abi del luglio scorso, durante la quale Berlusconi affermava che la riforma degli incentivi sarà per le banche “una straordinaria occasione” [cfr. Il Cav. incassa la non ostilità di Fazio, ma non la fiducia dei banchieri, im Il Foglio, 9.7.2004][2]. In particolare, la Cassa verserà alle banche le differenze tra i tassi agevolati praticati alle aziende e i tassi di mercato, mentre le banche potranno partecipare al capitale del fondo, offrendo loro la possibilità di diminuire gli incagli e le stesse sofferenze bancarie, così da permettere, in ultimo, di avere rapporti patrimoniali più rispondenti alle regole di “Basilea 2” e ai nuovi Ias, vale a dire le regole internazionali di contabilità [cfr. Fondo per le imprese, Siniscalco bussa alle banche, in Finanza&Mercati, 21.10.2004].

 

Insomma, una sorte di socializzazione delle perdite. Resta il fatto che le intenzioni di Tremonti prima e Siniscalco poi sono quelle di trasformare la Cdp in una vera e propria merchant bank, con importanti partecipazioni nelle grandi aziende, la possibilità di fare credito con il Bancoposta e collocare strumenti finanziari, quali le obbligazioni garantite da un rating superiore a quello “sovrano”, attribuito allo stato [Standard &Poor’s dà un rating AAA]. Nei prossimi anni, infatti, è prevista l’emissione di 22 mrd € di obbligazioni – in specifico covered bond (la prima emissione di 2 mrd € è prevista a gennaio), la cui garanzia è coperta dal patrimonio e dagli attivi delle Cdp (in particolare i crediti verso gli enti locali), utilizzando la rete degli sportelli di Banco Posta [circa il patrimonio e la nuova attività della Cdp si rimanda all’ottimo saggio di Federico Merola – La nuova Cdp – pubblicato dalla Fondazione Di Vittorio della Cgil nel maggio scorso].

Si tratterebbe della prima operazione in Italia, che ha precedenti in strumenti finanziari simili già operativi in Germania [Pfandbriefe] e Francia [Obligation foncières]. La natura privatistica (gestione ordinaria) della Cdp è garantita da un comitato di indirizzo – presieduto dall’ex direttore generale di Bankitalia, l’economista Mario Sarcinelli, nominato dal mondo delle fondazioni – che ha funzioni propositive presso il consiglio di amministrazione, quest’ultimo composto da nove membri, tre dei quali nominati dalle fondazioni bancarie. Nelle intenzioni delle fondazioni il fine della nuova Cdp è il finanziamento e la partecipazione al processo di concentrazione e centralizzazione del prossimo decennio, vale a dire nel settore delle pubbliche utilità, in particolare rete energetiche, reti idriche e gestione dei rifiuti in ambito locale, proprio laddove le fondazioni e le loro banche controllate spingono per un ulteriore processo di privatizzazione di questi settori, in nome della “liberalizzazione dei servizi” delle municipalizzate che, cela, al pari del processo di privatizzazione delle banche, la compiuta centralizzazione finanziaria ed il trionfo della rendita[3].

Si compie in tal modo il trionfo del capitale finanziario, iniziato con la “riforma Amato” dei primi anni novanta, con la privatizzazione delle bim [banche di interesse nazionale], delle telecomunicazioni, delle autostrade, dell’energia e in ultima con la trasformazione in società per azioni delle municipalizzate, alcune delle quali quotate in borsa, e la loro successiva privatizzazione. La successiva mossa sarà un nuovo e più possente processo di concentrazione delle pubbliche utilità e la creazione di un assetto bancario più rispondente al mercato continentale. Il nanismo e la frammentazione di questi importanti settori strategici lasceranno il posto nel giro di un decennio a “campioni nazionali” in grado di sfidare, o perlomeno contrattare alla pari, multinazionali quali la tedesca Rwe e la francese Suez, peraltro già presenti sul mercato italiano. Al momento si vede però soltanto la discesa in campo di operatori continentali: è il caso ad esempio di Edf (monopolio francese dell’elettricità) che aspetta da tre anni il via libera per scalare Edison con un opa da 7 mrd €, mediante l’acquisizione della controllante Italenergia, a seguito di un’opzione put di azioni detenute da banche [37% delle azioni, con Capitalia (14,2%), San Paolo Imi (12,5%), Banca Intesa (10,7%)], dal raider Zaleski (20%) e dal gruppo Fiat (24%, le cui azioni sono in garanzia a Citigroup a seguito di un finanziamento di 1,1 mrd €[4]) da eseguire entro il febbraio prossimo [si veda Private equity, le attenzioni sulla Edison, in Plus il Sole 24 ore, 16.10.2004]. Contro l’acquisizione di Italenergia/Edison da parte di Edf, che eventualmente per superare lo scoglio dell’Opa chiamerebbe altri cavalieri come soci finanziari, ambienti politici e finanziari si stanno organizzando per creare una cordata tutta italiana che conquisti il controllo di Edison: a quest’operazione sarebbero interessati il fondo Clessidra, gradito dal presidente della commissione attività produttive, Bruno Tabacci, la finanziaria Hopa del raider bresciano Chicco Gnutti (famoso assieme a Colaninno per il leverage buy out di Olivetti-Telecom Italia) e Mediobanca.

Sul fronte delle municipalizzate la situazione nei prossimi mesi potrebbe diventare esplosiva: si stanno preparando, infatti, una serie di alleanze geografiche finalizzate alla fusione e alla concentrazione del settore delle pubbliche utilità: il fine è creare player nazionali. Tutte le municipalizzate quotate in borsa hanno, nel corso del 2004, sovravalutato di gran lunga gli indici borsistici a Piazza Affari, con crescite che vanno dal 27 al 50%, segno che gli operatori si aspettano fusioni, incorporazioni e scalate, una possibilità quest’ultima che potrebbe realizzarsi qualora gli enti locali diminuissero la loro quota detenuta al di sotto del 30%. Registi di queste operazioni sarebbero le fondazioni bancarie del territorio di appartenenza, interessate a creare players multiregionali, se non nazionali, che rispecchiano le alleanze bancarie create in quest’ultimo decennio. In vista di questo processo si fa largo l’ipotesi di avviare uno swap (scambio) tra gli enti locali, che controllano le pubbliche utilità e le fondazioni: ai primi verrebbero riservate quote azionarie delle seconde in cambio della vendita di asset delle loro imprese alle fondazioni medesime.

Esplicito al riguardo è il banchiere di Unicredit Fabrizio Palenzona: “posto che la proprietà e la responsabilità delle pubbliche utilità locali nei confronti dei cittadini deve restare ai comuni, il ricorso a fondazioni locali può offrire la possibilità di rendere più trasparente e dinamica la gestione delle municipalizzate e può favorire le aggregazioni in vista delle quotazioni in borsa e di parziali privatizzazioni” [Ripetere il modello delle banche, in il Sole 24 ore, 7.11.2004]. Dall’alto della Cassa depositi e prestiti, “controllata” dalle fondazioni medesime, si avvieranno progetti infrastrutturali, finanziati da emissioni obbligazionarie e soprattutto dalla raccolta postale, per le reti energetiche, idriche e quant’altro che asseconderanno i desiderata del capitale finanziario sulla privatizzazione ed il riassetto delle ex municipalizzate.

 

In tal modo il cerchio si chiude. La Cdp diverrà, tramite la raccolta postale, sempre più uno strumento del processo di centralizzazione al servizio delle banche e delle grandi imprese, le quali, abbandonando i settori di riferimento, quel che in gergo viene definito core business, si tufferanno nelle “chiare, fresche e dolci rendite” [cfr. no.94]. Il processo di concentrazione del settore delle pubbliche utilità sarà parallelo e/o antecedente all’ulteriore processo di concentrazione bancaria giacché sarà uno dei nodi da contendere.

Giusto in questi mesi i giochi si stanno cominciando a delinerarsi. I primi a muoversi sono state l’Amga di Genova, forte nel settore gas, interessata assieme all’Acea all’acquisto di Acque Potabili (società del gruppo Italgas, un’acquisi­zione portata a termine a fine novembre) e l’Aem di Torino, forte nel settore dell’elettricità. Da alcuni anni Mediobanca lavora invece per creare una holding che raggruppi le principali pubbliche utilità del nord Italia (Aem Mi, Aem To e Asm Bs), le cui dimensioni potrebbero competere con i players oligopolistici italiani (Enel, Edison, Italgas e Acea). La regione Lombardia lavora invece a creare un vero polo regionale denominato Lombard utilities che dovrebbe aggregare ventuno municipalizzate e soprattutto l’Aem di Milano e l’Asm di Brescia, entrambe quotate in borsa. Sul fronte emiliano l’Hera di Bologna cerca da più di due anni di andare a nozze con la Meta di Modena e con altre municipalizzate della regione. Nel nord est dovrebbe nascere nei prossimi mesi la Nes (Nord est servizi) che aggrega otto realtà venete e friulane partecipate da 130 comuni, e prossima a nozze con altre municipalizzate del territorio, quali l’Ace­gas di Trieste e l’Aps di Padova [si veda Privatizzate per finta, in Corriereconomia, 25.10.2004].

Va da sé che questo successivo processo di privatizzazione porterà a licenziamenti, ad un ulteriore precarizzazione della forza-lavoro, ad un forte aumento del grado di sfruttamento e a tariffe esose – nel quadro più generale dell’aumen­to delle imposte indirette, tipico della fase di sovrapproduzione – che colpiranno sempre più il salario globale di classe, un copione già visto con le privatizzazioni degli anni novanta. Resta il fatto che è tutto da verificare come possano coesistere deterritorializzazione, frantumazione delle sfere decisionali pubbliche, a seguito della devoluzione, e processi di concentrazione e centralizzazione finanziaria. Certo, la Casa delle Libertà può giocare su due tavoli, ma il banco appartiene ad uno soltanto: all’aristocrazia finanziaria.

E non è detto che sia soltanto italiana.

[1] Vi sono altre due realtà piene di liquidità e pronte per accompagnare l’accumulazione di capitale. La prima è Sviluppo Italia, che controlla la Ream (Rete autostrade marittime), ha diverse partecipazioni in medio-piccole imprese e ha in dotazione circa 800 mln € (agevolazioni per l’imprenditoria giovanile) da investire nel settore turistico e manifatturiero. La seconda è Fintecna, che ha in dotazione circa 2 mrd € e che si candida ad investire questa liquidità, tra l’altro, nel Ponte dello stretto.

[2] Il senatore Grillo di Forza Italia [intervista ad Augusto Minzolini, la Stampa, 21.10.2004], fautore del riavvicinamento con Fazio, dà un’interpretazione pregnante del nuovo sodalizio tra Bankitalia e Berlusconi: “Silvio ha bisogno di riagganciare la Confindustria, gli imprenditori. Il nostro paese è bancocentrico: le imprese non hanno moneta e debbono appoggiarsi sulle banche. Per cui il miglior canale per riprendere i rapporti con la Confindustria è proprio Fazio che ha tutte le banche dietro”.

[3] In realtà si vuole la semplice privatizzazione al fine di creare un mercato oligopolistico. Lo stesso Giuseppe Tesauro, presidente uscente dell’autorità antitrust afferma a proposito: “Si è passati da un’eccezione all’altra. Prima avevamo una forte presenza pubblica nell’industria, con addirittura panettoni e pomodori di stato. Successivamente si è privatizzato solo per fare cassa, senza cedere il controllo delle aziende. O si sono venduti interi monopoli ai privati, molto attratti dai settori protetti. Insomma, una nefasta coincidenza di interessi che di fatto ha compresso i processi di liberalizzazione e privatizzazione” [la Repubblica, 7.10.2004]. C’è da chiedersi che ci sta a fare Tesauro all’Antitrust, ma questo è un altro discorso.

[4] Un altro 14% della quota Italenergia della Fiat è detenuta in pegno dalle banche quale garanzia del prestito convertendo circa 3 mrd € in scadenza per questo inverno. Dalle mosse di Edf dipenderanno le sorti finanziarie della Fiat e il riassetto dello scacchiere del potere del paese. Il risiko coinvolgerebbe infatti banche, assicurazioni, imprese industriali, pubbliche utilità e, last but no least, il riassetto di Mediobanca e Rizzoli.

Categorie
Italia

PANDEMIA E GIOVANI, LA FOLLIA DI QUESTI TEMPI

Pubblico un post su facebook di una mia amica, Chiara, che racconta la disavventura capitata ieri sera tardi a suo figlio sedicenne. Un piccolo particolare: mio figlio ieri è andato a vedere la partita in un centro commerciale. Poco prima di uscire si preoccupava dove fosse la mascherina ffp2. La disavventura capitata al figlio di Chiara mi ha fatto capire l’ansia di ieri di mio figlio. Siamo tutti ansiosi, al lavoro per il green pass, in treno per il gp e la mascherina, in un negozio, in un centro commerciale, ovunque. Ormai siamo al ridicolo, non se ne può più e a rimetterci sono innanzitutto i giovani, privati di libertà, spensieratezza e voglia di vivere Non è vita questa, è una caserma, stabilita da ministri che si dicono di sinistra, in realtà socialfascisti, che ci ha portato alla non vita. Buona lettura

“Il treno di mezzanotte.

Ieri sera, ero finalmente uscita ad ascoltare un concerto, dove suonava mio marito.
Appena parcheggio l’ auto sotto casa mi chiama mio figlio disperato. Mamma finalmente mi rispondi..sono nella m….
Il cuore mi va in gola.
Che succede?
Ma dove sei?
Sono a Firenze..non te  lo avevo detto!
Vienimi a prendere sono alla stazione da solo.
Come mai?
Ero con i miei amici e dovevamo prendere il treno locale . Le macchinette erano guaste e non sono riuscito a fare il biglietto.
Poi ho perso la mascherina ffp2 e avevo solo una chirurgica.
La polizia ferroviaria ha fatto salire sul treno i miei amici e me no.
Aspettami tesoro.
Arrivo prima possibile…ma cavolo..non dirmi che fai non va bene per niente.
Rimonto in auto e sono combattuta tra rabbia e amarezza.
A sedici anni si agisce d’ impulso, si esce dal paese e senza dirlo si va in città, confidando di tornare come Cenerentola all’ ora x concordata in famiglia.
E poi sono preoccupata: un ragazzino senza i suoi amici da solo, alla stazione di Firenze di notte …
Ma sono anche indignata: potevano farlo salire e pagare il biglietto a bordo, pagando un sovrapprezzo, è consentito…piuttosto che impedirgli di prendete il treno per tornare a casa!
Ma il tutto in realtà è dovuto ad una priorità sulla quale la polizia ferroviaria è stata irremovibile di fronte ad un sedicenne angosciato: il mancato possesso della ffp2 e l’ avere soltanto una mascherina chirurgica.
Perché lo scrivo?
Perché dobbiamo uscire da questa cieca intransigenza.
Perché questa realtà fa ogni giorno più male.
Perché i nostri figli non possono vivere ancora così gli anni più belli della loro esistenza: tutti l’ uno contro l’ altro..pronti a castigare e punire.
Ma consoliamoci: giorni fa ho sentito in tv che lo Stato sta pensando di erogare ai giovani in difficoltà, o disagio post o interpandemico, il supporto psicologico necessario con pacchetti di sedute convenzionate !
Categorie
Italia

IL BLOG, UNA FINESTRA SUL NUOVO CNL

Nelle ultime settimane sono stato contattato da diverse persone. Notavano la miscellanea dei pezzi, che spaziavano dalla Cina agli imprenditori no-green pass, dai volontari ai piccoli commercianti, dal risparmio tradito a Confindustria. Sono persone di diverse estrazioni sociali, alcuni benestanti, altri semplici lavoratrici/ori, ma tutto accumunate dallo schifo del presente.

Dopo la fine dell’Urss, hanno creato negli ultimi 30 anni un mondo fetente, disumano, che non piace a nessuno. Chi lo ha creato si aggrappa a più non posso a questo mondo che volge alla fine, si imbastardisce, diventa poliziesco, grazie ai suoi apparati, violento, repressivo ma in nome della loro libertà. Che non è altro che libertà di dominio. Costoro vanno in tv con la chitarra a cantare Bella Ciao. C’è tutto un mondo che non li sopporta più. Chi da destra aggrappato ai valori tradizionali, chi da marxista vede la violenza del capitale, chi in nome della carità, tutto costoro sono schifati. Nessuna istituzione è con loro. Prevale solidarietà di gruppo, volontariato (e magari viene criticato dai “rivoluzionari”), dialogo tra amici sul che scrivere e sul da farsi. In tutto questo l’impotenza davanti a questi immani problemi la fa da padrona, troppo sfruttamento, troppi morti sul lavoro, troppa povertà. Dialogo con questi tre gruppi, un pò perché sono tradizionalista, un pò perché rimango marxista, un pò perché ammiro lo spirito id iniziativa dei credenti. C’è un mondo da ricostruire, solo partendo da eclettismo incrociato con queste tipologie si può far qualcosa, il nemico è potente. Come nel CNL, poi ci si divide .Ma l’importante è farla finita con questo perenne presente schifoso.

Faccio un patto con voi: i vostri contributi, le vostre testimonianze sono ben accette nel blog, che diventa un giornale a tutto tondo, con a capo mia moglie (io faccio il semplice collaboratore). Faccio il lavoro di coordinatore dei vostri scritti, in modo che si possa allargare il campo di platea e raggiungere molte più persone. Forse  è un campo minato, ma saprò dare una linea teorica a questi scritti. Sono aperto a disoccupati, gente che vive di lavoro, imprenditori sui generis fuori dal coro, gente legata alla tradizione della terra, professionisti, economisti. Non è più il tempo di steccati, c’è un Paese da ricostruire. Grazie a chi vorrà partecipare.

La mail è: operatresoldi@yahoo.it

Categorie
Italia

CONFINDUSTRIA: CHE NON SI PARLI DI AUMENTI SALARIALI!

Sta tenendo banco in questi giorni il dibattito tra Landini e Bonomi sugli aumenti contrattuali. Sono invocati da più parti per fronteggiare l”aumento vertiginoso del costo della vita dovuto ai rincari energetici che si riversano non solo sulle bollette ma anche sui beni di prima necessità. Oggi sono andato dal mio dentista, la moglie diceva che non ti puoi avvicinare ai negozi di generi alimentari, persino la verdura è costosissima, tutto è costoso e anche la qualità è andata a degradare. Bonomi sostiene che prima ci deve essere aumento di produttività. L’economista Marco Fortis, proprio sulle pagine del giornale di Confidustria, sosteneva lo scorso anno che nell’industria italiana negli ultimi 5 anni la produttività è aumentata molto ed è maggiore della stessa Germania. Che si mettessero d’accordo tra loro. In ogni caso non si può pretendere l’aumento di produttività in settori pubblici come scuola o sanità, sono servizi universali anche se in alcuni settori pubblici, grazie alla digitalizzazione, negli ultimi due anni la produttiivtà è aumentata addirittura del 17% mentre i salari e gli stipendi pubblici sono rimasti al palo. In un post pubblicato alcuni mesi fa su facebook, l’economista Guido Salerno Aletta così inquadra il ruolo di Confindustria nell’ultimo secolo: “Mettetelo bene nella Zucca. La attuale classe confindustriale è l’erede legittima di quella stessa imprenditoria responsabile dello sfascio degli Anni 20 e 30. Quella che pretendeva protezione mentre si riportava la lira a Quota 90. Quella che aveva speculato e controllava le banche fino a farle fallire. In Italia, lo Stato azionista nasce dal fallimento di una classe di imprenditori e banchieri collusi. Niente è cambiato: la repressione salariale di allora riportò l’Italia in rotta, lo stesso è avvenuto in questi anni. La stessa politica filopadronale del fascismo, sostenuto dalla grande stampa di allora. Gli investimenti di sviluppo si fecero solo dopo, con l’Iri. E nel dopoguerra, fino alle privatizzazioni. Dopo, il nulla cosmico. Mettetelo bene in Zucca”.

Ora, abbiamo un surplus di partire correnti pari al 3.3.% del pil, una posizione finanziaria netta estera positiva per 105 miliardi, i soldi ci sono, c’è chi, come Del Vecchio (Luxottica) e altri che remunerano bene i dipendenti e danno grandi premi di produzione, c’è chi come Bonomi (che non è un industriale vero e proprio) aggrappato alla deflazione salariale degli ultimi 30 anni e da lì non si smuove. Se c’è un dato da riflettere delle economie asiatiche è che i loro industriali premiano la partecipazione attiva alle sorti delle aziende dei dipendenti con forti aumenti. Certo, è corporativismo, ma si tratta di fronteggiare l’emergenza salariale, per il socialismo si vedrà. Sono dunque da premiare quegli imprenditori che pagano bene i dipendenti. Un imprenditore due domeniche fa mi ha mandato il prospetto del suo progetto industriale grazie al PNNR con le remunerazioni dei dipendenti. Vedendo che erano alte gli ho chiesto i motivi. La sua risposta: “i collaboratori devono vivere bene, non sopravvivere, le gioie della vita le devono avere tutti”. I soldi ci sono, basta vedere la posizione finanziaria netta estera, si tratta di cambiare tutto l’assetto associativo degli operatori economici italiani che ormai hanno fatto il loro tempo e non rispondono più alle richieste di modernità provenienti dalla società. I soldi ci sono, basta volerli usare non solo per auto, ville  e barche. Ci sono imprenditori che la  pensano così, si tratta di intercettarli e dare loro voce.

Categorie
Italia

LA TOSATURA DEL RISPARMIO DELLE FAMIGLIE ITALIANE

Ho ricevuto vari commenti da manager e imprenditori circa il formidabile pezzo di ieri di Salerno Aletta sugli immobili. Uno di essi, il direttore di una multinazionale asiatica,  così ha commentato: “Alcuni anni fa ero ad un meeting con il rappresentante della Banca Italia a Tokio. Parlando nel precena mi fece capire una cosa importante. In Italia esiste un forte risparmio delle famiglie. Molto più alto della media. Per eroderne parte ci sono alcune modalità. Una di queste è farlo diminuire in valore del 30/%
In questo modo si spinge il risparmio ad essere collocato sul mercato e poi pappato dai gestori finanziari. Da un lato si abbassa il risparmio globale del paese e dall’altro si trasferisce alla finanza internazionale.
Un modo elegante ed indolore di rubare i risparmi accantonati dalla generazione del dopoguerra.Sta storia iniziò con Prodi e le varie metamorfosi del PCI da dopo manipulite. Il Berlusconismo erede del craxismo ha frenato questo fenomeno. Oggi ricominciano in 3 direzioni.
1. Riforma del catasto. 2. Attacco al valore degli asset immobiliari.
Svalutazione dei collaterali ipotecari.
3.Manovre sulla evasione fiscale del ceto medio.Tracciamento dei pagamenti.

Esiste una regia in questa manovra decennale. Essa è stata frenata da Forza Italia prima e dalla Lega dopo con il suo blocco sociale.Gli eredi del PCI hanno questa missione storica. Trasferire risorse dal paese reale alla grande oligarchia e distruggere industria nazionale strategica. Stanno tentando da oltre 20 anni.

In base a questa mia semplice analisi non bisogna avere nessun compromesso culturale con la sinistra. Essa è il motore della trasformazione in peggio del nostro paese. Vanno sempre analizzate le varie contraddizione usando la dialettica e la gerarchia delle contraddizioni. La sinistra erede del PCI si configura da alcuni decenni come il nemico principale nella contraddizione principale.
Non ci devono mai essere ambiguità su questo punto cardine della analisi materiale dei fenomeni”.

Un altro imprenditore così ha commentato: ” già qualche giorno fa ti dicevo del salasso che ci aspetterà allo scadere del 2026… il 110% che tutti oggi decantano aiuterà a creare due tipologie di immobili dove chi ha ristrutturato usufruendo del contributo si troverà con un IMU iperbolica imputabile alla migliore classe energetica … ergo !!! Si riprenderanno con gli interessi quanto hanno concesso. Se non si escluderà la prima casa sarà un ecatombe totale…. Diversamente sarà parziale perché automaticamente dovranno aumentare gli affitti. Un attacco frontale alla borghesia italiana e alla categoria degli immobiliaristi “.

Leggete mai interviste a banchieri italiani? Fatelo. Troverete un unico leit motiv della loro strategia:  far crescere il “wealth management”, la gestione del risparmio delle famiglie italiane (10 mila miliardi tra case e liquidi) nel gran casino delle borse mondiali. Ormai queste istituzioni non servono più a niente. E dire che la riforma del Catasto porterà ad un disastro bancario perché cresceranno a dismisura i crediti deteriorati, come a metà degli anni duemila. Ma vaglielo a far capire a sta gente.

Categorie
Italia

IL FURTO FISCALE E BANCARIO DELLA CASA

Pubblico, su autorizzazione dell’autore, l’economista Guido Salerno Aletta, questo pezzo che è un capolavoro, pubblicato da Teleborsa, un sito che vi consiglio di vedere. Uno spaccato d’Italia degli ultimi 30 anni formidabile. Ho intervistato il professionista sul Superbonus, l’ideatore di questo strumento. Ora Guido Salerno Aletta fa una disamina ch vi consiglio vivamente di leggere. Buona lettura.

 

“I veri guai per un Paese cominciano quando la strategia fiscale è guidata dall’obiettivo di fare cassa, subito e ad ogni costo, senza tener conto delle conseguenze sistemiche della tassazione che viene introdotta, come è successo in Italia da almeno trent’anni a questa parte, in particolare dal 1992, e soprattutto quando a questa frenesia si aggiungono le ideologie politiche, come è stato il caso del “federalismo fiscale“. Oltre alle entrate proprie, ci sono le aliquote aggiuntive, le addizionali e le compartecipazioni al gettito erariale: tutti i livelli ordinamentali, dalle regioni ai comuni, si sono messi a pescare nelle tasche dei contribuenti.

Nessuno vuole ammettere che l’aumento della pressione fiscale sugli immobili, con l’IMU nelle sue varie e successive declinazioni, ha prodotto danni sistemici enormi sull’intero sistema economico. Si discute in questi giorni della delega fiscale, e del rifacimento del catasto immobiliare, nell’ottica di pervenire ad un riequilibrio dell’imposizione, per poter aggiornare gli estimi e le valutazioni che risalgono a molti anni addietro. Siamo sempre inchiodati alla stessa logica, quella della “spremitura fiscale“.

Bisogna andare più a fondo: la casa, prima o seconda che sia, come qualsiasi altro immobile a fini commerciali o produttivi, non è solo un bene d’uso ma è un asset che ha un valore finanziario. Non capire questo aspetto, soprattutto in un Paese come l’Italia in cui le famiglie detengono un immenso patrimonio immobiliare, significa perdere di vista un aspetto fondamentale del processo di formazione del risparmio, della accumulazione della ricchezza, della funzione di garanzia non solo personale e familiare, ma soprattutto sociale e finanziaria che è affidato al patrimonio immobiliare. Bisogna essere brutali: l’aumento della tassazione sulla casa, adottata in piena crisi economica, ha comportato effetti devastanti. Quando già c’erano centinaia di migliaia di famiglie indietro col pagamento delle rate dei mutui, andare ad escutere la garanzia ipotecaria mettendo le case all’asta è stata una idiozia assoluta. Le banche ci hanno rimesso centinaia di miliardi: in una situazione di crisi, si compra a sconto, e quindi ad un valore infimo. In pratica, per incassare poche rate arretrate, di mutui o di prestiti, hanno proceduto alla vendita forzata dell’asset preso a garanzia, svendendolo. E, di conseguenza, visto il crollo dei valori di mercato, hanno dovuto svalutare tutte le garanzie immobiliari che avevano assunto al momento di erogare mutui e prestiti. E’ stata una carneficina per i bilanci delle banche, di cui si tace. Ancora oggi, le banche si rifiutano di prendere un immobile a garanzia per la erogazione di prestiti: è stato dunque distrutto il valore finanziario dell’asset immobiliare.
Come se non bastasse, aumentare la tassazione immobiliare significa ridurre il rendimento dell’asset, che si calcola al netto della tassazione futura: in pratica, dovendo decidere come investire una determinata somma, scegliendo tra impieghi alternativi, occorre tener conto del rischio sul valore, della rendita annuale che può derivarne, della tassazione, e soprattutto della utilizzabilità in termini di garanzia finanziaria.

Basta un esempio: da una parte, 100 mila euro investiti in titoli di Stato hanno un certo grado di rischio, un certo rendimento ed una certa tassazione; dall’altra, 100 mila euro investiti in un immobile hanno un altro grado di rischio, un altro rendimento ed un’altra tassazione. La vera differenza, sotto il profilo finanziario, sta nel fatto che mentre qualsiasi banca continua ad erogare un prestito prendendo a garanzia i titoli di Stato, nessuna banca eroga più un prestito prendendo a garanzia un immobile.

Questa è stata la colossale distruzione del valore finanziario sotteso al patrimonio immobiliare che è stata scientemente voluta: i risparmi, se li avete, devono essere investiti in Borsa, in Fondi di investimento, in qualsiasi forma finanziaria ma non in immobili.

Di più: la pressione assurda fatta dalla BCE ai fini della vigilanza prudenziale, per far smaltire alle banche in tempi rapidissimi e ad ogni costo le sofferenze derivanti dal ritardato pagamento di rate di mutui o di prestiti garantiti da immobili, ha avuto come conseguenza quello di sfondare i loro bilanci. Le banche hanno dovuto svendere i crediti in sofferenza e svalutare tutte le garanzia immobiliari: una folle, lucidissima carneficina. Ma come ulteriore conseguenza sistemica c’è stato l’azzeramento del valore finanziario degli immobili.

Bisogna rimediare: occorre innanzitutto aumentare il valore della rendita immobiliare, riducendo la tassazione sui cespiti immobiliari, ma soprattutto è indispensabile restituire loro il valore finanziario.

Agevolare fiscalmente la ristrutturazione degli immobili con i vari bonus è sicuramente un buon inizio, perché aggiunge valore al patrimonio immobiliare: ma non deve essere la scusa per poi aumentare artificiosamente la pressione fiscale. C’è da temere infatti che il combinato disposto tra la ristrutturazione degli immobili, che viene agevolata fiscalmente, e la revisione del catasto di cui si discute in Parlamento, sia il Cavallo di Troia che consente di aumentare il gettito fiscale, senza aumentare le aliquote. Se la ristrutturazione facesse aumentare il valore dell’immobile del 20%, e con la revisione degli estimi questo maggior valore venisse immediatamente ad emergere, l’aumento della tassazione sulla casa sarebbe immediato ed automatico. L’effetto sul valore immobiliare sarebbe negativo, perché si sconterebbe il maggior prelievo fiscale.

Bisogna smetterla di giocare con la casa, con la sua tassazione, con il suo valore economico e finanziario. I fondi pubblici destinati alla costruzione di nuovo alloggi vanno invece utilizzati per consentire l’acquisto agevolato dei tantissimi immobili in vendita.

Non serve costruire ancora più case, non serve tassare maggiormente le case, ma è indispensabile dare più valore d’uso e soprattutto garantire valore finanziario alle case esistenti. Una quota del gettito già prelevato con l’imposizione sugli immobili deve andare a costituire un “Fondo di garanzia sul valore immobiliare”: se lo Stato tassa un cespite immobiliare ad un determinato valore, deve in qualche modo assicurare il mercato che quel valore è reale e non fittizio. Un valore immobiliare garantito fiscalmente: solo così le banche ricominceranno ad erogare mutui e prestiti mettendo una ipoteca gli immobili.

Occorre restituire valore finanziario al patrimonio edilizio”

“Fondo di Garanzia sul Valore Immobiliare”

Categorie
Italia

I RICAVI DALL’EXPORT? VANNO A FINIRE ALL’ESTERO

Poco fa la Banca Centrale italiana ha pubblicato il bollettino della Bilancia dei Pagamenti di dicembre 2021 e il bilancio 2021. Vi è un surplus delle partite correnti pari al 3.3%, in diminuzione causa maggior deficit dei servizi (in specie le spedizioni) e una diminuzione del surplus delle merci derivante dal commercio estero, causa maggior deficit energetico. In ogni caso il paese è in surplus, ha più di quanto riceva. Spicca il dato degli investimenti finanziari degli operatori economici italiani all’estero, che ammonta a 128 miliardi di euro. Da qui questi operatori hanno ricavato interessi e dividendi pari a 22 miliardi. La posizione finanziaria netta estera, vale a dire la differenza tra crediti e debiti, è pari a 105 miliardi di surplus. E’ come se tutta questa manna si sia riversata all’estero. I media incensano ai dati sbalorditivi dell’export nel 2021, che hanno superato il record del 2019, ma non serve a nulla, tutti soldi che vanno all’estero, nel mentre, per sostenere questo ritmo, la classe dominante fa da cane da guardia ai salari, che devono essere bassissimi. 23 milioni di lavoratori, 3 milioni di lavoratori in nero e milioni di disoccupati immolati sull’altare degli investimenti finanziari all’estero. Ormai non seguo più i media, ho visto che sui giornali sono scandalizzati da eventuali rivendicazioni salariali. Evidentemente i loro padroni gli dicono di stare zitti sulla Bilancia dei Pagamenti, per non far sapere. Tutto taciuto, provo a darne informazione, per smascherare questo scandalo. Il sangue dei lavoratori viene immolato per poche centinaia di migliaia di finanzieri, che rilasciano continuamente interviste sulle cose da farsi .Sempre “riforme”, per deflazione salariale e regalie a Confindustria e banche. Nell’immediato dopoguerra questi soggetti furono taciuti, non parlavano più, perché non glielo permettevano e perché avevano vergogna di quanto successo nel ventennio. Ora sono 30 anni che dominano e non hanno il senso della vergogna, ogni tanto piangono sulla povertà immane che c’è, lacrime di coccodrillo.

Categorie
Italia

UNA PRECISAZIONE SULL’INTERVISTA ALL’IMPRENDITRICE

Faccio una premessa: sono marxista, questo sito è stato creato per proseguire il lavoro del mio libro Piano contro mercato, che parla di Prima Repubblica, Cina, Usa, Ue, banche centrali, una disamina degli ultimi trent’anni in chiave marxista. Ho un profilo facebook che, grazie alla mia attività di umile scrittore di cose economiche, ha catturato l’interesse di una variegata platea, dal disoccupato all’insegnante, dal professionista agli economisti. E anche imprenditori, molti, che apprezzano le mie riflessioni. Con alcuni ci scambiamo messaggi da anni. L’imprenditrice che mi ha rilasciato l’intervista tre giorni fa è una di queste. L’intervista, oltre che sul mio blog, è stata pubblicata dal sito Lantidiplomatico e ha catturato l’interesse di diverse persone. Alcune vorrebbero intervistare questa imprenditrice, ma lei, se ha parlato, è per due motivi: sensibilizzare altri imprenditori alla causa e rilasciarla a me, per un favore ma soprattutto perché si fida di me. Ha apprezzato quanto ho pubblicato sul blog, risponde alle sue riflessioni. Se qualcuno, magari avendo profili e siti rossobruni o complottisti, pensa di utilizzarla si è sbagliato di grosso. Non faccio parte di questa schiera, quanto all’imprenditrice è una credente fervente, oltretutto con una gran testa e sa discernere cose serie da cose strampalate. Sto maledetto Covid ha dato sfogo a gente assurda che non sa come sia essere attrezzati con il pensiero, prendono un pò da qui un pò da lì. Io vengo dalle letture de Il capitale, mi sono sbattuto la testa su quei scritti e non vado appresso a ciarlatani. Un saluto.

Categorie
Italia

L’IDEATORE DEL SUPERBONUS: IL BOICOTTAGGIO E’ DI NATURA POLITICA

Ho avuto tramite un caro amico il contatto telefonico con il Dottor Fabio Conditi, Presidente di “Moneta Positiva”, ideatore sin dal 2019, quando lo presentò al Senato, del Superbonus edilizio. Lo ringrazio vivamente per essersi fatto intervistare.

“Dottore, circa un mese e mezzo fa ho avuto modo di leggere un intervento del centro studi edilizio Cresme secondo il quale, della crescita del 6.5% del pil nel 2021, il 3.6% è da attribuire all’edilizia e al Superbonus. Lei conferma?”. “Si, circa il 3.5% è da attribuire al Superbonus, uno stanziamento di 10 miliardi che ha prodotto un giro d’affari di 56 miliardi (moltiplicatore fiscale pari al 5.6). . Tenga conto che non è solo il Superbonus ad aver trascinato il pil, ma l’indotto creato perchè il proprietario dell’immobile ha avuto 100 ma ha speso di 150-200 per fare anche lavori che non rientrano nel Superbonus, ad esempio finiture interne, bagni, mobili, elettrodomestici ecc.

“L’Agenzia delle Entrate ha pubblicato una tabella secondo la quale la percentuale di truffa del Superbonus sarebbe del 4%. Come la vede?” “In realtà è il 3% (120 milioni) del totale delle truffe per un ammontare di 4 miliardi (di tutte le agevolazioni) che, rapportate ai 10 miliardi del Superbonus, fanno appena l’1%”.

E allora perchè lo boicottano il Superbonus edilizio?” “Il Superbonus edilizio è stato positivo per i cittadini che hanno potuto rifare la casa, per il settore edile, per i dipendenti (200 mila in più di addetti), per l’indotto, le banche stesse che hanno avuto effetti positivi dalla cessione del credito. Il boicottaggio è di natura politico perché il meccanismo del Superbonus, credito d’imposta, potrebbe essere imitato da altri settori. Ad esempio la sanità, le Regioni potrebbero utilizzarlo per aumentare i posti letto o per aumentare i posti di terapia intensiva. E’ un meccanismo fiscale che ha un grande moltiplicatore, per questo boicottato”.

Ora le mie idee sono più chiare, la ringrazio vivamente Dottor Conditi.

Categorie
Italia

RETE DI IMPRENDITORI A SOSTEGNO DI LAVORATORI SENZA GP: CHIARIMENTI

Sono tornato dal lavoro e sono stato subissato da commenti di lettori de Lantidiplomatico  che chiedevano come contattare questa rete di imprenditori che sostengono economicamente lavoratori espulsi causa mancanza di Greenpass. Alcuni ritenevano il pezzo inutile, senza questa informazione. Ma c’è un motivo. Lo spiega l’imprenditrice: ” dunque, la nostra rete sostiene economicamente lavoratori espulsi per 3 mesi + uno , il tempo necessario a che non si abbatta, cerchi di ricollocarsi e trovare un nuovo lavoro. La rete è informale, fatta di imprenditori sul territorio nazionale, non abbiamo voluto fare un’associazione, non abbiamo mail o telefoni, altrimenti saremmo stati oggetto dell’attenzione degli organi statuali, visto l’andazzo che c’è in questi anni. Ogni singolo imprenditore dà direttamente l’emulamento al lavoratore e verifica come sta, se è riuscito a ricollocarsi. In più l’imprenditore cerca un nuovo lavoro per questo lavoratore. Se ho voluto rilasciare l’intervista è per sensibilizzare altri imprenditori attraverso un canale di informazione”.

Le chiedo: “ma come fate a contattare questi lavoratori?”. Lei risponde: “ho creato una rete di imprenditori sul territorio nazionale attraverso “sentinelle” cattoliche presenti nelle varie città, che informano gli imprenditori dove indirizzare le risorse. Tieni conto che l’iniziativa è partita grazie ad un grosso donatore che ha messo un budget non infinito. Non possiamo sostenere tutti, quello che cerchiamo è allargare la rete di imprenditori. Dopo si sono associati altri. Queste sentinelle cristiane difendono la scelta di cura dei cittadini e contrastano questo ricatto statuale pena la perdita di lavoro. Sono cristiani al di fuori di molti cattolici, che non hanno fatto nulla in questi anni e non hanno il senso di carità e solidarietà”. Infine le dico una cosa: “ieri sera, stavo dormendo, mi ha chiamato il mio maestro di marxismo, stupito dalla forza dei cattolici che si vedeva nella scorsa intervista”. Lei risponde: “chi ha fede non ha paura di niente, perché ha Dio, crede nella Provvidenza e contrasta tutti i sorprusi, tutte le ingiustizie”. Le dico che io, ateo, sono sbalordito da questa forza. Lei mi dice: tu stai operando nella Provvidenza, molto più di tanti cattolici che nell’ultimo anno sono stati zitti”. La ringrazio.