Pagine a cura di Pasquale Cicalese e Filippo Violi
(Scritte nel 2006)
SOMMARIO
- CENNI STORICI: MERCATO MONDIALE E STRATEGIA TALASSOCRATICA
- IL FATTORE CINA
- I FATTORI INTERNAZIONALI E I LORO EFFETTI SULL’AREA-SISTEMA
- LA STRATEGIA TALASSOCRATICA NELL’AREA SISTEMA CROTONESE
- SCENARIO INTERNAZIONALE E I SUOI EFFETTI SULL’AREA SISTEMA:
- L’ARMATURA INFRASTRUTTURALE
- PER LA COSTRUZIONE DI UN AIR LOGISTIC CENTER
- IPOTESI DI RIUTILIZZO DELL’AREA DISMESSA EX PERTUSOLA
- CENNI STORICI: MERCATO MONDIALE E STRATEGIA TALASSOCRATICA
“..il concetto di fondo è che il porto come la fabbrica deve far circolare il capitale più rapidamente possibile e non deve permettere soste, quindi deve essere agibile dal mare, sulle banchine, a terra nonché permettere rapidi raccordi con le tratte seguenti che devono percorrere le merci”, in A.Battisitini, D.Cazzaniga Franceschetti, Porti e Traffici nel Mercato Globale”, Edizioni ETS 1993, pag. 34.
E’ alquanto singolare che alle soglie del XXI sec. il Mediterraneo, quasi come un ricorso storico vichiano, ritorni ad essere considerato il centro del mondo.
Tale è stato per millenni, tant’ è che il Mediterraneo, il cui nome significa letteralmente “centro del mondo” è la fonte di civiltà basate sulla potenza talassocratica, vale a dire marittima, di popoli quali i Fenici, i Greci, i Cartaginesi e gli stessi Romani, che fondarono il loro impero a seguito delle battaglie puniche.
Quel che gli storici delle civiltà mediterranee hanno definito la Northern Route, una rotta marittima che partiva dalla Persia occidentale, toccava le coste greche e approdava nella Magna Graecia, incrociando nello stretto di Messina la Southern Route dei fenici e dei cartaginesi, fu per secoli il punto d’incontro dei tre continenti conosciuti dalla geografia degli uomini.
Potenza talassocratica e potenza terrestre trovano nelle civiltà mediterranee la più completa espressione e simbiosi: gli imperi che si sono succeduti, partendo dalla conquista delle rotte marittime, ad est e ad ovest del Mare Nostrum, come solevano chiamare il Mediterraneo i latini, sviluppano le loro civiltà trasformandosi come potenze terrestre.
E’ una battaglia tra due potenze talassocratiche, quali l’Impero Ottomano e la Repubblica di Venezia, a costituire una cesura storica, di natura mercantile, culturale e religiosa nel Mar Mediterraneo: la battaglia di Lepanto del 1571 stabilì una netta linea di demarcazione, una cortina di ferro marittima, tra le civiltà orientali e le civiltà occidentali dell’Occidente, del resto già sancita a livello religioso dalla caduta di Costantinopoli del 1453 e dall’avanzata su tutto il Mediterraneo dell’Islam, che marginalizzò l’esperienza storica e mercantile delle repubbliche marinare.
Sono passati secoli da quelli eventi, la piega che prese il destino del Mediterraneo ha inciso profondamente sullo sviluppo mercantile e capitalistico della sponda sud e nord, in particolare del nostro Mezzogiorno, dacché le vie del mare erano precluse, oltre che marginalizzate dal predominio atlantico e dei porti del nord-Europa, un tempo noti come facenti parte della Lega Anseatica.
Oggi, il Mediterraneo rappresenta il crocevia della civiltà occidentale formato da molte e diverse culture. Città romane si trovano in tutto il Mediterraneo, città greche in Sicilia, la cultura araba ha pervaso la Spagna e la Sicilia, l’Islam è presente in Jugoslavia e tutto il Mezzogiorno risente ancora della colonizzazione greca.
Tutti questi intrecci storici sono stati possibili mediante lo sviluppo delle rotte marittime e i porti che si affacciano sul Mediterraneo hanno costituito l’anello di congiunzione del Mare Nostrum, anche se negli ultimi secoli la strategia talassocratica delle vie del mare ha lasciato il posto alla chiusura del dialogo delle civiltà e dello scambio mercantile, con l’Occidente che ha visto nella sola colonizzazione ed occupazione militare la via d’uscita per il controllo strategico dell’area.
Dall’era dell’imperialismo delle potenze occidentali di fine ottocento si è passati nella seconda metà del XX° secolo alle guerre per interposta persona nell’ambito dello scontro tra le potenze facenti parte della Nato e del Patto di Varsavia, anche se a Yalta si era già decisa la spartizione del Mare Nostrum, nel mentre l’adesione della Turchia alla Nato spostava il perno dell’alleanza atlantica fino al cuore dell’impero sovietico.
Si può dunque affermare che nel susseguirsi degli eventi dell’ultimo secolo nel Mediterraneo la logica militare ha prevalso sulla logica mercantile, non permettendo dunque ai paesi rivieraschi, tranne che in Francia, in Spagna, nel centro-nord Italia e, in una certa misura, nella stessa ex Jugoslavia la modernizzazione delle strutture economiche basata sulle rotte marittime.
Due sono i momenti decisivi che hanno cambiato il corso della storia del Mediterraneo nell’ultimo ventennio.
Il primo è senz’altro la dissoluzione del Patto di Varsavia, che ha permesso alla potenza mittleuropea tedesca di riportare il suo asse verso l’Europa centro-orientale con un’intensificazione degli scambi diplomatici e mercantili con il rimanente stato russo.
Questa logica economica, che ha una valenza talassocratica nello sviluppo della rotta baltica, sposta l’asse di riferimento dell’UE verso Est, ben rappresentato dall’adesione nel 2004 di gran parte degli stati una volta facente parte del Patto di Varsavia.
E’ un demerito della classe dirigente europea non aver previsto però che i maggiori scossoni, di natura mercantile prettamente capitalistica, sarebbero avvenuti nel Mediterraneo, che non è considerato nella sua unità.
Solo nel 1992 l’Ue si dota di una strategia marittima che guardi al Mare Nostrum con la Conferenza di Barcellona che fissa al 2010 la creazione di un’area di libero scambio euromediterranea, i cui perni centrali sono una politica estera volta alla pacificazione tra Israele e Anp e, soprattutto, la conclusione della tormentata vicenda dell’adesione della Turchia che, stando ai primi negoziati in corso, dovrebbe avvenire entro il 2014, tra 5 anni, dunque.
Qui basti dire che la sola Turchia, stando alle proiezioni demografiche, avrà nel 2020 una popolazione di circa 100 milioni di abitanti e costituirà il più popoloso stato della futura UE allargata.
Inevitabilmente dunque l’asse di riferimento della diplomazia di Bruxelles si sposterà sulla sponda sud – sud-est del Mediterraneo; di conseguenza il Mezzogiorno avrà la chance di divenire un modello di riferimento di dialogo di civiltà, di scambi mercantili e di rinascita culturale.
E’ compito della classe dirigente italiana, e del Mezzogiorno in particolare, scindere definitivamente i contesti di arretratezza socio-economica del Sud per avviare un processo storico di modernizzazione che ponga il Sud quale testa di ponte verso tutto il Mediterraneo.
La strategia talassocratica ritorna poi in auge con il secondo fattore di natura epocale che sta trasformando le relazioni economiche mondiali.
L’ascesa delle potenze asiatiche, in primis Cina e India, con l’entrata in scena di circa 1,5 miliardi di forza-lavoro, sta travolgendo plurisecolari assetti strategici di natura diplomatica, economica, finanziaria e mercantile che trovano, dopo quasi un millennio, il mediterraneo quale centro del mondo delle rotte marittime.
La centralità talassocratica del Mare Nostrum – nuovamente “centro del mondo”-, oltre che dal risveglio secolare del Prometeo asiatico, trova una sua rispondenza nel gigantismo navale degli ultimi due decenni, con la costruzione di navi-container denominati “post-panamax”, veri e propri mega-magazzini naviganti a cui è impedito il passaggio del Canale di Panama, troppo stretto per poterlo attraversare.
Infatti, se negli anni ’60 le porta-containers avevano una capacità di 600 contenitori (teu) e negli anni ’70 di 2000 teu, nell’ultimo decennio si è assistito al gigantismo, con la costruzione di navi di 3000, 6000, 9000 teu: l’epoca del gigantismo navale ha anticipato i tempi della costruzione del mercato mondiale, della creazione della subfornitura manifatturiera globale e della delocalizzazione produttiva rese, per l’appunto, possibili dall’abbattimento dei tempi dei trasporti marittimi..
La rivoluzione talassocratica di natura mercantile – questa volta ad opera delle multinazionali al posto degli Stati – si ebbe nel 1979 quando la taiwanese Evergreen offrì un nolo uniforme per le varie tipologie di merci, seguita da altri vettori asiatici. Fu l’inizio dell’era moderna dei vettori marittimi, i quali diminuirono drasticamente i costi di nolo e di trasporto e permisero un’ondata di delocalizzazione produttiva, soprattutto in Asia.
La risposta alla sfida competitiva fu alla fine degli anni novanta una più gigantesca creazione di cartelli su scala mondiale, con le multinazionali dei servizi marittimi, quale la Maersk-SeaLand e l’Evergreen capaci di offrire ampia copertura geografica, elevate dimensioni aziendali, profilo internazionale, conseguimento di economia di scala, integrazioni di numerose funzioni.
La realizzazione del mercato mondiale tramite le rotte marittime era compiuta, la globalizzazione, con i suoi effetti dirompenti, incominciava a dare corso a nuove strategie talassocratiche delle potenze occidentali e asiatiche, non più come strategia militare (con l’eccezione della guerra preventiva Usa finalizzata contrastare l’ascesa dell’euro e della Cina) ma come concorrenza mercantile, industriale, monetaria e finanziaria a livello mondiale.
La nuova strategia talassocratica di natura mercantile innescava, sul piano mondiale, un processo di integrazione delle filiere di produzione che, accanto alla rivoluzione dell’automazione del controllo e all’innovazione nel settore della new economy, rendevano possibile la compiutezza del mercato mondiale.
Sono stati in particolare porti del Nord Europa che, in attesa di vedersi riaprire dopo diversi decenni la rotta baltica a seguito della dissoluzione dell’Unione Sovietica, hanno proiettato le loro invidiabili e centenarie capacità di traffico marittimo mondiale riappropriandosi del loro ruolo storico svolto per secoli quando erano alleati, alcuni di essi, nella Lega Anseatica.
Essa si ricostituiva e “ritornava” dopo alcuni secoli in quella che gli economisti definiscono Northern Range, una rete di porti nordeuropei capaci di intercettare i flussi di merci della rotta transatlantica e transpacifica.
Tuttavia, nella metà degli anni novanta avvenne un evento che sconvolse le rotte marittime plurisecolari: la multinazionale statunitense dei servizi marittimi APL mise in navigazione nella rotta Asia-US. West-Coast la prima nave post-Panamx superiore ai 4,5 mila teus.
Il ruolo del canale di Panama, troppo stretto per questo tipo di navi, passava in secondo piano allorquando le più importanti multinazionali del trasporto marittimo seguirono l’esempio della Apl, scegliendo il Canale di Suez come nuovo luogo di circumnavigazione mondiale ed elevando al contempo il Mediterraneo, dopo diversi secoli, al ruolo di nuovo baricentro dei trasporti marittimi internazionali.
Alle soglie del XXI° secolo il Mediterraneo si riappropriava del ruolo storico di cerniera tra l’Europa e l’Asia.
Dopo circa 5 secoli, come previsto negli anni settanta dallo storico del Mediterraneo Fernand Braudel, il Mare Nostrum ha la possibilità storica di fronteggiare e superare la rotta marittima euro-atlantica, riappropriando della strategia talassocratica di due millenni orsono.
Una volta ancora è la rotta marittima a decidere le sorti del Mare Nostrum: il fattore talassocratico si affaccia nuovamente nella storia del Mediterraneo, non più come strategia militare ma come scambio commerciale questa volta di natura mondiale, globale, si direbbe oggi.
Il Mediterraneo ritorna ad essere, dopo il plurisecolare predominio della rotta atlantica, al centro del mondo: il Mare Nostrum ridiventa il punto focale della circumnavigazione marittima mondiale, rafforzata ancor di più dall’entrata in scena di colossi quali Cina e India, entrambi protagonisti di uno storico processo di industrializzazione di massa che coinvolge miliardi di persone, uno scenario unico nella storia dell’economia con effetti devastanti sulla produzione manifatturiera mondiale, ma che pur-tuttavia presenta epocali opportunità per il l’Italia e il nostro territorio.
Lo scenario futuro è per una parte della classe dirigente italiana – si veda gli strali dei leghisti e dello stesso Tremonti – terrificante, per noi , un’opportunità epocale: nel giro di un ventennio l’Asia conterà per circa il 50% della produzione mondiale e, cosa ancor più importante, sposterà l’accento della politica economica dall’esportazione alla creazione di un immenso mercato interno comune sulla scia dell’esperienza europea.
Una spia di quanto sta succedendo è la rivoluzione monetaria ad opera della Bance Centrale cinese del 21 2005, lo stesso giorno della seconda ondata di terrorismo a Londra, a motivo del quale la notizia è stata, diciamo così, trascurata.
La moneta cinese è stata sganciata dal dollaro e potrà nei prossimi decenni liberamente fluttuare, dando un peso maggiore alle riserve in euro: scopo di questa strategia è spostare l’accento della crescita cinese dal lato delle esportazioni al mercato interno, che già oggi conta circa 200 milioni di persone con standard e redditi occidentali.
Ciò provocherà un ulteriore accelerazione degli scambi Ue-Cina e Ue-Asia in generale, con il Mediterraneo che sarà il perno centrale di questi traffici.
Si calcola che i traffici marittimi, da e per l’Asia, si moltiplicheranno di circa il 250% da qui al 2020, uno scenario a cui il sistema portuale italiano non potrà far fronte perché molti scali avranno enormi problemi di saturazione, una situazione che obbligherà la dirigenza italiana a valorizzare tutti, gli scali presenti nel territorio.
Stante questo scenario, la previsione futura è che da qui al 2020 il 90% dei porti italiani si avvieranno alla saturazione completa: Gioia Tauro potrà movimentare circa 8-10 milioni di container, dai 3,3 attuali.
Solo dalla Cina sono previsti l’arrivo di circa 50 milioni di container.
Vi è inoltre un’altra considerazione da fare: politici ed opinionisti parlano unicamente delle importazioni dall’Asia, dimenticando spesso che il boom sarà anche dal lato delle esportazioni verso l’Asia, un quadro a cui i porti del Nord-Europa si stanno già preparando con investimenti colossali dell’ordine di decine di miliardi di euro, a cui si risponde nel nostro Paese con Finanziarie che bloccano gli investimenti nei porti italiani: una miopia frutto di un atavico provincialismo che determinerà nel prossimo decennio gravi problemi di competitività.
Già oggi contributo del trasporto marittimo all’economia italiana è chiaramente espresso da alcune cifre, già ben note tra gli addetti ai lavori:
- il 64% del commercio internazionale dell’Italia si svolge per nave,
- in totale, le merci trasportate per mare in Italia oltrepassano i 340 milioni di tonnellate e i passeggeri superano i 38 milioni e sono destinate a crescere di almeno il 50% nei prossimi decenni.
La navigazione risulta pertanto di gran lunga il sistema di trasporto prevalente per le importazioni e le esportazioni: il boom delle economie asiatiche triplicherà questi dati nel giro di qualche decennio.
In ogni caso, c’è spazio dunque per tutti gli scali nazionali, così come, diversamente da quanto affermato da diversi dirigenti calabresi anche negli ultimi anni, che puntano unicamente su Gioia Tauro e Corigliano, anche per il nostro scalo commerciale ed industriale.
Inoltre, l’infrastrutturazione portuale, se legata alle rotte marittime mediterranee, è un importantissimo fattore di localizzazione industriale e di investimenti, a motivo del quale riteniamo che i prossimi, si spera, insediamenti produttivi trovino una loro rispondenza con questo nuovo quadro internazionale, oltre che con la presenza di un importantissimo fattore di competitività terriotirale rappresentato dalla possibilità di offire energia a basso prezzo a seguito dell’accordo Comune di Crotone e Eni.
IL FATTORE CINA
E’ sul fronte asiatico, dal lato opposto della California, che il gigantismo industriale delle piattaforme logistiche si afferma nella sua più completa versione, divenendo il protagonista assoluto del nuovo panorama manifatturiero. È lì che lo stock di forza-lavoro dà la possibilità ai capitalisti di tutto il mondo di abbattere i costi di produzione.
È in Asia che prenderà corpo quel che vengono definiti Marittime Industrial Development Areas (MIDA), sede delle delocalizzazioni produttive di migliaia di multinazionali e che costituiscono le zone dove più si realizzano gli Investimenti Diretti Esteri (IDE), esplosi a partire dalla fine degli anni settanta. Diversi sono i vantaggi, dalla manodopera a buon mercato ai vantaggi fiscali, tramite accordi tra i governi dei “paesi emergenti” e le multinazionali. Questi ultimi sono attirati dall’Export Processing Zones (EPZ), vale a dire zone industriali franche dedite alla produzione per l’esportazione. In tal modo l’intera struttura porto, deposito franco, industrie attirava investimenti e diventava un fattore di internazionalizzazione della regione di appartenenza, nel mentre i porti storici dei paesi industriali più avanzati si trasformano in MIDA di ultima generazione specializzate in trasformazioni merci più vicine alla testa del ciclo del valore. Attrattori di simili investimenti internazionali furono inizialmente le aree portuali di Hong Kong, Singapore, Kaoshiung (Taiwan) e alcuni porti coreani e della Malesia. Ma nel giro di due decenni i protagonisti della rivoluzione portuale mondiale divennero essi stessi aree di provenienza ad alto tasso di investimenti diretti esteri nella nuova Eldorado del capitale, la Cina. Questi porti ebbero la caratteristica di avere governi dediti all’accumulazione del capitale nella sua veste di programmazione delle infrastrutture di base per lo sviluppo di dette Mida,. Singapore, Hong Kong e altre aree portuali industriali asiatiche divennero teste di ponte della delocalizzazione più recente nella Cina continentale, conservando al contempo i servizi a più alto valore aggiunto e ponendosi essi stessi alla testa del ciclo del valore, al pari di porti come Rotterdam o Long Beach. La seconda ondata di rivoluzione portuale nel giro di qualche decennio corrispose all’apoteosi dell’hausmanizzazione e allo sventramento delle città portuali cinesi e delle zone economiche speciali. I porti costituirono la punta dell’iceberg della penetrazione capitalistica nella Cina continentale.. La seconda fase dei porti asiatici corrisponde alla hueping jueqi (ascesa pacifica) cinese, secondo la dottrina di Sun-Tzu, in primo luogo come officina globale, in secondo luogo, tramite la politica di irradiamento, come centro propulsore delle dinamiche commerciali, finanziarie e monetarie internazionali, con proiezioni in Africa, Sud Est Asiatico e America Latina, ribaltando gli assetti dell’economia internazionale. Adottando la strategia di attrazione di risorse finanziarie nelle zone economiche speciali, la Cina applica la stessa strategia manifatturiera ed industriale dei porti asiatici di seconda generazione, quali Busan e Singapore. In circa vent’anni la Cina riceve oltre 400 miliardi di dollari di Ide, contribuendo, questa massa di afflusso di capitali, al 20% della produzione industriale e a circa il 50% dell’export cinese. La fabbrica del mondo incoraggia le operazioni internazionali di assemblaggio, esentando dai diritti doganali le merci importate destinate ad essere riesportate dopo la trasformazione industriale, una modalità di industrializzazione che potrebbe essere adottata nei prossimi decenni nel nostro territorio, stante la creazione della ZFU.. Shangai, Shenzen, Quingdao, Tjianin diventano in due decenni i nuovi avamposti planetari del capitale, con tassi di crescita annui dell’ordine del 30% annui. Il nuovo protagonismo degli scali portuali cinesi fa sì che le economie di scala ed il gigantismo dei vettori marittimi aumenti a dismisura, giacché le esportazioni cinesi nel mondo vengono trasportati per intero via container. L’entrata in scena dell’Impero di Mezzo sconvolge l’industria marittima a tal punto che si afferma il “fattore Cina”: la navi portacontainer che percorrono la tratta Cina-Europa o la rotta transpacifica operano a piena capacità, con fattori di carico prossimi al 100%.
È come se alla deflazione mondiale derivante dall’entrata in scena della nuova potenza asiatica corrisponda una possente reflazione dei “magazzini naviganti”, tale per cui le multinazionali dei trasporti marittimi rispondono alla crescente domanda con investimenti colossali; allo stock della forza-lavoro asiatica si affianca la costruzione di magazzini naviganti sempre più giganteschi, in modo che la sfera di estrazione del plusvalore vada in simbiosi totale, attraverso l’abbattimento dei tempi, alla sfera di circolazione.
. A sua volta, la potenza del processo in atto provoca invero una nuova ondata di ordinazioni di gigantesche navi portacontainers di otto-novemila teus, denominate super Post-Panamax, visto che sono troppo grandi per poter transitare dal Canale di Panama, ma adatte invece per il Canale di Suez. Attualmente le navi post-panamax sono 200 su un totale della flotta di circa 2900 navi, ma già si stanno progettando navi ancora più grandi capaci di contenere 12 mila teus.
Il nuovo quadro della divisione internazionale del lavoro ed il ruolo delle periferie fordiste della Cina continentale si rispecchiano nella graduatoria dei maggior porti del mondo: nel giro di un decennio i porti cinesi conquistano le primissime postazioni, spodestando porti storici quali Rotterdam (sebbene riferito al solo traffico container) e Busan. Il porto di Shanghai, infatti, ha movimentato nel corso del 2008 22 milioni di teus, schizzando al terso posto, dopo Hong Kong (24 milioni) e Singapore (23 milioni); Shenzhen, con una crescita del 22% si piazza al quarto posto con 18 milioni di teus, tenendo a distanza Busan (Corea del Sud, 11 milioni); Kaoshiung (Taiwan, 9,7 milioni), Rotterdam (8,2) e Long Beach (7,4)25. Nel totale, i porti della Cina continentale, inclusa Hong Kong, hanno movimentato nel 2008 qualcosa come 60 milioni di teus. Questi dati potrebbero impressionare i non addetti ai lavori, ma in confronto alle proiezioni future sono ancora ben poca cosa. Ecco come si esprime al riguardo Giuseppe Smeriglio, Presidente di Confetra (la Confindustria degli operatori dei trasporti e dell’intermodalità): “Nel 2015 la Cina e il far East disporranno del 50% della capacità produttiva mondiale e questo moltiplicherà almeno per 4 le esportazioni di manufatti verso l’occidente via mare e attraverso Suez. Questi traffici e il loro indotto hanno l’Italia e Genova come baricentro d’Europa”.
L’entrata del colosso cinese nel WTO nel 2001 ha fatto il resto. Si aprivano nuove strategie di commercio marittimo internazionale, con un forte impatto sugli investimenti diretti esteri delle multinazionali, giacché è ora la rotta marittima e gli approdi portuali, più di quanto accedesse prima, a rappresentare la conditio sine qua non delle localizzazioni industriali
Continua Smeriglio: “non è esagerato dire che tra 10 anni il trasporto e la logistica potranno valere dal 15 al 20% del nostro PIL se si faranno le scelte giuste e strategiche. Per questi motivi occorrerà che il nostro paese si dia una politica industriale del settore per non avere imprese deboli in un territorio leader”. Le richieste degli industriali sono la Genova-Rotterdam (Corridoio 1), la Torino-Lione (Corridoio 5), la Brescia-Bergamo-Milano, il completamento della Salerno Reggio-Calabria, un investimento massiccio nei porti contenitori (la maggior parte localizzati nel Mezzogiorno), varie tangenziali in città del centro-nord e il varo delle autostrade del mare. Gran parte di queste opere sono al momento nei libri dei sogni, in compenso partirà a breve la gara per la progettazione del Ponte dello Stretto di Messina, l’opera più inutile e disastrosa per lo stesso sistema portuale del tirreno, visto che impedirà alla navi super post-panamax (altezza media 75 metri) di poter passare dal ponte, alto 65 metri. Resta il fatto che giustamente Smeriglio è dell’avviso che, in tema di logistica, l’Italia presenta tutte le condizioni per essere un “territorio leader”; i primi ad accorgersene sono stati i grandi colossi dei trasporti containerizzati, sbarcati in massa alla fine degli anni novanta.
Nell’ottobre del 1999 il colosso tedesco Eurokai-Eurogate, proprietario del porto d’Amburgo e azionista dei porti di Bremenhaven e Anversa, acquisiva l’italiana Contship, proprietaria dei terminal transhipment di La Spezia e Gioia Tauro. Negli stessi mesi la taiwanese Evergreen rilevava un terminal a Taranto e l’australiana P&O Ports progettava la costituzione di un terminal a Cagliari. Inoltre, tra la fine degli anni ‘80 e la metà degli anni ‘90, vari terminal dei più importanti porti commerciali d’Italia (Genova, Livorno, Trieste, Napoli ecc.) venivano acquisiti dai colossi mondiali del settore (Psa, Maersk, Sea) nel mentre negli ultimi anni Contship-Eurogate rilevava i terminals di Trieste, Livorno, Genova, Ravenna e Civitavecchia, ecc.).
I FATTORI INTERNAZIONALI E I LORO EFFETTI SULL’AREA-SISTEMA
Il cambiamento intervenuto nella geografia economica internazionale con l’entrata in scena di nuovi competitors, insieme ad altri avvenimenti, di ordine economico e politico, quale l’allargamento dell’Unione Europea, si configura, ormai – più di quanto sia stato al momento percepito – come l’apertura di una vera e propria nuova “fase storica”, con un profondo mutamento delle condizioni di sviluppo, soprattutto per le aree deboli come il nostro territorio.
Le tendenze a lungo termine dello sviluppo territoriale sono condizionate in larga misura da tre fattori:
- la progressiva integrazione economica ed il corrispondente intensificarsi della cooperazione tra gli Stati membri;
- il ruolo crescente delle autorità regionali e locali e la loro funzione rispetto allo sviluppo del territorio;
- le prospettive di allargamento dell’Unione e lo sviluppo delle relazioni con i paesi vicini, in particolar modo con la Sponda Sud del Mediterraneo.
In questa nuova situazione l’apparato produttivo del Mezzogiorno, ma non solo.., appare destinato ad incontrare difficoltà crescenti. Sono difficoltà dovute ad una specializzazione produttiva spostata verso settori tradizionali – più esposta alla concorrenza dei paesi emergenti – e ad una relativamente modesta dimensione media delle imprese del territorio, che comporta enormi difficoltà nell’affrontare i costi iniziali di penetrazione commerciale nei mercati esteri.
Esiste, dunque, una forte correlazione tra dimensione media delle imprese e scarsa internazionalizzazione delle medesime.
In effetti centri di ricerca prestigiosi quali l’Ufficio Studi della Banca d’Italia e la Svimez ritengono che buona parte della performance negativa riscontrata nell’export meridionale sia da ricondurre ad una certa fragilità del processo di internazionalizzazione dell’economia meridionale e calabrese in particolare, basato su unità produttive di piccolissime dimensioni che tendono ad entrare e ad uscire dai mercati in funzione di variazioni del ciclo e dei prezzi, evidenziando la difficoltà delle imprese a radicarsi sui mercati e a resistere alle avversità congiunturali.
L’entrata in scena dei nuovi paesi dell’Est complica un quadro di per sé fragile.
Lo scenario europeo provoca scossoni e prospettive difficili per il nostro territorio, ma anche grandi opportunità.
In effetti, l’ingresso massiccio di nuovi Stati nazionali a basso reddito, diretti concorrenti delle regioni Obiettivo 1 del nostro paese, comporta un rilevante mutamento di prospettiva: con le regole attuali si prospetta dal 2013 una diminuzione delle risorse comunitarie a disposizioni delle regioni meridionali, aumenta il grado di concorrenza tra le macro-regioni europee, divengono più frequenti i processi di delocalizzazione delle imprese verso le aree a più basso costo del lavoro.
Simile scenario dovrà impegnare nel futuro quanti lavorano per l’insediamento di nuove industriale nel nostro territorio, avendo ben presenti che produzioni a basso valore aggiunto non avranno sbocchi di mercato, per la diretta concorrenza di paesi new comers.
Tuttavia, la “Grande Europa” che si sta costruendo costituisce un fattore di potenziale cambiamento che può interessare il nostro territorio.
In primo luogo perché le opportunità di sviluppo di un’area in cui vi sono ampie risorse inutilizzate divengono maggiori all’interno di una grande mercato di 450 milioni di cittadini, terzo mercato del mondo dopo Cina e India.
Vi saranno, quindi, maggiori possibilità di sbocco per le imprese dell’Area-Sistema crotonese, così come maggiore sarà la domanda potenziale per il turismo.
In questo senso la sfida per il futuro sarà quella di “europeizzare l’Area-Sistema”, renderlo cioè attore e partecipe della grande sfida dell’integrazione, farne parte integrante delle dinamiche produttive in atto tra le diverse regioni, renderla un’area capace di contribuire alla crescita del paese sui mercati internazionali.
Questo quadro internazionale ha effetti sul nostro territorio, tale per cui si può senz’altro sostenere che la competitività di un sistema produttivo come il nostro non dipende solo dalle politiche messe in atto a livello locale, poiché essa è influenzata in maniera molto forte, e forse decisiva, da politiche nazionali e sovranazionali, che talvolta non hanno alcuna apparente relazione né con il territorio né con sedi di decisione locale.
Da questo punto di vista è un’illusione pensare che lo sviluppo locale possa venire solo da azioni locali, da “micropoliche territoriali”.
In effetti, uno dei più importanti casi in cui politiche non territoriali stanno avendo effetti territoriali molto rilevanti è l’introduzione dell’euro, che provoca una caduta dei costi di transizione e quindi di commercio fra le regioni europee, favorendo la loro integrazione commerciale che determina, a sua volta, fenomeni di specializzazione produttiva molto intensi.
Infine, la moneta unica rende impossibili le svalutazioni competitive, operando con una valuta forte sul piano internazionale, che costringe gli agenti economici a competere nel mercato mondiale non già sul fattore prezzo, ma su fattori intangibili quali il contenuto tecnologico e il grado di innovazione del prodotto e dei processi produttivi.
Ciò porta alla risultanza che vi debba essere un approccio culturale degli apparati pubblici e privati del territorio rispondenti alla sfida della modernizzazione del continente europeo.
Bisogna infatti tener fermamente presente come lo sviluppo dei rapporti euro-mediterranei costituisca, per il nostro territorio, l’opportunità per riacquistare una nuova centralità geografica. Vi sono, cioè, spazi economici per configuare l’Area-Sistema come un ponte dell’Unione Europea verso la sponda Sud e Sud-Est del Mediterraneo, che può divenire un “interlocutore privilegiato” di un grande nuovo mercato.
Un’occasione che non deve essere mancata e che impone un radicale mutamento: culturale, istituzionale, economico.
Dopo l’allargamento ad Est l’Unione Europea concentrerà l’attenzione sul rapporto strategico con la Sponda Sud del Mediterraneo.
L’obiettivo è la creazione di un’area di libero scambio nel bacino del Mediterraneo entro il 2010. L’accordo prevede il libero scambio di beni industriali tra UE e paesi mediterranei non-membri, l’accesso reciproco e preferenziale per i prodotti agricoli – che avrà forti ripercussioni sull’apparato agricolo provinciale, il libero scambio tra gli stessi paesi mediterranei non-membri.
Essa costituirà la più vasta zona di libero scambio del mondo, con una popolazione di 600-800 milioni di persone e circa 40 stati.
Il blocco mediterraneo dei paesi dell’Ue, dopo l’allargamento, si estende ancora più a sud (Malta e Cipro), offrendo all’Ue una prospettiva di aggancio più diretto con i paesi della sponda meridionale e promuovendo un ruolo più visibile dell’Unione nello sviluppo economico, politico e sociale dell’intera area del Mediterraneo.
Sullo sfondo del processo di Barcellona, percorso iniziato anni fa e che deve portare alla creazione di uno spazio economico integrato euromediterraneo, si stanno già realizzando una serie di percorsi di liberalizzazione degli scambi che avranno effetti sul mercato nazionale.
Ma la partnership euro-mediterranea offre straordinari vantaggi per il nostro territorio.
All’Euromed di Palermo del 2007 si è deciso di aprire sempre più agli scambi e alle lavorazioni industriali dei paesi della Sponda Sud.
Si è approvata, infatti, la regola del cumulo paneuropeo, un accordo-quadro che permette alle merci di circolare e di essere lavorate nell’Europa dei 25 e nel bacino del Mediterraneo a condizioni agevolate.
Si assiste, in tal modo, ad una nuova e straordinaria divisione internazionale del lavoro che presenta enormi vantaggi per il nostro territorio, non fosse altro per la posizione geo-economica, che potrebbe innescare politiche di attrattività degli investimenti extra-regionali, se non extra-nazionali di un certo peso.
La possibilità di incunearsi nelle pieghe della divisione internazionale del lavoro e delle dinamiche della nuova fase di mondializzazione dei mercati sarà, dunque, l’arma vincente capace di dare un nuovo assetto produttivo all’area-sistema del crotonese per il XXI° secolo.
Per il futuro l’approccio dell’Ue verso i paesi sud del Mediterraneo sarà finalizzato a consolidare e rafforzare la partnership economica, mediante politiche che rafforzino i legami economici tra le due sponde del Mediterraneo.
In termini di investimenti economici, ciò significa maggiori collegamenti commerciali, joint ventures, sviluppo comune di collegamenti infrastrutturali ( si pensi al ruolo che potrebbero avere il porto e l’aeroporto..).
La finalità, infatti, sarà quella di sostenere l’interconnessione infrastrutturale tra i partner mediterranei e tra questi ultimi e l’Ue, nel quadro delle reti transeuroppe nei settori dei trasporti, dell’energia – e qui ha una validità strategica la centrale a turbogas di Scandale e i presidi di biomasse – e delle telecomunicazioni.
In questo senso la chance del nostro territorio sarà legata alla trasformazione della frontiera meridionale dell’Ue da area “debole” del Mercato Unico europeo in regione centrale alternativa, ponte di scambi commerciali con il Mediterraneo e l’Estremo Oriente e in grado di competere con l’asse nordico, rappresentato dalla macro-regione Milano-Berlino-Parigi-Londra.
I presupposti storici ci sono tutti, compito della classe dirigente locale è coglierli in tempo, ragionando secondo parametri sistemici e con una strategia di medio-lungo periodo.
Basti dire che le prospettive di aumento della popolazione nei 12 partner mediterranei (+ 50% entro il 2025, secondo stime Ue) e di sviluppo degli scambi fanno ipotizzare per il prossimo decennio un sensibile incremento della mobilità, della domanda di trasporti e del consumo di energia.
Sul fronte dei trasporti navali, oltre l’80% del trasporto merci fra l’Ue e i partner mediterranei si effettuano via mare.
Ecco perché i trasporti costituiscono una delle principale priorità del settore economico e finanziario del partenariato euro-mediterraneo, stabilendo nella Dichiarazione di Barcellona del 1995 la promozione di una rete transmediterranea di trasporto multimodale.
L’approccio sistemico della politica economica provinciale deve partire da questi scenari internazionali, ritrovare un’identità industriale e commerciale cogliendo al volo le chances provenienti dagli straordinari mutamenti internazionali intervenuti in questi decenni.
La realizzazione di simili obiettivi rimane necessariamente legata al perseguimento, ed al rafforzamento, del processo di industrializzazione del territorio provinciale, con una decisa politica di sostegno all’offerta, allo sviluppo e agli investimenti.
Decisive saranno al riguardo le politiche relative ai fattori di contesto, volte ad accrescere le economie esterne e la produttività, attraverso interventi per il miglioramento e il potenziamento della gestione delle infrastrutture, dei servizi, dell’efficienza delle strutture pubbliche, del livello della sicurezza, dell’accessibilità delle risorse naturali e culturali e dello sviluppo del capitale umano.
LA STRATEGIA TALASSOCRATICA NELL’AREA SISTEMA CROTONESE
Circa la strategia talassocratica, che ha come perno l’infrastrutturazione del porto turistico e commerciale, è bene sottolineare, circa il primo punto, che il turismo nautico sarà nei prossimi decenni uno dei motori della crescita turistica del Paese, in particolare del Mezzogiorno.
Alcuni dati danno l’idea dello scenario futuro.
La nautica da diporto rappresenta una risorsa sfruttata sinora in modo molto limitato dall’Italia, mentre si inserisce a pieno titolo in quella “industria del tempo libero” che costituisce uno dei più promettenti filoni di sviluppo economico nelle moderne società industriali, alimentato dal crescere della quantità di risorse e di tempo mediamente destinata dai singoli alle attività ricreative e sportive.
Il turismo nautico ha un giro di affari di circa 6 miliardi di euro, di cui 4 nell’indotto turistico inteso come attività direttamente collegate, pari a circa 70 mila unità di lavoro.
Per ogni euro investito in questo settore, vi è un moltiplicatore della produzione pari a 6,5 mentre l’effetto occupazionale ha un moltiplicatore pari a 9,5.
La barca costituisce infatti il punto di partenza di tutta una serie di attività che le ruotano intorno.
Su 8,600 chilometri di costa i posti barca complessivi in Italia sono 125 mila, con un rapporto posti-barca/km di 18/1.
Per avere un’idea delle potenzialità basti dire che in Francia, che ha 5500 km di costa, vi sono ben 223 mila posti barca (di cui 120 mila solo nei 200 km della Costa Azzurra), con un rapporto di 53 a 1, vale a dire 200% in più; il rapporto posti barca per popolazione presenta un indice di 1 su 269 in Francia, mente nel nostro Paese è di 1 a 464.
Inoltre il trend di crescita della produzione industriale nautica, di cui l’Italia è tra i leader mondiale con aziende del calibro quali Azimut-Benetti, Perini, Rodriguez-Yacths, Gruppo Feretti ecc., spinge inevitabilmente ad una maggiore diffusione delle attività nautiche e ad un inevitabile moltiplicarsi di richieste di posti barca e approcci portuali per scopi prettamente turistici, in particolare per i mega-yacht.
La nostra industria nautica è la terza al mondo, secondo i più recenti dati internazionali disponibili, dopo Usa e Gran Bretagna.
Siamo consapevoli che la sfida per il futuro del settore è la crescita del mercato interno e lo sviluppo del turismo nautico in Italia.
In una ricerca commissionata da UCINA (Associazione dell’industria nautica italiana), il CENSIS ha indicato che l’Italia, se vuole rendersi competitiva con gli altri europei in termini di offerta di turismo nautico, deve avere una disponibilità di 200.000 posti barca entro il 2010 (ciò significa 75.000 posti barca in più).
Il CENSIS ha potuto stimare le ricadute economiche ed occupazionali di tale sviluppo: a fronte di un investimento di 2,5 miliardi di euro in 12 anni, l’indotto per l’economia italiana ammorterebbe a circa 60 miliardi di euro, tenendo conto sia della fase di cantieristica, della crescita di nuove imbarcazioni e dell’aumento dell’indotto derivante dai consumi turistici.
Complessivamente le unità di lavoro indotte corrisponderebbero a circa 900.000 nell’intero periodo con una media di 74.100 unità di lavoro all’anno.
A regime, ovvero a partire dal 2010, i posti di lavori creati dalla crescita del sistema sarebbero oltre 48.000.
Non si pensi che il turismo nautico siano una nicchia di mercato di natura elitaria: nei prossimi decenni si vedrà come, al pari di altri paesi europei, ci sarà una profonda trasformazione della domanda verso forme con caratteristiche tipiche di turismo di massa.
Cos’ come nello scambio delle merci, anche nel turismo nautico ci sarà spazio nei prossimi decenni per tutti, dacché la domanda di posti barca, specie quelle di maggiori dimensioni, sarà enormemente maggiore rispetto all’offerta.
Da qui la possibilità che Crotone possa diventare un vero e proprio distretto nautico, con servizi e attività industriali, turistiche ed artigianali strettamente legate alla diportistica nautica, il tutto agganciato all’infrastruttura aeroportuale, che dovrà essere capace di “intercettare” questa domanda di trasporto.
Circa l’impatto del turismo nautico in un’economia locale, è poi utile specificare che gli accosti e il numero medio di approdi trasformano un territorio marino con una domanda aggiuntiva di beni e servizi, di grande impatto sul territorio e sull’ambiente.
In effetti il Sistema del Turismo Nautico ha due valenze economica, intrecciate tra loro:
- il sistema del diporto nautico, vale a dire la produzione delle imbarcazioni – su cui il nostro territorio può offrire l’esperienza della Catarsi Marine – e i servizi necessari all’esercizio della manutenzione, su cui si può costruire una filiera produttiva legata al turismo nautico:
- il sistema del turismo nautico, che comprende l’insieme di attività per l’offerta di accoglienza, informazione e assistenza all’utenza, centrato sull’escursionismo nautico.
Se questo è lo scenario, il nostro porto turistico sconta l’inadeguatezza della dotazione infrastrutturale – non solo quella dedicata alla vera e propria navigazione diportistica, ma a che a quella legata al business commerciale – che impedisce allo scalo crotonese di essere all’altezza dei tempi e della domanda che in questi anni è esplosa; all’insufficienza quantitativa dei posti barca, specie per le imbarcazioni di dimensioni maggiori- disponibili, all’inesistenza dei servizi offerti – sia all’interno che al di fuori dell’area portuale . ai turisti del mare.
Si tratta dunque di fare un salto culturale di modo che si costruiscano nessi e sinergie tra la nautica da diporto con le bellezze ambientali, paesaggistiche e archeologiche presenti nel nostro territorio.
Accanto a questa infrastrutturazione di base di servizi legati all’economia del mare, nel futuro si dovrà pensare alla costituzione di un Polo formativo dell’Economia del Mare.
Il Polo, mediante l’integrazione in un sistema unico delle varie componenti del mondo della ricerca e dell’innovazione rappresentati dal Distretto Tecnologico, dallo sviluppo dell’Area Marina Protetta con annesso Centro di Ricerca di Biologia Marina, dal mondo della Scuola – pensiamo al riguardo ad un forte potenziamento della Scuola Nautica- dal finanziamento di Master specialistici, e dal mondo delle imprese marittime, dovrebbe costituire il potenziamento dell’offerta di lavoro in vista del boom dei traffici marittimi e del turismo nautico che interesserà nei prossimi decenni il Mediterraneo e le nostre coste .
Scopo del Polo è quello di realizzare un sistema integrato che affronti le esigenze del mondo dell’economia del mare mediante lo sviluppo di linee formative che consentano ai giovani di acquisire una specializzazione di alto profilo e di trovare una collocazione adeguata nel mondo del lavoro. Le aree di intervento saranno quelle della cantieristica navale, dei servizi portuali legati al turismo nautico e del trasporto marittimo.
Il sistema nautico integrato dovrà consolidarsi attorno alla cantieristica mediante la creazione di un distretto a servizio della nautica, con servizi high-tech in grado di ampliare l’offerta turistica alla clientela.
E’ necessario inoltre, partendo dallo sviluppo della ricettività del turismo nautico in sinergia con le potenzialità dell’aeroporto – mediante un intermodalità porto-aeroporto -, puntare al rilancio del territorio attraverso una strategia marittima, dotando lo scalo crotonese di posti barca adeguati per la nautica da diporto e realizzando, oltre alle indispensabili strutture per scafi da turismo al loro interno, collegamenti con i siti ambientali, archeologici e culturali delle aree circostanti, in maniera tale da offrire ai dipartisti un servizio di accoglienza integrato e capace di catturare il flusso del turismo nautico di massa.
La linea strategica che verrà avviata dovrà dunque basarsi sulla capacità di attrazione turistica con una politica dell’offerta turistica. Si tratta di riposizionare strategicamente i turismi futuri: turismo culturale, turismo ambientale e turismo nautico.
L’ambizione è quella di lavorare, nei prossimi anni, per rafforzare i legami, secondo una logica di connessione via mare con il sud est del mediterraneo, in particolare con la Grecia.
Consideriamo prioritario questo collegamento marittimo alla luce del fatto che la Grecia sta programmando ed attuando la Via Egnatia – l’antica via romana che arrivava a Costantinopoli – , un corridoio alternativo e parallelo al corridoio VIII che, partendo proprio da Igumenitsa, arriva al confine turco e da lì, dal porto di Istanbul, penetra nelle repubbliche asiatiche, strategiche nel futuro per l’approvvigionamento energetico dell’Europa occidentale.
Sarebbe una via di penetrazione commerciale che abbraccerebbe lo stato turco, tra pochi decenni sarà il più popoloso dei paesi rivieraschi e con tassi di crescita che negli ultimi anni presentano performance asiatiche.
Non solo, la Via Egnatia si intersecherebbe con i corridoi balcanici che arrivano nel cuore della Mittleuropa fino al Baltico e a S.Pietroburgo.
Non è esagerato, dunque, sostenere che, con opportuni quanto necessari investimenti, il territorio crotonese potrebbe ritrovarsi ad essere un crocevia di molteplici corridoio transcontinentali, al centro del Mediterraneo, la porta dell’Europa, tramite il canale di Suez, dell’immenso e sterminato continente asiatico.
L’avvio di questo nuovo processo di pianificazione strategica per il Mediterraneo si inserisce nel quadro offerto dalle nuove opportunità economiche di sviluppo dell’intera area, attraverso la gestione e nel controllo dei flussi di merci e delle persone lungo i corridoi paneuropei e i nodi di scambio.
Infatti la nuova autostrada del mare della via Egnatia, oltre a rappresentare un sistema di collegamento veloce Ovest-Est, tra la Turchia e l’Italia, rappresenta il crocevia di ben tre corridoi paneuropei: il corridoio IV (Berlino – Istanbul), il corridoio IX (Helsinki – Alessandropoli) e il corridoio X (Monaco – Salonicco).
La trasversale Egnatia e la possibile connessione tra il porto di Crotone e i porti di Igumenitsa e Astakos potranno costruire una alternativa di itinerario al corridoio VIII nelle strategie di penetrazione commerciale nell’est Europa e da lì nelle repubbliche centro-asiatiche.
Ancora una volta, come alcuni millenni, fa la simbiosi tra la strategia talassocratica e la potenza commerciale trova un suo riscontro nelle dinamiche geo-economiche del Mediterraneo.
Sta a noi invece invertire la rotta per programmare la geo-comunità crotonese alla luce dei cambiamenti epocali in corso.
Esso potrà avvenire attraverso una strategia volta a far assurgere Crotone e la sua provincia a crocevia dei corridoi paneuropei, un luogo adatto per gli scambi mercantili, le lavorazioni delle merci per il loro export e il turismo nautico.
SCENARIO INTERNAZIONALE E I SUOI EFFETTI SULL’AREA SISTEMA: L’ARMATURA INFRASTRUTTURALE
Delineato il quadro internazionale, la prima opzione strategica è quella di affrontare la questione delle infrastrutture, tematizzandola con la caratteristica di diffusione e di articolazione del tessuto produttivo e con la necessità di razionalizzare le connessioni.
Il disegno infrastrutturale dovrà essere inteso come elemento competitivo del sistema territoriale, avendo come riferimento le esigenze ambientali in una logica di sostenibilità.
Il punto essenziale di tale strategia è lo sviluppo della logistica portuale, porta di accesso agli scambi internazionali con il bacino del Mediterraneo.
Si tratta in sostanza di attuare una linea operativa di natura amministrativa e politica finalizzata costruire un polo logistico a ridosso del sistema portuale ed aeroportuale e, al contempo, avviare una politica di attrattività degli investimenti produttivi centrata sulla filosofia economica “mare-mare e “aereo-mare”.
Trasporti e logistica sono risorse del territorio e fattori di competitività tra aree economiche.
Una maggiore dotazione e funaizonalità infrastrutturale accresce la produttività dei fattori di produzione, abbattendo i costi di acquisizione e definendo economie esterne positive per lo sviluppo e la competitività dell’Area-Sistema.
Le decisioni prese a livello nazionale e regionale circa i finanziamenti pubblici alla S.S. 106 e alla ferrovia ionica hanno compromesso per buona parte del prossimo decennio la possibilità di sfruttare le direttrici terrestri.
Alla luce di queste scelte politiche si tratta di accelerare i tempi per bypassare le impasse infrastrutturali terrestre per concentrarsi unicamente sulle vie del mare e su quelle aeree, sebbene la linea ferroviaria sottoutilizzata potrebbe essere sfruttata maggiormente, anche avendo un binario unico, il che permette di far transitare 80 treni al giorno, così come risulta dal Pon Trasporti 2000-2006.
La filosofia di fondo che sottointende la direttrice marittima è la seguente: il livello qualitativo di risorse distributive di cui un area-sistema dispone può incidere sul suo grado di dipendenza da servizi forniti da infrastrutture ed operatori esterni, influendo sui costi (si pensi a quello dei trasporti) e sulle modalità di trasferimento delle merci in ambito internazionale.
In collegamento con l’infrastruttura portuale si potrebbe ipotizzare la costruzione di una piattaforma logistica integrata, in raccordo con l’Aeroporto S.Anna, dove gli operatori si occupano delle attività di trasporto, di logistica, di distribuzione dei beni per transiti internazionali.
Con il termine “piattaforma logistica” s’intendono, in generale, quelle infrastrutture che possono essere dedicate a specifiche merceologie e che, quindi, si specializzano sulle esigenze di particolari catene logistiche.
Le filiere che maggiormente possono avvantaggiarsi di tale tipologia di impianti sono quelle delle rinfuse, come Taranto, delle auto, come Salerno e Termini Imerese, e delle merci deperibili in generali, per i quali si possono costruire filiere logistiche aeroportuali.
Di solito le piattaforme logistiche sono situate a 20-30 km dai centri urbani, sono dotate di un raccordo ferroviario o adiacenti ad un centro intermodale (centro smistamento merci) e sono in grado di gestire anche 2000 tonnellate/giorno in entrata ed altrettanto in uscita.
Per questi motivi occorre che il territorio sia chiamato a “fare sistema” ed a svolgere una funzione strategica di guida e di supporto allo sviluppo logistico, in particolare attraverso azioni di marketing territoriale volte a favorire l’insediamento di soggetti, nazionali ed esteri, legati alla creazione di piattaforme di logistica integrata che abbia un raggio d’azione nell’intero bacino mediterraneo e con “reti lunghe” fino al centro manifatturiero mondiale costituito dall’area asiatica.
Il ruolo della piattaforma, atteso i nessi aero-marittimi e, non ultimo, ferroviari, è quello di giocare un ruolo di ponte tra la produzione vera e propria, un magazzino centrale e i punti di consegna su scala continenatale, sfruttando la possibilità dell’infrastruttura aeroportuale.
Per la realizzazione di una piattaforma occorrono, a grandi linee, superfici a disposizioni, urbanisticamente idonee e di facile accessibilità ferroviaria e stradale.
Questa caratteristica è ben presente nelle aree dismesse oggetto di futura bonifica e di altre aree industriali che si svilupperanno tra Crotone e Scandale, poiché saranno da prevedere aree di ulteriore espansione della piattaforma ed aree da destinare ad insediamenti industriali in funzione della domanda di servizi alla produzione e al trasporto.
Ad essi si affiancherà un’area a ridosso del porto industriale dotata di strutture idonee per immagazzinare, lavorare e ridistribuire le diverse merci, fungendo da elemento di interscambio fra diverse modalità di trasporto e da anello di congiunzione fra industria e servizi, sulla scia degli esempi dei porti asiatici e dello stesso porto di Rotterdam.
La logica che sottoindende quel che vengono definiti districtpark e che portano all’insediamento di nuove attività produttive è quella di manipolare e trasformare materie prime arrivate via container (via nave), per poi trasferire i prodotti risultanti da tali lavorazioni ad altri operatori industriali o ai mercati finali del Mediterraneo e dell’Europa continentale, per via nave, ferroviaria e via aerea.
La strategia via mare presenta in ogni caso minori costi e soprattutto minori diseconomie esterne, consentendo di sfruttare la posizione strategica dell’Area-Sistema del crotonese nei traffici su vasta scala che si svolgono nel mediterraneo.
Lo sviluppo della linea ferroviaria del trasporto merci potrà invece avere un ruolo essenziale per la competitività del porto industriale, atteso che presenterà vantaggi, rispetto ai concorrenti mediterranei e del nord-Europa, perché capace di accrescerne la penetrazione sui mercati del centro e dell’Est-Europa e di cogliere le opportunità offerte dai traffici di transito nel bacino mediterraneo, da e per i porti di transhipment quali quelli di Gioia Tauro e di Taranto.
Inoltre, aree di logistica portuale in collegamento con la linea ferroviaria e con il trasporto merci per via aerea sono altresì destinate anche a favore delle imprese e dei settori produttivi, sia locali che esterni all’Area-Sistema, che manifestano esigenze specifiche nella riprogettazione dei propri sistemi produttivi e distributivi.
Si pensi, sul fronte locale, allo sviluppo delle spedizioni per imprese di particolari settori quali caseifici, lavorazione di carne, pesce, generi alimentari e prodotti agricoli, tutti settori che potrebbero aver bisogno di magazzini specializzati (refrigerati o per stagionatura) all’interno delle strutture logistiche a ridosso dell’aeroporto.
La combinazione di porto, aeroporto, linea ferroviaria e aree attrezzate alla logistica delle merci rappresenterebbe quindi una nuova soluzione vincente alla quale le istituzioni locali dovrebbero adeguarsi con rapidità, dotandosi di strumenti specifici di marketing territoriale che consentano di attrarre investimenti produttivi finalizzati ad una piattaforma che abbia come raggio d’azione il fronte sud del Mediterraneo, i Balcani ed il centro-nord Europa, evitando la dispersione delle risorse e promuovendo la nostra rete portuale, interportuale ed aeroportuale.
Fondamentale in questo processo di sviluppo territoriale sarà la creazione di un Centro Servizi Logistici Territoriali (CSLT), in grado di offrire consulenza (formativa ed operativa) ad alto valore aggiunto e gestiti prevalentemente da Enti Locali, Università, Società Aeroportuale, Industriali ed Istituti di Credito.
Ciò nell’ambito di quel che il Piano Generale dei Trasporti identifica come una delle strategie più importanti, vale a dire la definizione, in sede regionale, di “aree a vocazione logistica” all’interno dei PRT (Piani Regionali dei Trasporti).
Ma strutturare l’Area-Sistema in funzione di queste finalità pone la necessità di ragionare in termini di nessi infrastrutturali dell’Area stessa.
È da sottolineare che gli assi ed i nodi del trasporto del nostro territorio, aldilà di rimarcati gap quantitativi e qualitativi, scontino l’assenza di un sistema integrato ed articolato di “rete”, assenza che diventa un paradosso visto che il settore ha di per sé la funzione elettiva di realizzare connessioni.
I legami, le connessioni e le interazioni sono infatti i nodi cruciali per affermare l’esistenza di un sistema a rete che, tra l’altro, per essere considerato efficace deve avere caratteristiche di dinamicità.
Si pensi, ad esempio, alle reti di trasporto commerciale ed all’incidenza che la loro efficienza gioca sul contenimento dei costi aziendali e sulla possibilità delle imprese di utilizzare processi produttivi secondo un modello organizzativo just in time.
A nostro avviso la politica di sviluppo del territorio passa senza dubbio attraverso un adeguato sistema integrato di comunicazione, incentrato sui nessi aero-marittimi.
Componenti essenziali e prioritari del modello precedentemente indicato sono a nostro avviso da individuare nei tre sottoindicati sistemi :
- il sistema aeroportuale
- il sistema portuale
- il sistema dei porti turistici.
Il sistema portuale può esser raccordato con il sistema ferroviario, atteso che il grado di utilizzo della strada ferrata è notevolmente sotto-dimensionato.
Circa la linea strategica da attuare nell’ambito del sistema portuale commerciale e industriale essa può essere identificata con i seguenti flussi di traffico:
- traffici estero/estero, alimentati dai Paesi dell’Europa Continentale, dall’Estremo Oriente e dal bacino mediterraneo. Ciò presuppone una finalità industriale centrata sulla trasformazione di semilavorati e sulla lavorazione di merci mediante la creazione della suddetta Piattaforma Logistica;
- traffici Italia/Estero, funzionali alla ridislocazione dell’economia nazionale nel contesto del mercato mondiale. In questo caso si attuerebbe un riposizionamento del contesto Area-Sistema crotonese nella stessa misura in cui ciò si verificò nel corso degli anni Venti del secolo scorso. Fondamentale al riguardo sarà la capacità di attrarre investimenti diretti esteri di medie imprese, e se possibile, multinazionali che si posizionerebbero in un contesto centrale tra i flussi mercantili asiatico-europei-mediterranei.
In questo senso la valenza di un porto industriale e commerciale dipende dalla capacità delle amministrazioni pubbliche e da operatori privati di alimentare traffici con “effetto a rete” (raccolta/distribuzione delle merci all’interno di vasti bacini di traffico mediante trasporti ferroviari e di cabotaggio marittimo – impossibilitati, però, ad utilizzare i trasporti terrestri su gomma), così come detta valenza dipende dalla capacità di alimentare traffici “ad elevato valore aggiunto”, in grado cioè di innescare intensi processi di crescita economica ed occupazionale entro l’Area-Sistema.
Nell’ambito di questa strategia, il sistema portuale dell’Area-Sistema dovrà avere le seguenti caratteristiche:
- rilevante entità dei traffici ad elevato valore aggiunto;
- elevato grado di specializzazione di tipologie di merci;
- elevata entità del traffico combinato, alternativo al trasporto “tutto strada”.
La necessità di “intercettare” traffici ad elevato valore aggiunto nasce dalla consapevolezza che l’Area-Sistema di Crotone, così come l’intero Mezzogiorno, ha le caratteristiche per attrarre non tanto attività a basso valore aggiunto, che richiedono quelle condizioni garantite dai Paesi dell’Est e della sponda Sud del Mediterraneo, quanto piuttosto imprese innovative ed avanzate che hanno bisogno di manodopera specializzata e infrastrutture di sistema adeguate ad una produzione ad alto profilo.
Ed è su questi fronti che maggiormente in futuro si dovrà incidere.
Inoltre è da osservare che il sistema produttivo del Nord-Italia, in specifico i distretti industriali, non cerca nicchie di innovazione ed eccellenza, per i quali vi è un forte handicap di sistema-Paese, bensì si limita ad ottimizzare processi produttivi tradizionali, attraverso il trasferimento delle attività in paesi a minor costo di lavoro, un ambito nel quale il Mezzogiorno sarebbe sempre perdente.
Ciò significa che il sistema del Nord non sta evolvendo verso forme di organizzazione favorevoli alla delocalizzazione nel Mezzogiorno e, dunque, l’Area-Sistema crotonese, dovrebbe qualificarsi nell’obiettivo di attrarre investimenti innovativi e ad alto valore aggiunto, nazionali ed esteri.
Da qui la qualificazione del territorio provinciale intorno al sistema portuale, asse centrale di una nuova politica industriale territoriale per i prossimi decenni.
Accanto ad esso si dovranno qualificare i nodi e la rete costituiti dalla ferrovia e dal sistema aeroportuale, strutture portanti della dimensione internazionale dell’Area-Sistema.
PER LA COSTRUZIONE DI UN AIR LOGISTIC CENTERE
Le dinamiche del traffico aereo verranno condizionate in futuro dall’aumento di mobilità generato dal settore turistico, oltre che dal settore business, e da una consistente crescita del traffico merci, dovuta all’esteriorizzazione delle filiere produttive, dal boom del commercio mondiale (con una media di 7% annuo nell’ultimo decennio) e all’incremento della produzione delle merci a basso peso ed a alto valore aggiunto (si pensi al settore elettronico).
Secondo stime Iata – l’associazione delle compagnie di bandiera e low cost – si prevede un tasso di crescita annua de trasporto passeggeri da qui al 2021 del 5,3%, mentre per quanto riguarda il trasporto merci si prevede il raddoppio entro il 2010 e il triplicamento entro il 2017.
Dal che si evince che il traffico merci si rivela assai più dinamico di quello passeggeri e più sensibile ai fattori internazionali.
Il traffico merci per via aerea è dunque destinato a crescere in misura maggiore di quello passeggeri. Ecco perché è necessario che l’Area-Sistema si doti delle strutture, dei supporti logistici, dell’organizzazione e del coordinamento necessari, attraverso una politica delle piattaforme air-logistic e, se necessario, con la costruzione di raccordi ferroviari di accesso ai terminal cargo.
Inoltre, l’esplosione dei traffici merci via aerea permette lo spostamento, oltre che di semplici merci e prodotti finiti, di mezzi di produzione, capitali, tecnologie e lavoro, con forti ripercussioni positive sull’assetto economico di un territorio. Questo perché si assiste ad una trasformazione delle caratteristiche del trasporto merci dovute alla già citata disintegrazione verticale, allo svilupparsi delle imprese non più accentrate ma a rete, alla diffusione di tecniche produttive basate sul criterio del just in time e della consegna door to door con i quali i servizi di trasporto, al pari di quelli ferroviari, marittimi e stradali entrano a far parte direttamente del processo di produzione e di distribuzione.
Ecco perché la logistica, in questo senso aeroportuale, in raccordo con altre tipologie logistiche all’interno dell’Area-Sistema, può contribuire alla riconfigurazione del territorio favorendo l’infrastrutturazione delle aree di servizio alla logistica stessa.
Aree che per la loro concentrazione di servizi e infrastrutture, per la loro posizione baricentrica rispetto ai flussi di approviggionamento, diventano zone di forte interesse per le installazioni di distretti logistici capaci di attrarre attività manifatturiere legate, al pari della piattaforma logistica portuale, alla trasformazione delle merci contenute nelle unità di carico.
In questo senso l’Area-Sistema crotonese ha una qualità che il polo di transhipment di Gioia Tauro ne è priva: la presenza di un sistema aeroportuale con potenzialità di sviluppo inesplorate.
Nell’ambito dell’esplosione del traffico merci via aerea risulterà decisivo creare un air logistic, evoluzione del cargo aereo, in quanto la tendenza verso la consegna just in time e la crescente diffusione dell’e-commerce imporranno un aumento di velocità ai trasportatori ed un miglioramento dell’efficienza del servizio.
L’aeroporto così inteso può svolgere non solo un’attività cargo di carico e scarico, ma anche la movimentazione merci in due modi: passivo, adeguandosi ad una futura domanda di capacità aerea richiesta dai clienti spedizionieri; attivo, offrendo infrastrutture e servizi a valore aggiunto, attirando e combinando i traffici da più modlaità per ricoprire, assieme all’infrastruttura portuale, il ruolo di vera e propria piattaforma logistica.
Le prospettive di sviluppo di una scalo regionale come l’aeroporto S.Anna si riscontrano dall’esser per nulla congestionato e quindi in grado di recepire un consistente traffico merci.
Infine il progredire del processo di integrazione europea è destinato ad alimentare un intenso traffico infra-europeo con caratteristiche nuove in termini di flessibilità dei servizi e di mobilità, con similitudini rispetto al mercato nordamericano e statunitense i n particolare.
Scali aeroportuali quali quello di Rimini si sono specializzati nell’offrire servizi e pacchetti integrati per la clientela dell’Est che si prevede sarà quella maggiormente interessata a trascorrere nei prossimi decenni vacanza nel nostro Paese.
Riuscire ad intercettare sia i flussi di traffico merci, con una filosofia intermodale, che quelli passeggeri, soprattutto il turismo di massa dei Paesi dell’Est, deve costituire la base di una qualsiasi strategia di sviluppo dello scalo aeroportuale di Crotone, con effetti moltiplicatori sull’intero territorio provinciale ed oltre.
IPOTESI DI RIUTILIZZO DELL’AREA DISMESSA EX PERTUSOLA
Gli scenari che possono prospettarsi in un lasso di tempo di medio-lungo periodo circa la destinazione degli 80 ettari di terreno su cui ricade il sito industriale Pertusola Sud sono conseguenziali alle opzioni di finalità urbanistica, architettonica, ambientale ed economica di tutta la zona industriale in oggetto.
E’ ben difficile, infatti, poter prefigurare un riutilizzo della zona in oggetto se prima non si operano scelte di campo che influiscano sulle strategie economiche da assumere per tutta la città di Crotone, con evidenti effetti dirompenti per il territorio provinciale.
E’ dunque prioritario stabilire una scala di valori ed opzioni finalizzati ad una nuova configurazione urbanistica e produttiva del sito dismesso.
A tal fine si possono stabilire diversi scenari, a seconda delle opzioni che si sceglieranno e con effetti a cascata sulle politiche di infrastrutturazione del territorio.
Lo scenario più promettente, già previsto dalle opzioni di investimenti del Nucleo Industriale di Crotone,è la piattaforma logistica: essa avrebbe un basso impatto ambientale, un notevole impatto occupazionale, ma, al contempo, dovrebbe essere il nucleo di una colossale opera di infrastrutturazione dell’intero territorio provinciale che, al momento, è arduo prefigurare, attese le opzioni di sviluppo geoeconomico della Regione Calabria (che esclude il crotonese) e la scarsità di risorse finanziarie del governo centrale, che indirizzerà la politica infrastrutturale negli assi strategici del centro-nord.
Tuttavia, si potrebbero innescare dinamiche di sviluppo del territorio incentrate su di un riposiozionamento geoeconomico del crotonese in vista dell’attuazione dello spazio di libero scambio nel mediterraneo, attese, inoltre, le dinamiche di scambio tra la piattaforma produttiva asiatica e l’area europea.
Ciò prefigura:
- l’infrastrutturazione del porto commerciale;
- un programma di investimento della strada statale 106 verso Sibari e verso Simeri Cricchi, collegandosi, in tal modo, rispettivamente al Corridoio 1 e all’hub intercontinentale di Gioia Tauro;
- raddoppio ed elettrificazione della ferrovia ionica;
- una sinergia operativa, manageriale e di marketing di largo respiro con l’Autorità Portuale di Gioia Tauro;
- la ricerca di partenrship con operatori di respiro mondiale interessati ad insediarsi nelle attività portuali e nelle attività retroportuali di lavorazione delle merci, possibile solo laddove si riuscisse a realizzare i collegamenti stradali e ferroviari con Gioia Tauro e Sibari;
Si tenga presenta che anche la sola parziale realizzazione del progetto in oggetto potrebbe costituire un fattore di attrattività di imprese manifatturiere e/o di servizi che abbiano come raggio d’’azione il bacino del mediterraneo o un eventuale proiezione nella piattaforma economica e produttiva asiatica.